Magazine Diario personale

1978 – Sandro Pertini

Da Iomemestessa

L’Italia che lascia Giovanni Leone al momento delle sue dimissioni, nel giugno del 1978, è un Paese in ginocchio. Il sequestro Moro, con l’epilogo noto a tutti, ha segnato una linea di demarcazione, comunque lo si voglia leggere.

I grandi scandali, il nervosismo made in Nato per l’avvicinarsi dei comunisti al governo, il terrorismo dilagante nelle strade, la paura, palpabile, trovarono il loro culmine nella strage di via Fani e nel conseguente sequestro di Moro.

I partiti si spaccano, e la spaccatura non è più un problema di aree politiche, e di giochetti sottobanco, ma tra il fronte della fermezza e quello della trattativa.

Al primo aderiscono, su tutti, DC e PCI, e infatti la Renault rossa, col corpo di Moro nel bagagliaio, verrà ritrovata parcheggiata in via Caetani, a metà strada tra Botteghe Oscure e Piazza del Gesù, sempiterna accusa ai due partiti.

Aggiungono sale sulle ferite le lettere di Moro stesso dalla prigionia, e le accuse lanciate all’indirizzo del proprio partito, ma non solo.

La morte di Moro, che sarebbe stato il candidato naturale al Quirinale, seguita dalle drammatiche dimissioni del ministro dell’Interno Francesco Cossiga, è del 9 maggio. Leone, travolto dagli scandali, dal malcontento, e dalla sua fondamentale incapacità di porsi rispetto agli eventi, si dimette il 15 giugno.

Per la sua successione sono in corsa il segretario Dc, Benigno Zaccagnini, il segretario repubblicano La Malfa, ed i socialisti appartenenti all’ala sinistra del partito Francesco De Martino e Antonio Giolitti. I primi due giungono direttamente dal fronte della fermezza (segreteria DC, PCI, PRI, PLI, PSDI e MSI), e gli altri due da quello della trattativa, che ruotava intorno al PSI di Bettino Craxi e comprendeva alcune altre personalità sparse (su tutti, Fanfani, Saragat, Pannella). Una notazione, che vedremo sarà di non poco conto, in dissenso con la linea socialista, non aderiva alla linea della trattativa un anziano socialista ligure, Sandro Pertini, classe 1896, eroe della resistenza, padre costituente, ormai da tempi immemori ai margini politicamente, nonostante la presidenza della Camera dal 1968 al 1976.

Non è fondamentale, nei giorni del sequestro Moro, ma teniamone conto, che ci servirà più in là.

Inizia il solito teatrino.

Nei primi tre scrutini, quelli che richiedono la maggioranza dei due terzi delle Camere, ciascun partito vota il proprio candidato di bandiera. Sta volgendo la fine di giugno, la maggioranza da qualificata passa ad essere assoluta (il 50%+1 dell’assemblea) ma per ben 12 volte la situazione non si sblocca.

A Craxi, in fondo, basta che non salga al Quirinale l’odiato La Malfa, e che si mantenga l’usanza dell’alternanza (un cattolico – un laico) istituitasi con l’elezione Saragat.

Pertanto Craxi, col garbo che lo contraddistingue, alza la voce con Zaccagnini mettendolo di fronte ad un aut-aut. O la DC appoggia l’ascesa di Giolitti al Quirinale, o il PSI lascia il governo Andreotti al suo destino. Ma la DC tiene duro su Zaccagnini , e il PRI non molla La Malfa.

Il quale La Malfa, come poi Pertini, finge disinteresse per la carica, ma ci tiene, e parecchio.

I comunisti dal canto loro, hanno una certezza. Vogliono senz’altro un laico, e vogliono, laddove possibile, che sia un personaggio lontano da Craxi e dal craxismo. Che Berlinguer, Craxi, lo detesta proprio (lo chiama usualmente il gangster).

E a sorpresa comincia a circolare il nome dell’ottantaduenne Sandro Pertini. Ha il peso politico di una mosca, ed è, più che altro, una vecchia gloria della resistenza. Può andar bene, al massimo, per un ruolo istituzionale ed onorifico come la Presidenza della Camera. Per il resto, i compagni socialisti, ben contenti sono che resti sul suo piedistallo di monumento.

Anche questa candidatura nasce, in fondo, come fumo negli occhi. E sono molti a pensare che, dopo un paio di tornate, il vegliardo possa ritirarsi in buon ordine.

Non hanno fatto i conti con il carattere dell’uomo, ma soprattutto non sanno che la carriera politica di Alessandro Pertini, nato a Stella (SV) ottantadue anni prima, sta per iniziare proprio adesso. Pertini ha due cose che lo rendono inviso a Craxi ed amato dai comunisti. Anzitutto predica il ritorno all’unitarietà della sinistra (una cosa che demolirebbe il potere craxiano) e poi, ha il pallino della ‘questione morale’, non diversamente da Berlinguer. Nel 1974, da presidente della Camera, rifiutò di firmare l’aumento dell’indennità dei deputati, e fu anche assai vicino ai pretori d’assalto durante l’affaire dello scandalo petroli.

Non foss’altro che per questo, sia Craxi che la DC hanno forti perplessità. Così il 2 luglio, per cavarselo finalmente dai piedi, Craxi lo lancia come candidato unitario della sinistra tutta. Ma Pertini, privo del reale appoggio di un partito politico, annusa l’aria, e con una mossa geniale (lui che non è affatto politico navigato, ma è comunque più astuto di quanto lo si faccia) chiederà, furibondo, di non essere votato.

Tutti lo credono fuori dai giochi, invece lui comincia a tessere la sua tela e a riallacciare antichi rapporti con Amendola, Natta, lo stesso La Malfa.

Nel frattempo le votazioni proseguono, tramonta Giolitti, e pare prendere corpo l’ipotesi La Malfa. Craxi, piuttosto, incendierebbe Montecitorio con tutto il suo contenuto umano, Andreotti, lucidamente, comprende che i giochi son comunque fatti e prima di far eleggere Pertini dalle sole sinistre, convince la DC a far buon viso a cattivo gioco ed accodarsi.

Pertini, sempre con l’aria di quello che non ci tiene, dirà: “Quando mi hanno offerto la presidenza della Repubblica, a 82 anni, io sono diventato pallido come un morto. Questi miei giovani compagni del Psi, invece, quando gli offrono una carica se la prendono senza batter ciglio. Comunque son sicuro che, dei miei 832 elettori, almeno la metà si sono già pentiti”.

La sua sfrontatezza è pari solo alla simpatia, perchè, in realtà, quando lo eleggono, ha già pronto il discorso di investitura.

Discorso che si rivelerà un mix di antifascismo, resistenza e questione morale, un ricordo di Moro (però lui fu per la fermezza), un po’ di riconoscenza pure a Leone. Tutti plaudenti. Ma Pertini, all’uscita miaccerà bonariamente: “Chi si illude che io duri poco, se lo levi dalla testa. Mia madre morì a 90 anni, e solo perché cadde da una sedia. Mio fratello ha felicemente raggiunto quota 94…”.

La sua simpatia e la sua umanità quelle davvero mai false, lo proteggeranno da critiche che avrebbero fatto a pezzi chiunque altro.

Che Pertini, fuori dal santino del presidente con la pipa, è, con rispetto parlando, un rompicoglioni di prima categoria, e travalica un giorno sì e l’altro pure il suo mandato costituzionale.

Gli agiografi, ma anche molta stampa dell’epoca, sorvoleranno sui plurimi strappi alla Costituzione che saranno la base di quel presidenzialismo strisciante a base di “esternazioni” a ruota libera, poi ampiamente sviluppato e istituzionalizzato da Cossiga, Scalfaro e Napolitano.

Di onestà unanimemente riconosciuta, la sua immagine rigorosa ma pur sempre bonaria è quel che ci vuole per riportare dignità ad una carica uscita distrutta dalla presidenza Leone (col senno di poi anche al di là dei demeriti di Leone e famiglia). Mai sfiorato da scandali, si distinguerà per essere il primo presidente a conferire mandato e nomina ai primi due governi non a guida DC: prima quello di Giovanni Spadolini, poi quello di Craxi (che pure Pertini non ama affatto). In più Pertini, non tiene famiglia.

Sposato con una psicologa, Carla Voltolina, diretta ed intelligente, ma abbastanza bizzarra e senz’altro refrattaria all’esposizione mediatica, non alloggerà mai al Quirinale, utilizzandolo solamente da ufficio.

D’altronde, quanto a presenzialismo, basta lui per tutti, bacia bambini, abbraccia madri e nonne, piange ai funerali, e pur di essere a favor di telecamera non si cruccia di intralciare i soccorsi: dal pozzo di Vermicino al terremoto in Irpinia, Sandro Pertini, il nonno degli Italiani, c’è. E pazienza se la scorta intralcia ambulanze e quant’altro.

Eppure, la gente comune, fatto raro in un Paese atavicamente diffidente come l’Italia, gli crede. Perchè Pertini, che non si fa problemi a dire pane al pane, vino al vino e cretino al cretino, dà l’impressione di credere nelle cose che dice. Poi, perchè, anche quando piange, non sembra farlo a comando. Ed è capace di gesti spontanei. Al Bernabeu, durante la finale dei Mondiali, mentre agita l’inseparabile pipa. Ma anche a Padova, quando va a riportare a casa il compagno Enrico, che s’è accasciato dopo un comizio. E sarà a piazza San Giovanni, il 13 giugno 1984, mentre un milione di persone danno l’addio al sogno di un comunismo diverso.

Nel frattempo, eletto Wojtyla, comprende come anche lì ci possa essere uno spazio da riempire e il vecchio compagno socialista ed ateo fraternizza con lui come se fosse il parroco sotto casa.

Ogni tanto ha delle uscite da delirio. Memorabile quando interruppe un viaggio ufficiale in Sudamerica per andare a lacrimare sulla bara del presidente sovietico Cernenko, che, per dirla, non è che fosse un amico e men che meno un campione di democrazia. A voler essere maligni, probabilmente seguì il cambio di rotta di fotografi e giornalisti.

Egocentrico, estroverso, collerico, intollerante verso qualunque cenno di dissenso, Pertini si affaccia informale in televisione nei giorni pari e quando può pure in quelli dispari.

Non si contano gli esecutivi italiani ferocemente incazzati dopo qualche uscita. Un giorno il povero Maccanico, suo segretario generale, ormai alla disperazione, lo chiama a Selva di Val Gardena dov’è in vacanza: “Forse, Presidente, se mi posso permettere, troppe interviste potrebbero danneggiarla”. dall’altro capo del filo il pacifico vegliardo lo investe come un tir: “Io parlo con chi voglio, di cosa voglio, quante volte voglio!”.

Nel 1985, a fine settennato, i partiti ormai al limite della sopportazione respingono al mittente ogni avance dell’arzillo ottantottenne che preme per una riconferma. Piuttosto richiamerebbero Umberto II da Cascais.

E votano in massa per Francesco Cossiga. Il mite, taciturno, riservato sardo. Uno che chiamano il sardomuto. Ma le apparenze, si sa, ingannano.

Un settennato in pillole

il 9 maggio 1978, dentro il bagagliaio di una Renault rossa, viene ritrovato il corpo senza vita di Aldo Moro.

Il 30 giugno 1979 a Torino si svolge la prima giornata dell’orgoglio omosessuale in Italia. Partecipano 5000 persone. La svolta è epocale. E in un lungo percorsa, non ancora terminato, l’Italia impara che quel che una volta poteva essere solo sussurrato può essere anche mostrato in pubblico

il 27 giugno 1980 un DC 9 dell’Itavia in volo tra Bologna e Palermo scompare dai radar 40 miglia nautiche a Nord di Ustica. 81 morti. 35 anni dopo, non si è ancora riusciti ad appurare non tanto le responsabilità, ma nemmeno cosa sia realmente accaduto. Uno dei molti misteri d’Italia.

il 13 giugno 1981 dopo tre giorni di disperati tentativi di soccorso, a Vermicino muore il piccolo Alfredino Rampi, caduto in un pozzo profondo 80 metri. La RAI seguì in diretta le ultime 18 ore. Nasce la tv del dolore.

Nel mese di dicembre del 1982, l’editore Edilio Rusconi che aveva unificato 18 piccole emittenti private per creare una rete a diffusione nazionale a nome Italia 1, vende quest’ultima a Silvio Berlusconi per 35 miliardi di lire. Italia 1, che dal 1981, con un escamotage trasmette il segnale di Canale 5 sull’intero territorio nazionale. Noi non lo sappiamo, ma la nostra vita sta per cambiare. Irrimediabilmente.

Il 17 giugno 1983, nell’ambito di una più ampia operazione contro la Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo, viene arrestato il sin lì notissimo presentatore televisivo Enzo Tortora. Ne uscirà assolto (e distrutto) tre anni dopo. LA sua storia diventerà emblematica della mala giustizia in Italia

Il 10 maggio 1984 Pietro Longo, segretario del PSDI e ministro del Bilancio, rassegna le dimissioni perché tra gli iscritti nelle liste della Loggia P2. In realtà la P2 è ovunque, in ogni organo dello Stato.

Il 7 ottobre 1985 la nave da crociera Achille Lauro viene sequestrata da un commando guerrigliero palestinese

L’8 ottobre i dirottatori palestinesi uccidono Leon Klinghoffer, cittadino statunitense di origine ebraica; gli altri ostaggi sono liberati grazie alla mediazione dell’OLP e in cambio di un aereo con cui fuggire

Il 10 ottobre i caccia F-14 Tomcat della Marina degli Stati Uniti intercettano l’aereo egiziano che trasporta i dirottatori della Achille Lauro e lo costringono ad atterrare nella base NATO di Sigonella, in Sicilia dove le autorità italiane prendono in consegna i prigionieri contro la volontà USA e impongono all’aereo di raggiungere Belgrado. Non stiamo a dire quanto si incazzano gli Americani. Craxi però di più, e alla fine vince il braccio di ferro. Ma soprattutto, per una volta, salverà la faccia.


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