Zukkerina Vany, uffy uffy!
di Iannozzi Giuseppe
questa favola è
per quella piccola adorabile peste
che risponde al nome di Vany
“Lasciami dormire, tengo sonno, brutto Orso!”
“Ma che dici mai? Sarei io un orso e per giunta brutto?”
“Brutto, sì. Ed ora lasciami fare la nanna”.
Vany chiude gli occhietti, mentre esterrefatto e intenerito il ragazzo Orso rimane a fissare la fanciulla persa in chissà quali magici mondi.
Il sole è già alto e il ragazzo Orso stuzzica la piccola Vany perché si svegli.
Vany apre un occhietto, uno solo e fulmina l’Orso.
“Ti ho già detto che tengo sonno. Ho bevuto la camomilla”.
“Quanta?”
“Uffy! Una tazzina da caffè”.
L’Orso strabuzza gli occhi: “E per una lacrima di camomilla non ce la fai ad alzarti!”
“Uffy e doppio uffy, io non sono come te, insensibile. Sono piccola e delicata, per cui quello che a te sembra poco è in realtà molto tanto per me. Ed ora sciò”.
“Ma la nostra gita!!! Avevi promesso che saremmo andati per i campi a raccogliere fiori…”.
“Non adesso”.
“E quando allora?”
“Domani”.
“Domani?! Intendi forse dormire tutto il giorno?”
“Perché no? E’ inutile che stai a lagnarti, tanto mi alzo. Anzi, adesso mi nascondo ben bene sotto le coperte, per cui ti prego di lasciare la mia camera”. E così dicendo la piccola Vany tira su le coperte nascondendosi tutta, testolina compresa.
A questo punto il ragazzo Orso prende l’iniziativa, se così si può dire: con una zampata spoglia delle coperte la piccola Vany, che non fa neanche in tempo a tirare un gridolino, un “oh!!!”. Mezza addormentata, con il pigiamino addosso, se la carica in spalla, manco fosse un sacchetto di patate. Per un uomo grande e grosso qual è l’Orso il peso di Vany è cosa irrilevante, così come i suoi calcetti e pugnetti che la piccola bimba gli scarica addosso nel vano tentativo di liberarsi e di poter così tornare a rannicchiarsi nel suo lettuccio.
Pigolando quasi, mettendo su un musetto triste e furbetto, la bimba mette in chiaro le sue ragioni: “Mi hai tirata giù dal letto con la forza, questa non te la perdono… Sei un brutto Orso cattivo, ecco”.
“Non sono un orso. Al limite un Orsetto”.
“Eri un Orsetto”.
“Perché?”
“Perché mi hai svegliata e portata qui in cucina con la forza. Io con te non ci parlo più, così impari”.
“Devo forse ricordarti che avevamo programmato una bella mangiata sul prato, in mezzo ai fiori e alle farfalle?”
“Inutile!!! Con te non ci parlo più”.
“Le farfalle sono belle e colorate, di tutti i colori dell’arcobaleno”.
“Non m’incanti”.
“E l’erba è soffice e tenera. Volendo si può dormire sul prato sotto la carezza del sole giallo e caldo”.
“Uffy! Chiudi la bocca, tanto non ascolto”.
“Dispettosa. Dispettosa. Dispettosa, ecco”.
“Io tengo sonno, hai capito? Non è colpa mia se sei uno zuccone, per cui me ne torno a far la nanna nel mio lettino. Uffy!”
“Tu non vai da nessuna parte… Cioè volevo dire che adesso ti prepari e andiamo d’amore e d’accordo a farci la nostra gita”.
“Uffy, ma sei proprio zuccone tanto tanto! Cavoletti, ti ho detto che non ce la faccio, la camomilla non mi fa reggere in piedi. Mi sto già addormentando…”. E così dicendo la piccola Vany chiude gli occhietti e subito si assopisce, lasciando cadere la delicata testolina bruna sulla tovaglia del tavolo.
Il ragazzo Orso non sa che fare. Si gratta la zucca, fissa intenerito la bimba che dorme saporitamente, però di rinunciare alla programmata gita non ha nessuna intenzione. Che fare? Con passo nervoso prende a camminare in su e in giù per la cucina, fino a quando un’idea non gli passa per la testa. Gli occhi gli s’illuminano e un gran sorriso gli si apre in viso. Senza pensarci su, si carica la bimba addormentata sulle spalle, e raccolta da un angolo della cucina una tovaglia a fiori arrangiata a mo’ di sacco s’avvia verso l’uscita. Con una zampata apre e chiude la porta di casa, e subito si lancia giù lungo la rampa delle scale.
“Dove siamo? Che è successo?”
Vany è scombussolata, non capisce, si guarda intorno e i suoi occhi incontrano un mare di verde, prati in fiore, alberi gravidi di frutti, farfalle, uccellini che cinguettano. Le pare d’esser ancora immersa nel sogno. Tuttavia è ben cosciente, sveglia: gli effetti della camomilla si sono ormai dileguati. Si guarda d’attorno e vede l’Orso che addenta una mela e un’altra, una dopo l’altra… ed allora capisce e reagisce gridando: “Bruttooo Orsooo bastardissimoooo… brutto, brutto, brutto e brutto… adesso mi spieghi o ti spacco in due, in due ti spacco…”.
L’Orso sbianca. Aveva sì previsto la reazione della bimba, ma dal tono di voce par proprio tanto tanto arrabbiata. Troppo.
La vede incedere con passo deciso verso di lui.
L’Orso vorrebbe farsi piccolo piccolo, ma non può.
“Adesso vediamo che ti inventi, bastardissimo che non sei altro. Sono qui che aspetto”.
L’Orso farfuglia qualcosa d’incomprensibile mangiandosi le dita delle unghie. Non sa che pesci prendere. Inutile raccontarle una penosa bugia, tanto non gli crederebbe. Non gli resta che confessarle la verità confidando nel buon Dio.
“Bene, dunque… ecco… io… be’, ora siamo qui, non è sufficiente?”
“Cooosaaa?”
“Che differenza vuoi che faccia sapere…”.
“Come ci sono arrivata qui? Non nicchiare, bastardissimo. Non attacca con me”.
“Corbezzoli! Rilassati. Vuoi un po’ di camomilla?”
“Nooo… brutto orso testardo. Sputa fuori tutta la storia, ora”.
“Non potremmo prima mangiare? Ho già apparecchiato”.
“No, tu pensi sempre a mangiare. Non fai altro che mangiare. E rapire fanciulle indifese per portarle… uffy… ma dov’è che siamo?”
“In un prato”.
“Questo lo vedo da me. Ma dove di preciso?”
“Poco fuori Parma”.
“Cooosaaa???”
“E’ un bel prato, o no?”
“Come hai potuto, comeee???”
“Be’, tu dormivi ed allora ho pensato di caricarti in spalla…”.
“Come un sacco di patate”.
“Più o meno. Però tu pesi molto meno delle patate, se è questo che ti preoccupa”.
“Buaaahhh… povera, povera me…”.
Vany non ci vede più dalla rabbia, però non vuol dare in escandescenze, ed è già quasi sul punto di metterci una pietra sulla birichinata dell’Orso, quando s’accorge d’esser ancora in pigiama. Si guarda vestita del solo pigiamino in cotone con su tanti cuoricini rossi e dall’imbarazzo diventa rossa rossa. Il ragazzo Orso squadra la bimba coi suoi occhioni che implorano pietà, ma subito si rende conto che sul volto della Piccola si sta disegnando un’ombra di rabbia, ed allora, facendo finta di non essersi accorto di nulla, tenta indarno di allontanarsi. Non gli riesce però. Vany, per quanto piccola buona bella brava e generosa, non ce la fa proprio a perdonare chi l’ha portata in pigiama a fare il picnic. L’Orso le ha già dato la schiena e a passettini, in punta di piedi, cioè di zampe, cerca di guadagnare terreno. Niente da fare. Un calcio gli arriva sulle terga.
Il piedino della piccola bimba colpisce bene, proprio forte. L’Orso ruzzola menando il muso sul verde prato, che comunque non attutisce il colpo.
Piagnucolando con il testone cacciato nel folto dell’erba, l’Orso cerca di far ragionare la ragazza: “Bimba, ma che ti ho fatto… per essere preso a calci nel sedere?”
Vany neanche lo ascolta e per tutta risposta gli molla un altro calcio nel sedere, al che il povero Orso comincia a singhiozzare, senza però riuscire a intenerire il cuore della bimba.
“Che hai fatto? Hai pure il coraggio di chiedermelo? Mi hai preso di peso e portata in mezzo a un prato, e come se ciò non bastasse in pigiama”.
“Dormivi, non volevo svegliarti. O avresti preferito che ti spogliassi?”
Ha commesso una gaffe imperdonabile; purtroppo per lui il povero Orso se ne rende conto troppo tardi. Sarebbe stato meglio se avesse tenuto la bocca chiusa.
Senza pensarci su, la fanciulla prende a tempestare l’Orso di calci e pugni come può. L’Orso non reagisce, né intenderebbe mai muovere un solo muscolo nel tentativo di difendersi. C’è da dire che per quanta energia Vany possa mettere nei suoi colpi, questi non fanno neanche il solletico alla pellaccia dell’Orso; e però quei calci e pugni gli fanno male, nell’anima.
Di colpo ‘i colpi’ cessano.
Vany è stanca e si lascia cadere sul prato, non più irata ma piagnucolante sì. Adesso che ha tirato fuori le unghie, che si è sfogata, un po’ le dispiace. Non avrebbe voluto alzare le mani. Il rimorso le rode il cuore in petto, scoppia così in un pianto a dirotto.
Sentendo il pianto della bimba, l’Orso si tira su in piedi. Fissa la fanciulla in lacrime e oppresso da un nodo alla gola non sa che fare o dire, tanto più che non capisce il motivo d’un pianto sì tanto forte. Impacciato si gratta il testone, gironzola come anima in pena intorno alla piccola Vany, cerca di dire qualcosa, ma non gli viene in mente niente di niente. Non sa proprio se tacere o dar fiato alle trombe. Ha un’idea e subito si dà da fare. Accende il fornello da campeggio, mette su un pentolino d’acqua e aspetta. Quando la bevanda è pronta la versa in una bella tazza. E’ bollente, troppo bollente. Ci soffia sopra affinché diventi tiepida.
Squadernando il suo sorriso più accattivante si fa dappresso a Vany, che nel frattempo ha smesso di piangere ma non di essere triste. Senza proferire parola le porge la tazza. La fanciulla lo guarda con due occhietti tristi tristi, raccoglie la tazza dalle zampe del ragazzo Orso e ingurgita il contenuto tutto d’un fiato. Non passa un minuto, che un sonno incredibile la invade. Sbadiglia una due tre volte, e si addormenta.
“Hai fatto proprio una bella dormita. Ti ci voleva proprio”.
“Ma quanto ho dormito?”, chiede la piccola Vany sfregandosi gli occhietti ancora pieni di sonno.
“Tanto tanto. Eri molto stanca”.
“Moooltooo stancaaa…”, biascica con un fil di voce. “Ho fatto uno strano sogno, sai!”
“Un sogno???”
“Sì, un sogno, ma brutto. Ho sognato che eravamo io e te in un prato e che io ero in pigiama. Una scena davvero assurda”.
“Assurda sì”, conferma il ragazzo Orso mettendole sotto il naso una tazzina fumante di caffè appena tolto dal fornello. “Bevi il caffè, ti farà bene”.
“Uhmmm, forse hai ragione. Non c’è niente di meglio per svegliarsi”. E subito comincia a centellinare il caffè. Poi, ancora chiede: “Quanto ho dormito?”
“Un pochettino tanto. Non ti preoccupare però, ho provveduto a tutto io. Ho lavato i panni, ho spazzato il pavimento, ho lavato le finestre…”.
“Che bravo! Ma quanto ho dormito?”
“Un paio di giorni”.
“Due giorni interi?”, quasi urla la fanciulla. “La camomilla mi fa male, devo starci attenta, molto più attenta. Una lacrima mi fa addormentare come un sasso, uffy!”
“Non è successo niente. Ora pensa solo a svegliarti bene…”, fa l’Orso tutto premuroso.
“Dovevamo fare una gita, Orsetto…”, pigola la bimba tenera tenera. “Temo che non sia più possibile… non volevo dormire tutto quel tempo… è colpa della camomilla che mi fa fare pure brutti sogni… si vede che mi resta sullo stomaco… Mi spiace, Orsetto caro… la nostra gita è sfumata per colpa mia…”.
“Non lo pensare neanche, Piccola. Tu non hai nessuna colpa, proprio nessuna. Poteva succedere a chiunque. E poi ci saranno tante altre occasioni per fare una bella gita. O no?”
“Sì, questo è vero. Però ti avevo fatto una promessa e l’ho mancata… e questo mi rattrista molto”.
“No, non rattristarti, ti prego. Ne programmiamo un’altra di gita, mica è un problema. Eri stanca e hai dormito. Sono contento che ti sei riposata ben bene. Hai dormito tanto a lungo perché ne avevi bisogno, tutto qui”.
“Sì, però così ti è toccato di dover fare tutto da solo in casa…”.
“Niente di che, ho fatto quello che un qualsiasi Orsetto avrebbe fatto al mio posto”.
“Sei proprio un Amore. Vieni da me che ti sbaciucco…”
“Bacetti e una leccatine…”.
“Orsetto goloso!”
“Goloso di te”, puntualizza il ragazzo Orso con un sorriso per metà tenero, per metà bastardo; ma la piccola Vany non se ne accorge e abbracciandolo a sé gli copre il muso di baci e di leccatine.
In fondo tutto è bene quel che finisce bene. O no?