Magazine Diario personale

A cuore aperto

Da Miwako
“L’unica ossessione che vogliono tutti: “l’amore”. Cosa crede, la gente, che basti innamorarsi per sentirsi completi? La platonica unione delle anime? Io la penso diversamente. Io credo che tu sia completo prima di cominciare. E l’amore ti spezza. Tu sei intero, e poi ti apri in due”(Philip Roth - L’animale morente)
Mi fa sempre uno strano effetto trovare nelle parole di qualcuno la sintesi esatta di un mio pensiero, è quasi come prendere la scossa. Anzi no. E' come quando suonano alla porta, tu corri ad aprire in mutande, ancora grondante d'acqua pensando che sia F. e invece è l'agente immobiliare incravattato con la famiglia del mulino bianco venuta a perlustrare la catapecchia. E' come essere letti nel pensiero, o spiati dal buco della serratura. Ecco come ci si sente a trovare i propri pensieri nelle parole di qualcuno. Nudi.
Sono una persona ambigua. Non nel senso letterale del termine. Piuttosto, nel mio essere una creatura paradossale, la più semplice che possiate immaginare, la più complicata che la vostra mente possa concepire. E' facile avere a che fare con me. Poche pretese, pochi problemi, nessuna rigidità. Parlo tanto, rido tanto, le persone ridono con me. Non mi aspetto niente dalle persone, eccetto che siano loro stesse. Non mi piacciono le forzature, le falsità, la pochezza mentale. E mi comporto di conseguenza. Sono onesta, non faccio pressioni sugli altri per tentare di ficcarli a forza nel mio ideale di amic*/partner/qualsivoglia ruolo, e sono una persona elastica. Ottima consigliera, sono nota per le mia diplomazia e per la mia capacità di "vedere" le persone. Credo sia l'amore a far girare il mondo, in ogni forma possibile. Credo al buono nelle persone, voglio la felicità per le persone che amo, indipendentemente da quanto possa allontanarle da me, non credo di credere in dio, ma credo a Babbo Natale. Quello, almeno, l'ho conosciuto.Qualcuno mi ha detto che ho il cuore grande così. Io ci credo, a volte. A volte no.
Questa, è la stessa persona che, litigando col padre a 8 anni, adduceva a motivazione rafforzativa un " papà, siamo diversi, io naturale, tu frizzante", inteso come un "Vivi e Lascia Vivere" ante litteram (ante litteram per me che sapevo a malapena allacciarmi le scarpe, s'intende). La stessa persona che si dice disponibile per gli amici e poi non risponde ai messaggi se non sono passati tre giorni, salvo poi sostenere ( e crederci realmente) che non ci fa caso, che anche se è così naive, le persone che ama se le porta dietro pure in borsetta, quando va al lavoro. Autoreferenziale, impaurita dalle vicinanze, dalle dinamiche relazionali e dal dolore che si può causare agli altri anche senza far niente, solo inadempiendo alle loro aspettative.(Ora la smetto con questa terza persona che fa tanto biografia di autore semisconosciuto di serie D che non conoscerà fama neanche dopo la morte)Egoista part-time, altruista in nero. Così egoista da riservarmi sempre una overdose variabile di impenetrabilità, da mettere una certa distanza tra me e gli altri che preservo no matter what, da convincermi che io, semmai avessi un figlio, sarebbe in provetta; così egoista da rifiutare un invito di un amica anche se non ci vediamo da tre settimane, da arrivare in ritardo al matrimonio di L. sapendo che avrei potuto evitarlo.E poi altruista, si. Perchè rifiuto inviti quando so che non sono dell'umore adatto e finirei per bidonare all'ultimo, altruista perchè dietro molte delle cose che faccio o meno, c'è un ragionamento volto a evitare o attutire sofferenze altrui; altruista perchè sono restia a dire ciò che non va se so che l'altra persona ha agito in buona fede e potrebbe sentirsi in colpa; perchè se ci rimango male cerco di nasconderlo, perchè non mi spazientisco, perchè non cerco di forzare un punto di vista ad essere uguale al mio, perchè sento di fare un favore a tenere le persone un po'lontane.
Chiara e prolissa riguardo ciò che penso, altrettanto criptica e parziale riguardo ciò che sento. Ma in realtà, vorrei dire ogni cosa, vomitare ogni pensiero, in maniera adolescenziale, senza prendermi alcuna responsabilità per le conseguenze. Anche questo posto che mi è tanto caro, è un luogo compromesso. Per diverse persone che passano di qui, ho una tridimensionalità, una voce, una fisicità inconfondibile, un numero di telefono. Persone che conoscono la consistenza al tatto dei miei capelli, che sanno esattamente qual è la mia faccia quando mi sveglio, che non hanno bisogno di chiedermi come prendo il caffè; persone che riconoscerebbero il suono della mia risata in mezzo a una folla, che saprebbero distinguermi di spalle in un capodanno in piazza Duomo. E quindi, costruisco questo luogo di volta in volta, parola dopo parola, mattone dopo mattone, inventando metafore, stratagemmi, allusioni che mi permettano di riversare il flusso inestinguibile di pensieri che, altrimenti, finirebbe per soffocarmi, senza dire chiaramente come mi sento, senza rendermi mai troppo vulnerabile. Di cos'è che ho paura? Di ferire? Certo. Di ferirmi? Anche. E poi, che altro c'è? Forse c'è che quel muro emotivo che tanto anelo a valicare, è una delle cose che non riesco a smettere di erigere intorno a me. Non so cosa mi spinga a farlo. La paura forse. Paura di me, di lasciare che tutte le mie brutture feriscano le persone che amo.
E qui, inaspettatamente, la matassa di lana si ingarbuglia irreversibilmente invece di sciogliersi. Perchè non è così semplice ed intuitivo come vorrei. Non cerco di nascondermi. Mai. Faccio il possibile perchè le persone sappiano quanto io sia orribile, prima che debbano effettivamente testarlo sulla propria pelle. In pratica, li metto in guardia da me, snocciolo i miei difetti peggiori elencando i punti deboli, i motivi per cui , in una determinata situazione, io reagisca in maniera tale da rendermi potenzialmente dannosa. Non lo faccio stilando liste infinite, non sono così organizzata e meticolosa, ma se la conversazione supera una certa soglia di superficialità, cerco di mostrarmi per quella che sono. Sono consapevole delle mie brutture, e se ci tengo a qualcuno, se mi piace qualcuno, se ho stima di qualcuno, voglio che sappia quanto posso essere una brutta persona. Il prima possibile. Così apro l'impermeabile, e mostro le vergogne. Poi richiudo e non lo apro più. Vorrei che le mie ambiguità fossero visibili fin da subito, ecco. Vorrei avercele scritte in fronte, con un faretto puntato in faccia, in modo da renderle avvistabili anche a distanza.Voglio che le persone sappiano che sono piena di difetti, che ho un'idea ritenuta bizzarra ( a dir poco) sulla maggior parte delle questioni, dalla maggior parte delle persone. Voglio che sappiano che sono parte di me. E voglio tutelarli da quanto posso essere orribile, mio malgrado. Voglio mostrare i miei aculei che, schopenhauerianamente parlando, sono più lunghi della media.
Tutto qua.
"Tutto qua", purtroppo, è riduttivo, semplicistico, affrettato. So che non è tutto qua, che questa è solo la punta dell'iceberg, ma credo che questo possa spiegare, almeno in parte, come mai io non riesca ad avere la tranquillità necessaria a lasciar uscire tutto quello schifo che mi porto dentro.
Mi sento uno schifo. A tratti. Non sento quel senso di leggerezza che credevo avrei provato. La mia progettualità futura, già in una situazione critica, è ora giunta a livelli incredibilmente infimi per un essere umano. Un pesce rosso con una memoria di 3 secondi, fa più progetti di quanti sia in grado di farne io al momento, tanto per essere chiari.
Non sento niente. A tratti. Come se il mio cuore (o qualunque sia l'organo addetto a queste cose), ogni tanto fosse spostato fuori dalla sua sede.Lo pungo con un ago per assicurarmi che sia vivo e scopro che, si, il dolore arriva, solo deve fare un giro un po'più lungo per arrivare al cervello, dislocato com'è in qualche periferia del mio corpo.
Sento tutto. A tratti. Il calore, il dolore, le lacrime che salgono e stavolta non cerco di fermare, le cose che vorrei essere ma non sono, le cose che mi mancano per essere me stessa ma che se avessi sarei già altro da me stessa. Sento finalmente qualcosa. E pur di sentire, va bene anche il dolore. Qualcosa di a lungo trattenuto, affiora dalla gola come un cadavere dalle acque di un fiume. Lo sento, fisicamente, una spanna più in alto dello sterno, in attesa di essere riportato a riva o a fondo, a seconda di ciò che deciderò di fare. Per un attimo credo stia per avvicinarsi a riva. Allungo una mano, lo tocco con la punta delle dita, ma non ho abbastanza forze per trascinarlo fuori dall'acqua, e quando ritorna la corrente, se lo riporta via, lontano, dove non posso più vederlo, ma posso ancora sentirne il sapore. Tornerà, lo so. Tornerà ed io forse, di nuovo, non sarò in grado di tirarlo fuori dall'acqua.
Anni fa, dissi a Stè che l'espressione che meglio poteva definirmi era "Placata d'oro". Ogni tanto mi ci sento realmente,placata d'oro. Luccico al sole, splendida, nel mio involucro carino, ironico, esuberante, dolce all'occorrenza, camionista se necessario, intelligente e pure interessante. Poi, col tempo, perdo smalto, come quelle tristi statuette da Oscar fasulle; gratti un po', e ti accorgi che in realtà, sono fatta di una lega sconosciuta, un frammisto di legno, plastica cinese, pietra e merda. Gratti ancora, ed esce sangue, mescolato ad un liquido nero e denso, il risultante di tutte le mie brutture. Quando ormai ho perso la mia forma originaria, rimane solo il cuore, avvinghiato all''anima. Li stanno solo le cose belle, l'amore, il dolore che si è depositato li in fondo come catrame in grembo ai polmoni, la luce imperitura di ciò che ho dato e ricevuto in questa vita. E se poteste vedere solo questo, se ci fosse solo questo, sono sicura che sarei una persona splendida. Ma non è così, voi non potete vedere solo questo, ed io non sono solo questo.E per oggi, ho detto abbastanza.

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