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14 – Fog

Da Blanca Persaltrove

La provincia di Varese era meravigliosa in quell’estate sconvolgente.
Stefano saliva a passo spedito il sentiero sopra Gavirate, le colline smeraldine contro il cielo turchese sembravano una cartolina. I rami degli abeti erano carichi ed odorosi, i fiori di campo brillavano nelle macchie di sole, le pietre risplendevano e le foglie dei tigli creavano giochi di colore e luce che intrappolavano il volo di farfalle variopinte. Il ragazzo aveva il petto colmo di gioia per quel tuffo nella natura e un senso di libertà lo faceva fremere d’impazienza.
Portava sulle spalle un piccolo cavalletto, una tela e la cassetta dei colori.
Al bivio si fermò, appoggiandosi alla croce di ferro messa a benedizione del tragitto, e si volse a guardare la combriccola di cinquantenni che arrancava in quel mattino di Ferragosto. Le donne, con i golfini annodati attorno ai fianchi e i pantaloni di tela con la piega, avanzavano calzando scarpe basse, da barca, che erano tanto di moda. Gli uomini con i cesti da picnic le incitavano fingendo spavalderia, ma le polo dai colori sgargianti avevano scure macchie di sudore di cui, in un altro contesto, si sarebbero vergognati. Stefano si sentiva fuori luogo come un bambino costretto tra gli adulti, senza alcun coetaneo con cui giocare e che si era portato l’album da colorare per restare buono… era una situazione ridicola e ormai insostenibile! Avevano sostato già quattro volte a causa della prostata dell’avvocato, a onor del vero il più vecchio del gruppo, ed era già mezzogiorno e Stefano era spazientito: chissà se sarebbero riusciti ad arrivare al prato!
Guardò Gabriella che, nonostante il fiatone e i capelli incollati, gli aveva sorriso quasi scusandosi. La moglie del notaio era addirittura paonazza, mentre il trucco della poetessa era disciolto e formava una maschera grottesca che la donna si tamponava con un fazzoletto ormai color della terra. Stefano sentì un briciolo di rimorso, per essersi innervosito, ma quando una volta raggiunto il crocevia, li aveva visti in sincrono estrarre fiaschette e thermos per bere avidamente, non era riuscito a trattenere uno sbuffo spazientito. Le donne pretendevano un bicchiere ad ogni sosta e quel riaprire gli zaini era una continua perdita di tempo, o forse un modo subdolo per riprendere fiato. Sospettava che tenessero più all’etichetta che al godersi la giornata all’aria aperta, ed era certo che sarebbero state più a loro agio in un ristorante e si chiedeva perché mai avessero insistito per la scampagnata! Era stato buffo incontrarli, quel mattino: tolti i tacchi alti e le cravatte, gli amici di Gabriella perdevano tutto il loro fascino borghese e Stefano, ancora perso nei suoi cupi pensieri, si sentiva infastidito. Da un’ora ormai meditava sul modo di liberarsi dell’amante e degli obblighi nei suoi confronti.
Giunti infine al luogo designato per il picnic, dopo aver steso tovaglie e coperte sull’erba, avevano consumato il pranzo ordinato nella migliore gastronomia del centro. Dopo un caffè appena tiepido e un whisky, si erano sistemati a gruppetti, all’ombra dei pini.
Sullo sfondo, oltre la distesa di ranuncoli, c’era il lago di Varese e Stefano ne avrebbe approfittato per dipingere e, aperto il piccolo cavalletto, si era allontanato di qualche metro, sostando sull’erba alta. Desiderava tornare a dipingere soltanto per sé, intendeva sviluppare il tema di Fog, esprimere se stesso, il sé tanto represso negli ultimi mesi, forse anni, e non vedeva l’ora che quello strazio di giornata finisse!
Tracciando i profili del paesaggio si era in breve perso nelle sue fantasie, ascoltando il cinguettio fra i rami e il ronzare calmo degli insetti, sordo alle chiacchiere della compagnia rilassata. Come accadeva ogni volta che dipingeva, era riuscito a chiudere fuori di sé il mondo e, sentendosi il maggiore degli Impressionisti, aveva preso a macchiare la tela di colore e sentimento, socchiudendo gli occhi, quasi fosse una mano fantasma a guidargli i movimenti. Era assorbito dal tutto e così facendo era riuscito a fermare il tempo. Come annebbiato, aveva continuato a dipingere, lo spirito distaccato dal corpo, fluttuante come capitava solo quando era veramente ispirato. Imprimendo sulla tela ciò che gli occhi registravano, ma senza esserne cosciente, si era ritrovato fuori dalla realtà materiale. Dipingendo, la sua mente era altrove, immersa ne Le Déjeuner Sur L’Herbe, in una dimensione astratta, onirica e assolutamente perfetta. Gli capitava sempre più spesso di assentarsi dal presente, di perdersi nella creazione… era una sensazione che gli mancava da troppo tempo e di cui aveva bisogno. In quei momenti il ragazzo sentiva che il professore stava sorridendo.
Quando alla fine era tornato in sé, Gabriella era accanto a lui.
Porgendogli un bicchiere di vino rosso, lei aveva sussurrato: «Mi sa che con questa gita ti ho perso.»
La mente ancora confusa, Stefano l’aveva guardata con smarrimento, e lei aveva sorriso con occhi lucidi pieni di consapevolezza e, dall’indomani, il loro rapporto era mutato per sempre. Un’altra fine.

14 – Fog

Le déjeuner sur l’herbe – Édouard Manet

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Tags: Arte, Fog, Racconto, Stefano

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