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66esimo Festival di Cannes: “Behind the Candelabra” di Steven Soderbergh (In Concorso)

Creato il 28 maggio 2013 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

66esimo Festival di Cannes: “Behind the Candelabra” di Steven Soderbergh (In Concorso)

 

Anno: 2013

Durata: 118’

Genere: Commedia drammatica

Nazionalità: USA

Regia: Steven Soderbergh

 

Interpretare un personaggio eccentrico come Władziu Valentino Liberace, pianista, attore e show-man statunitense di origini polacche/italiane, morto di AIDS alla fine degli anni Ottanta, non era impresa facile ed il regista di Behind The Candelabra, il forever young Steven Soderbergh (vincitore nel 1985 della Palma d’Oro con Sesso, Bugie e Videotapes, il ‘nostro’ ha da poco compiuto 50 anni) ne era perfettamente consapevole. Ci voleva un attore carismatico e duttile, che sapesse rendere l’ambivalenza, il narcisismo, le doti artistiche e l’umanità di Liberace: chi meglio di Michael Douglas, reduce da una lunga malattia ma eccezionalmente vitale e incredibilmente bravo? Molti facevano il suo nome per la Palma come miglior attore, essendo riuscito ad incarnare un ruolo da artista omosessuale, eccessivo e kitsch, in modo così convincente e personale da stupire. È andata diversamente, quanto ai premi, ma ciò non toglie che l’interpretazione di Douglas rimarrà un esempio di professionismo ai massimi livelli.

Liberace, protagonista della pellicola, non fece mai espressamente coming-out, temendo probabilmente scandali che infangassero la sua reputazione agli occhi della pletora di fedelissimi fan (specialmente signore, innamorate dei travestimenti e delle scenografie vistose, e degli enormi candelabri del titolo appoggiati sul pianoforte durante i concerti), ma condusse di fatto una vita segnata dalle relazioni con bei ragazzi, come quella viscerale e tumultuosa descritta nel film con il giovane amante Scott Thorson, interpretato qui da un Matt Damon in gran forma (benché reciti la parte di un ventenne pur avendo già passato i 40), che certo non sfigura vicino a Douglas. Scott è un ragazzo semplice, cresciuto in orfanotrofio e poi affidato ad una famiglia di campagna; l’incontro con Liberace sconvolgerà la sua vita, portandolo dalla stalle alle stelle (denaro, belle macchine, abiti di lusso, gioielli, piscine e quant’altro), e poi di nuovo alle stalle. Finita la storia d’amore dopo circa sei anni, infatti, un po’ per le abitudini di ‘caccia’ sempre nuova dell’incontenibile pianista, un po’ per l’eccesso nel consumo di alcool e droghe da parte del povero Scott privato di ogni libertà decisionale (Liberace, volendolo adottare come figlio, arriva a fargli fare un intervento di chirurgia estetica per ‘costruire’ una somiglianza con se stesso), i due finiranno nelle mani di spietati avvocati e, ça va sans dire, Liberace avrà la meglio, lasciando a Scott briciole dei suoi stratosferici guadagni (sembra che negli anni ‘50-‘70 fosse il musicista col più alto cachet al mondo). Sul letto di morte il pianista ‘pentito’ chiamerà Scott per un ultimo saluto pacificatore, a tardivo suggello dell’amore (vero) che fu.

La descrizione di un ambiente artistico, smodato e in parte distruttivo, l’esplicito riferimento all’amore gay, con scene di sesso libero, l’accenno all’AIDS (un giornale, nel film, dà la notizia della morte di Rock Hudson) come malattia allora mortale, danno il senso di un film che racconta, oltre ad un biopic tra realtà e fantasia, un’epoca intera ed un segmento, molto americano, del mondo dello spettacolo. In conferenza stampa Douglas si commuove e piange: “Questo film, dopo il mio cancro, è un vero regalo. Sono grato a Soderbergh di aver aspettato che mi ristabilissi per girarlo’. Per stemperare l’emozione, Matt Damon, cerca una battuta di spirito: “Ora che anche io sono andato a letto con Douglas, ho qualcosa di cui parlare con Sharon Stone”. Peccato che il film non abbia ricevuto alcun premio; in realtà, se tale si può chiamare, un riconoscimento l’ha avuto: Baby Boy, il barboncino semi-cieco adorato dal suo padrone, Liberace, ha ricevuto la Palm Dog, la Palma alla miglior interpretazione canina. Chissà se Soderbergh avrà apprezzato la cosa …

Elisabetta Colla


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