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-Ishara- personale di Domenico Di Genni a cura di Roberto Milani

Creato il 08 dicembre 2012 da Roberto Milani
-Ishara-  personale di Domenico Di Genni  a cura di Roberto Milani
-Ishara- personale di Domenico Di Genni a cura di Roberto Milani 22 dicembre 2012 - 22 gennaio 2013
-Ishara-  personale di Domenico Di Genni  a cura di Roberto Milani
Muthaiga Country Club  P.O. Box 16526 Nairobi 00620, Kenya  https://www.mcc.co.ke/Home.aspx 
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-Ishara-  personale di Domenico Di Genni  a cura di Roberto Milani
ISHARA Personale di Domenico Di Genni
Ishara significa in lingua Kiswahili segno e azione. Il segno e azione sono i fondamenti della pittura.
L’africa mi toccò l’animo già durante il volo: di lassù pareva un antico letto d’umanità. E a 4000 metri d’altezza, seduto sulle nubi, mi pareva d’essere un seme portato dal vento Saul Bellow
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Paul Gauguin (Parigi 1848 – Hiva Oa 1903) è solo l’esempio più noto, dei tanti artisti che ad un certo punto della loro esistenza, hanno sentito la necessità di evadere, di fuggire. Di rifugiarsi in luogo “esotico”.
Ma cosa è un luogo esotico oggi?
In effetti per l’uomo moderno il “luogo esotico” è spesso il paradiso tanto sognato per trascorrere una breve vacanza; non priva però di tutti i comfort, e magari in un luogo da "vip".
Per altri, più romantici, questo fantomatico rifugio è ad un passo da casa. Magari è la campagna, o il lago o qualsiasi altro posto che consenta una breve fuga dalla stressante e logorroica quotidianità.
Pensiamo un attimo in maniera un po’ romanzata la cosa. Pensiamo all’autore di mille avventure, che per un’intera generazione e forse più, ha fatto sognare gli adolescenti di tutta Italia con le descrizioni “esotiche” di quei luoghi che lui noi aveva mai visitato ma che seppe così tanto bene raccontare: Emilio Salgari. Per lui il “luogo esotico”, era il proprio scrittoio.
Ma questo lo troviamo in molte arti e non solo.
Ognuno di noi, essendo comunque "un po’ artista", se si sofferma a riflettere, ha il proprio luogo esotico, che sia reale o inventato. Ognuno di noi ce l’ha.
Anche Domenico Di Genni ne ha uno suo. Uno vero, reale. Un rifugio che di fatto non è più tale da quando ha deciso di trascorrerci diversi mesi l’anno. E’ il Kenya. Ed il Kenya ora è casa sua. E’ cosa sua.
Non il Kenya turistico, quello confezionato ad hoc per i villeggianti, dove l’evento più vicino al territorio è la danza MASAI ridotta ad uno spettacolo folkloristico più vicino ad EuroDisney, che alla savana. Ma il Kenya quello vero.
Quello fatto da bambini malati e denutriti ma allo stesso tempo, inimmaginabile per noi occidentali questa drammatica convivenza, felici e liberi. Fatta di sopravvivenza e dignità. Di puzza e profumi. Di fierezza ed orgoglio. Di fragilità e sfruttamento. Quel Kenya molto distante dalle rotte turistiche ma che senza queste molto probabilmente non sarebbe neanche interessante parlarne. Raccontarlo. Forse dimenticato.
Domenico Di Genni di fatto ci racconta.
Narra di persone e luoghi andando lui, in prima persona ad indagare, interrogare e scoprire ciò che spesso per i più è, poco altro di una attrazione turistica.
I volti, gli sguardi ma anche i paesaggi, gli orizzonti. Un’Africa vera, nata libera. Con i suoi colori, i suoi controsensi, le sue controversie e le infinite guerre intestine.
Quell’Africa dove le strade, appena fuori della metropoli, si confondono con il fango. Quello stesso fango di cui sono fatte le case, con i tetti di lamiera rovente e che si perdono a vista d’occhio, fino alla savana.
Narra attraverso la pittura. La sua pittura, fatta di colori ed di non colori. Un bianco, un nero forse un grigio o un ocra. Di fatto i colori di Domenico Di Genni.
Non certo quelli comprati nei negozi di belle arti occidentali, dalle vetrine illuminate e coloratissime, dove trovi ogni cosa che possa necessitare alla pittura, ma quelli realizzati lì: usando la terra, la polvere, la cenere.
E per tela? Un vecchia vela ormai inutilizzabile per poter ancora reggere il vento ma buona per fare un abito o come nel caso di Domenico un ottimo supporto per poter raccontare ancora un’altra storia.
Un pittura fatta di segni, tratti, gesti. Una pittura d’azione. Una pittura che potrebbe definirsi “Ishara”.
Fatta di gesti e azioni a volte meditati, pensati, altre, estemporanei, di getto. Ma veri, assolutamente veri, sentiti. Mai dosati.
Naturali direi.
Una pittura che, come direbbe il compianto Maurizio Sciaccaluga, non ha bisogno di libretto di istruzioni. E’ sufficiente aprire gli occhi aggiungo io.
Qualcuno potrebbe azzardare e definire la pittura di Domenico Di Genni una pittura dell’anima. Io dico che la pittura di Dominico Di Genni, ha anima. Un’anima vera, sana, genuina. Quella dell’artista. Del vero artista! Che riesce attraverso la rappresentazione del vero a rendere il vero decisamente migliore di quello che in realtà è.
Un volto, una giovane donna, un fiero Masai, un giovane bambino o un vecchio con il volto tanto segnato da sembrare scolpito, questi i territori di indagine prediletti dall’artista, ma non solo. Paesaggi, vedute, luoghi incontaminati, feroci e assolati.
I rimandi alla grande arte sono molteplici ma mai espliciti. Ciò a significare che la pittura di Domenico Di Genni è particolarmente efficace, di qualità ed originale. Unica nel suo genere. Un “orientalista” dei nostri tempi. Un uomo che con grande coraggio ha deciso anni fa di vivere della sua arte. Ed in tempi più recenti ha scelto di vivere in una sorta di primitivismo, pur di fare la propria arte.
Che davvero davanti agli occhi abbiamo un novello Gauguin?
Roberto Milani  

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