“Zoo – Scritture animali”, una collana innovativa

Creato il 16 giugno 2012 da Fabry2010

Pubblicato da giovanniag su giugno 16, 2012

Recensione di Giovanni Agnoloni

Una collana a sé, nel mondo editoriale. “Zoo – Scritture animali”, di :duepunti Edizioni, ha per filo conduttore, appunto, gli animali. Curatori, Giorgio Vasta e Dario Voltolini. Vi sono ospitati scrittori di pregio, come Giuseppe Genna, Giulio Mozzi, Nicola Lagioia, Fulvio Abbate e, last but not least, i due di cui ci occupiamo oggi: Marino Magliani e Vanni Santoni, autori rispettivamente de La ricerca del legname e Tutti i ragni.
I due libri, piccoli e trascabilissimi, come tutti i “capitoli” di questa collana, hanno un elemento in comune – sia pur in sensi diversi –: la discesa nel profondo.

Marino Magliani, ne La ricerca del legname penetra in tubature e cunicoli sotterranei popolati da topi. Uno di questi, Pepe el Tira, è un autentico mito, un investigatore provetto (reso famoso da Roberto Bolaño ne Il poliziotto dei topi). Il protagonista, Fernando, è un suo collega che viene incaricato da una madre di cercare il figlio Rudy, un wood runner (cercatore di legname: da qui il titolo), affetto dall’ossessione delle trasformazioni e soggetto lui stesso a inquietanti metamorfosi. Rudy è scomparso e non si sa dove sia. È un caso di cui El Tira non può occuparsi, così Fernando parte per la sua indagine, che si articola attraverso domande e ricerche, come nei gialli “umani”. Ma l’atmosfera claustrofobica dei luoghi (sia pur teoricamente “adatti” ai topi), l’ombra invisibile di Pepe (che saprà quando ricomparire) e il tema della trasformazione, dei “mutanti” creano una sorda angoscia di fondo, quasi un’eco dantesca. Ne deriva un senso fisico di fatica, un’esigenza di “salir su” per respirare meglio, che infine sfocerà all’aperto, nei luoghi dell’Imperiese cari a Magliani. Ecco allora emergere l’incanto del paesaggio e il senso di una storia dal gusto fiabesco e dal portato simbolico.

Simili risonanze, da questo punto di vista, ha Tutti i ragni di Vanni Santoni, dato che è tratta dell’insetto-simbolo di tutte le fobie (Tolkien stesso ce lo insegna, con Shelob, nel Signore degli Anelli, anche se Santoni lo distingue dai ragni propriamente detti, per via del suo pungiglione). La storia è quella di un bambino toscano che racconta, attraverso i vari momenti della sua vita, il suo rapporto coi ragni. È una successione di piccoli spaccati di vita, fotogrammi di attimi diversi periodi congelati in fermi-immagine sgranati, dove compare sempre uno di questi insetti, capaci di raggelare e incatenare gli sguardi. Il tono è leggero e anche divertente, e la ricchezza di ambientazioni (crescendo, il bambino e poi ragazzo inizia a viaggiare) rende il punto di vista mobile e non permette mai di adagiarsi. Sennonché, viene sempre fuori un ragno, pronto a ricordare il punto di fondo, l’“antro della paura”. La conclusione, però, sembra essere quella di non soffermarcisi troppo, perché la vita resta un viaggio da percorrere fino in fondo. Sennò (per fare il verso a Jodie Foster in Contact) “sarebbe uno spreco (di spazio)”.


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