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Adesso basta. I centri per l’impiego vanno chiusi?

Creato il 17 marzo 2016 da Propostalavoro @propostalavoro

I centri per l’impiecpigo vanno chiusi?

Ottomila operatori, 550 uffici sparsi per il territorio nazionale, un costo che supera abbondantemente i 400 milioni annui e una capacità di intermediazione che non raggiunge il 4%: quella che dovrebbe essere la struttura “trainante” dei servizi per mercato del mercato del lavoro italiano è in verità una realtà vecchia, i cui comportamenti e le cui azioni sono improntate alla mentalità del vecchio ufficio di collocamento.

Li ricordate? Sono stati “superati” dalla riforma Treu del 1997, attraverso il quale da un lato sono state trasferite le relative competenze alle regioni, dall’altro sono stati previsti tutta una serie di servizi e funzioni prima inesistenti, i principali riferibili all’ambito delle politiche attive del lavoro. In realtà non è cambiato granché: nonostante gli investimenti avvenuti negli scorsi anni (principalmente attraverso le risorse del Fondo Sociale Europeo), i centri pubblici per l’impiego non sono stati in grado di adeguarsi ad un mercato del lavoro in continua evoluzione, che ha necessità di servizi di qualità e di rapidità d’azione.

I motivi sono molteplici: risorse finanziarie e umane limitate, competenze del personale inadeguate, struttura organizzativa burocratica. Fatto sta che anche nelle regioni del nord le aziende preferiscono spendere e rivolgersi alle agenzie del lavoro piuttosto che rivolgersi ad un CpI, dove – ad esempio – un’azienda può dover attendere due settimane per avviare un tirocinio formativo (magari sentendosi rispondere che “occorre attendere la riunione settimanale del comitato strategico sui tirocini”), dove un disoccupato deve aspettare mesi per un colloquio di orientamento o un bilancio delle competenze.

È evidente che in una situazione simile Garanzia Giovani non potesse raggiungere gli obiettivi definiti in sede europea, ossia dare un’opportunità di studio o di lavoro a qualsiasi giovane tra i 15 e i 25 anni (che poi in Italia sono diventati 29 anni): delegare la gestione del piano GG ai servizi pubblici per i lavoro, così come sono, è stato come pompare acqua dentro un circuito idrico pieno di falle.

Lo stesso Jobs Act sarebbe dovuto intervenire per riformare profondamente l’organizzazione dei servizi pubblici per l’impiego, che dovrebbero essere gli strumenti principali per rafforzare l’azione delle misure di politica attiva del lavoro, ma così non è stato. Anzi, aldilà delle promesse, attualmente questo resta il grande buco nero della riforma del mercato del lavoro del Governo Renzi, che ha provato – non riuscendoci – a trovare un equilibrio tra le competenze dello Stato e quelle delle regioni.

Con riferimento ag

competenze
li indirizzi generali in materia di politiche attive del lavoro, il Decreto Legislativo 14 settembre 2015, n. 150  attribuisce al Ministero del Lavoro – previa intesa con la Conferenza Stato, Regioni e Province autonome – la funzione di individuare le linee di indirizzo e gli obiettivi in materia di politiche del lavoro, e il compito di specificare i livelli minimi delle prestazioni che devono essere erogati su tutto il territorio nazionale. Il decreto non supera il nodo della dualità tra Stato e regioni in materia di politiche del lavoro – la Conferenza Stato, Regioni e Province autonome in questi anni non ha dato prova di essere un organismo capace di scelte rapide ed efficaci – né sembra idoneo a realizzare una ripartizione di competenze chiaramente definita.

Il decreto affida all’Anpal il ruolo di coordinamento della Rete dei servizi per le politiche del lavoro, mentre affida la gestione amministrativa dei centri per l’impiego e delle politiche attive del lavoro alle regioni e alle province autonome, alle quali sono anche attribuiti – previa convenzione stipulata tra il Ministero del Lavoro e ogni singola regione e provincia autonoma – tutta una serie di ulteriori funzioni, quali  – ad esempio – l’accreditamento degli enti di formazione, i servizi per il collocamento dei disabili e individuazione di misure di attivazione dei beneficiari di ammortizzatori sociali.

Patto di servizio personalizzato, orientamento di base, analisi delle  competenze, orientamento individualizzato, gestione di incentivi alla mobilità territoriale: sono solo alcuni degli strumenti che il Jobs Act promette ai lavoratori, attraverso il Decreto Legislativo 14 settembre 2015, n. 150. Dimenticando però di progettare la struttura operativa  che deve dare gambe a tali obiettivi: non possono certo essere i centri per l’impiego, che vanno ripensati e riformati profondamente. Altrimenti sarebbe meglio chiuderli.

                                                                                                                  Gianluca Meloni


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