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30 Holding tra avventure nella fantasia e allucinati selvaggi di Roger Corman

Creato il 27 ottobre 2013 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Sebbene il visionario TerryBrazilGilliam abbia provveduto, nel 2005, a dirigere I fratelli Grimm e l’incantevole strega, interpretato da Matt Damon e dal compianto Heath Ledger, già quarantatré anni prima pensarono Henry Levin e George Pal a raccontare sul grande schermo i due linguisti e filologi tedeschi conosciuti soprattutto per aver raccolto e rielaborato fiabe della tradizione popolare germanica in due opere.

Ambientato agli inizi del XIX secolo, infatti, Avventura nella fantasia vede Laurence Harvey e Karlheinz Böhm

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rispettivamente nei panni di Wilhelm e Jacob Grimm, incaricati dal facoltoso duca locale di scrivere la storia della propria casata.

Nient’altro che il pretesto per poter tirare in ballo le loro più celebri favole, portando lo spettatore, attraverso un romanzato mix di realtà e incursioni fantastiche, a conoscenza della nascita degli arcinoti personaggi di Biancaneve, Cenerentola, Hansel e Gretel e molti altri.

Mentre sono la spettacolare sequenza che coinvolge un drago e quella con folletti canterini animati in stop motion a rappresentare, di sicuro, due dei maggiormente memorabili momenti di un’operazione ad alto budget che, giustamente premiata con l’Oscar per i migliori costumi, in maniera curiosa soltanto ora raggiunge il mercato dell’home video italiano – in quanto mai editata neppure in vhs – grazie all’attivissima 30 Holding, che la rende disponibile su supporto dvd.

La stessa 30 Holding che, per quanto riguarda quasi irreperibili pezzi legati alla fanta-celluloide, recupera dal

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dimenticatoio anche il super classico in bianco e nero Il risveglio del dinosauro, firmato nel 1953 da Eugène Lourié prendendo ispirazione da un breve racconto di Ray Bradbury e comprendente nel cast un giovane Lee Van Cleef pre-Sergio Leone nel ruolo di un tiratore scelto.

Con la storia di un redosauro che, risvegliato da un esperimento nucleare presso una base americana al Polo Nord, attacca New York in una sequenza da antologia piuttosto violenta per l’epoca della realizzazione della pellicola, in mezzo a gente schiacciata dalle macerie e un poliziotto che viene afferrato per la testa con i denti, si tratta dell’autentico precursore del giapponese Godzilla, girato soltanto l’anno successivo da Ishirô Honda.

Precursore impreziosito dagli effetti speciali a cura del compianto maestro Ray Harryhausen e culminante in una avvincente parte finale ambientata tra le montagne russe di un luna park.

Ma, passando a vicende maggiormente legate alla realtà, la label attinge anche dalla filmografia del re

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del basso costo Roger Corman per riesumarne su disco I selvaggi e Il serpente di fuoco, rispettivamente datati 1966 e 1967.

In un tripudio di rombanti due ruote cromate, giubbotti di pelle, catene, occhiali da sole e figure femminili dai modi spicci, il primo segue i movimenti di Heavenly Blues alias Peter Fonda, affiancato dalla sua banda al fine di recuperare la motocicletta che è stata rubata al suo carissimo amico Loser, con le fattezze di Bruce Dern.

Movimenti che non mancano di passare neppure per tragici eventi e un surreale party funebre; man mano che il cast arriva a sfoderare, tra gli altri, Nancy Sinatra e Diane Ladd e che il tratteggiamento della sottocultura delle bande di motociclisti della California degli anni Sessanta si rivela, ancora oggi, l’ingrediente vincente di un film culto per i bikers di tutto il mondo destinato ad anticipare di tre anni alcuni aspetti del più famoso Easy rider-Libertà e paura, sempre interpretato da Fonda, ma con Dennis Hopper (anche regista del fim) al fianco.

Che poi, insieme, si ritrovano anche all’interno del secondo titolo, in cui il futuro protagonista di

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Zozza Mary, pazzo Gary incarna il regista pubblicitario in crisi Paul Groves, che, abbandonato dalla moglie Sally, ovvero Susan Strasberg, cerca aiuto nell’amico John (di nuovo il succitato Dern), autoproclamatosi “guru” e dedito alle droghe psichedeliche come forma di ricerca interiore.

Soltanto l’inizio, per l’uomo, di un percorso iniziatico alla scoperta di se stesso tramite l’LSD; i cui effetti, a quanto pare, vennero sperimentati anche dall’allora trentenne Jack Nicholson proprio per descriverli fedelmente all’interno della sceneggiatura del lungometraggio, della quale è l’unico autore.

Perché, in fin dei conti, la circa ora e venti di visione altro non vuole offrire che la sensazione di un allucinato viaggio (non a caso, il titolo originale è The trip) volto a far avvicendare personaggi e ambientazioni simboliche quanto deliranti… tra nani, ballerine svestite, cavalieri incappucciati e momenti da horror che sembrano quasi usciti da una delle trasposizioni cinematografiche di Poe curate dallo stesso Corman.

Al servizio di un “must” assoluto per chiunque sia interessato alla cultura pop dell’epoca.

Francesco Lomuscio


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