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A Sara

Creato il 20 febbraio 2011 da Duffy
Oggi, girando a piedi per Recanati, ho scoperto di aver salvato nel lettore mp3 delle canzoni dei Nirvana.
Pensando a me stessa, in termini musicali, non mi sarei mai definitiva una figlia del Grunge. Riascoltando quei brani, mi sono resa conto, invece, di come fossero stati la colonna sonora della mia adolescenza.
Io, all’epoca, non avevo soldi da spendere in cd, e quelli che avevo preferivo usarli per andare a ballare. Si, all’Aqua c’era la sala rock, dove stavo sempre, ma, come tutte le sale di questo genere, la playlist è mummificata, con la scusa di essere composta da classici immortali.
Inoltre a casa mia non prendeva neanche Mtv. Insomma: ho iniziato a rinnovarmi musicalmente, con una certa costanza, solo quando abbiamo messo internet nella casa in cui vivo ora, nel 2004.
Stranamente lì è partita la passione, più che per le cose nuove, per il decennio precedente a quello del mio sviluppo musicale: gli anni 80.
Quindi per l’ennesima volta: no, la rosa tatuata è del 96, i Guns ho iniziato ad ascoltarli nel 2004!
Mentre camminavo e pensavo a queste cose mi ha colpito quella che, per me, è la più forte forma di Madeleine che vi possa mai colpire: quella musicale.
E’ iniziata Come as you are e io mi sono trovata catapultata in camera mia, in camera di Sara, la semi oscurità forzata, i posaceneri pieni, Sara che si mette i capelli dietro le orecchie, che prova con le bacchette su ogni superfice dura che incontri, con il tomo d’italiano aperto davanti, con la copertina color abete, i nostri anfibi, la sua cartella di Fido Dido, la mia devastata dalle scritte il primo giorno che l’ho comprata, e così ce l’ho ancora, radio Dj accesa in sottofondo, perché Sara si addormentava così. Due in un letto singolo, in corriera a salare la scuola, a casa del padre, mia, della madre, come commessi viaggiatori sempre all’opera.
Come facevamo ad avere quelle facce appese e farci tante risate? E tutti si chiedevano cosa combinassimo, ma noi non combinavamo proprio niente. Con le persone balorde parlavamo solo, perché eravamo curiose e senza tabù. Ti ricordi quella volta che venne fuori che quella maledetta di Scienze aveva detto a mia madre che tu gli sembravi una brutta compagnia, e che la gente pensava che facessimo chissà che, ma non sapeva che mamma ti voleva bene come a una figlia- o meglio: come alla figlia che avrebbe voluto-, e che le aveva risposto a tono? Tu ci eri comunque rimasta malissimo, e come darti torto.
E tu che eri solo sovracarica di mille cose, ma ben disposta col mondo. A me, invece, quel mondo terrorizzava, e non volevo averci a che fare; ero capace solo di litigarci con le persone.
E come tu avevi sistemato quella spallina del vestito che mi stavo provando in camerino, mentre io ero nel panico più totale perché non lo volevo comprare e la spallina si era rotta per errore, e da lì in poi ho pensato tu fossi una specie di McGiver in versione femminile. Mi tagliavi pure la pizza al ristorante, se proprio vogliamo dirla tutta. E mi portasti in salvo al concerto, quando ero svenuta per tutta quella ressa e lo stare troppo in piedi. Come hai fatto?
Poi non capivo come facevi a giocare così con i sentimenti dei ragazzi, per me era inconcepibile, e forse quello più di altre cose mi rendeva ostile nei tuoi confronti. Lo trovavo profondamente disonesto.
E tu non capivi il mio perenne stare in guardia, sempre pronta a fare questione.
Sai, spesso ci ho ripensato con rammarico: avremmo dovuto mettere su un gruppo. Sarebbe stato lo scenario migliore per portare avanti un’amicizia così …no, non lo dirò, chè se no mi scambiate per Celentano.
Tutto questo in quella canzone, cento metri a piedi. Sono uscita da questi pensieri, con il sudore che iniziava a farsi sentire appena, e ho capito che mi ero persa un pezzo del mio passato.
Grazie ai Nirvana, ce l’ho sempre a portata di mano.
Ciao Sarè, stammi bene.

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