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8. 20 maggio 2013 – Voluttuosità inaggettivale

Creato il 21 maggio 2013 da Vivianascarinci

Ho letto la prima volta Alejandra Pizarnik non molto tempo fa, grazie a una traduzione di Alessandro Ghignoli, incontrata per caso sulle pagine della rivista Anterem. Dopo di che ho cominciato a cercare tra quanto è stato pubblicato. E ho trovato La figlia dell’insonnia di Crocetti Editore, nella traduzione di Claudio Cinti. Mi viene da dire che Alejandra Pizarnik è un poeta che scrive da un luogo spostato. Spostato in molti sensi: scrive da un tempo spostato da quello di cui si ha percezione, spostata entro la vibrazione di quanto è inesistente perché non accaduto o già accaduto, per cui lei Alejandra scrive da una posizione che rimane limitrofa alla sua stessa esistenza. Scrive sotto un’assenza di luce perenne in qualche modo costretta al di fuori del ciclo circadiano, scrive come da una vitalità denutrita, spostata da ogni pratica da alimentare o che sia di alimento. Spostamento, vitalità e denutrizione sono i caratteri salienti di una rinuncia che passa anche per l’idiosincrasia e il masochismo di non assumere aggettivi. Perché, credo, lei pensasse che gli aggettivi fiaccassero la nomina istintiva e perentoria di cui la sua poesia era capace. Forse contava davvero più di tutto per Alejandra, restare capace, della piena nomina di ogni colpo infertole, proveniente da quell’artefatto che per convenzione tutti chiamiamo realtà.

di Alejandra Pizarnik

(…)
Io ero predestinata a nominare le cose con nomi essenziali. Io non esisto più e lo so; ciò che non so è cosa vive al mio posto. Perdo la ragione se parlo, perdo gli anni se taccio. Un vento violento ha fatto piazza pulita. E non aver potuto parlare per tutti quelli che dimenticarono il canto.

Un giorno, forse, troveremo rifugio nella realtà vera. Intanto, posso dire fine a che punto sono in disaccordo?
*
Ti parlo dalla solitudine mortale. E’ in collera il destino perché si avvicina tra sabbia e pietre il lupo grigio. E allora? Perché romperà tutte le porte, perché tirerà fuori i morti affinché divorino i vivi, affinché solo i morti esistano e i vivi spariscano. Non avere paura del lupo grigio. Io l’ho nominato per dimostrare che esiste perché nel fatto di dimostrare c’è una voluttuosità inaggettivale.

Le parole avrebbero potuto salvarmi, ma sono troppo viva. No, non voglio cantare morte. La mia morte … il lupo grigio … l’assassina che proviene dalla lontananza … Non c’è un’anima viva in questa città? Perché voi siete tutti morti. E quale attesa può diventare speranza se siete tutti morti? E quando verrà ciò che attendiamo? Quando smetteremo di fuggire? Quando succederà tutto ciò? Quando? Dove ? Come? Quanto? Perché? Per chi?


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