Zoo col semaforo – Paolo Piccirillo

Creato il 28 novembre 2013 da Viadeiserpenti @viadeiserpenti

FUORI TEMPO - Proseguiamo il nostro approfondimento su Paolo Piccirillo. Dopo il commento sulla copertina di Zoo col semaforo, il suo libro di esordio, ecco la recensione cui seguirà l’intervista all’autore.

Recensione di Rossella Gaudenzi

«Il dolore non si sceglie o si conosce prima, arriva quando vuole. E si fanno tante cose nella sof­ferenza: si man­gia, si beve, si piange, si spera, si pensa. Ma in realtà non si fa nulla. Tranne questo: obbe­dire al dolore stesso».

Il pit bull non ha nome. Nella provincia di Caserta, dove i nomi onorano la tradizione nei secoli e per sbizzarrirsi si ricorre ad appellativi truculenti, Carmine è o Schiattamuort’, Salvatore è o Rugnus’ ma il pit bull, cardine dell’opera prima di Paolo Piccirillo Zoo col semaforo, resta dall’inizio alla fine solamente il pit bull. Non solo. Il cane non ha zampe ma ha gambe, non ha muso ma ha faccia.
Le esistenze grame di Slator l’albanese, ribattezzato in Italia Salvatore e del vedovo settantenne Carmine sono destinate a incontrarsi. Salvatore o Rugnus’ e Carmine o Schiattamuort’; il primo che vende animali per conto di un negoziante di Napoli, il secondo che trascina la vita tra un’oculata gestione di campi da calcetto e il rituale di raccattare carcasse animali su un tratto della tangenziale Aversa-Napoli. A fare da collante il pit bull, quello di Salvatore, che in una domenica di mercato, in assenza del padrone, azzanna inspiegabilmente un ragazzetto. La vendetta del paese è spietata: «Il pit bull ha una gamba stritolata dagli pneumatici di Carigliòn, ma cerca lo stesso di scappare verso la campagna. Anche stavolta lo raggiungono facilmente. Con i caschi gli menano il muso e gli occhi, con la catena infieriscono sulla schiena e le zampe, e il cric fa quello che vuole, colpisce lo stomaco, il collo, la pancia, il punto in cui la coda si lega al resto del corpo. Per farsi due risate uno di loro lo colpisce pure in mezzo alle gambe. A forza di calci, facendolo rotolare, lo rispediscono verso la strada, e così, coperti dalla stazza dell’A3 di Sandruccio ferma con le quattro frecce accese, possono finirlo senza essere visti. Il cane è in fin di vita. I quattro uomini, i due caschi, il cric, la macchina, i motorini e la catena però decidono che può bastare. L’uomo di merda deve morire così, come a un cane».
È Carmine o Schiattamuort’, che ha perso il figlio azzannato da un pit bull venti anni prima e che per rendere meno indegna la sua lapide ogni sera libera la tangenziale dalle carcasse, Carmine o Schiattamuort’ trova il cane in fin di vita. Lascia passare una notte, torna sul luogo dell’accaduto, trova il pit bull miracolosamente vivo e o Schiattamuort’ dopo anni e anni la morte la mette all’angolo e decide di prendersi cura dell’animale.
Zoo col semaforo è un romanzo saturo di una sofferenza ancestrale e totale. Quel che accade nella vita di Salvatore e Carmine risveglia un mondo sommerso fatto di ricordi dolorosi, ai quali si sopravvive a fatica, fatto di violenze fisiche e verbali, di morti, di soprusi. Paolo Piccirillo riesce però a creare una pausa di sospensione quasi necessaria intervallando a queste vicende di giungla umana brevi racconti che brillano per lirismo e delicatezza. Lascia questi poveri diavoli al loro destino e si sofferma su altre storie di vita e di morte, questa volta poetiche, questa volta di animali. Un’anatra alla prima migrazione decide di fermarsi, vivere e morire in un acquitrino accanto agli sfasciacarrozze, mangiando ortiche ed erbacce piene di smog: «Ma l’anatra pneumatica era felice così. Era giunta a destinazione». Una cagna si ammala di gravidanza isterica attaccandosi morbosamente a un cucciolo di peluche: «Lei ogni mattina lava il suo pupazzo, il pelo finto è pulito e assomiglia, sempre di più, al pelo di un cane». Un polipo esce dal suo acquario rimasto inavvedutamente aperto e inizia un breve viaggio verso la spiaggia, nel tentativo di raggiungere l’acqua del mare: «Si alza dalla panchina. Vede il polipo morto e si ricorda a malapena di lui. Ha un mal di testa tremendo, e senza pensarci più di tanto lo spinge leggermente con il piede, nel mare».
L’esordio narrativo del giovanissimo Paolo Piccirillo è sorprendente. La lingua è utilizzata con sapienza in un gioco continuo tra il discorso diretto e l’indiretto, tra il dialetto e la lingua italiana; la sua inventiva è conturbante e commovente.
Zoo col semaforo, uscito nel 2010 per Nutrimenti, è stato appena ripubblicato per BEAT, Biblioteca  Editori Associati di Tascabili.

Nota sull’autore
Paolo Piccirillo è nato nel 1987 a Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta, ed è uno dei più promettenti talenti letterari della sua generazione. Dopo aver studiato Filosofia a Firenze si è trasferito a Roma, dove ha cominciato a studiare sceneggiatura cinematografica. Viene selezionato per partecipare al XIII corso di perfezionamento per sceneggiatori Script/Rai. Contemporaneamente pubblica il suo primo romanzo, Zoo col semaforo (Nutrimenti, 2010), entrando nella lista dei migliori scrittori italiani under 40 stilata da «Il sole 24 ore». Nel 2009 ha partecipato alla prima edizione di 8×8, il concorso letterario di Oblique, con il racconto Anatra pneumatica riproposto in Zoo col semaforo.  Il 2013 è l’anno del suo secondo romanzo, La terra del sacerdote (Neri Pozza).

Per approfondire:
Leggi la recensione su Il Mattino
Leggi la recensione su Stilos
 

Zoo col semaforo, Paolo Piccirillo
BEAT, 2013
pp. 126, euro 9


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