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Aids: maggiori i casi di eterosessuali (46%) rispetto a quelli omosessuali (29%)

Da Sabins
Aveva fatto scandalo, qualche mese fa, la storia del ragazzo gay, da sempre donatore di sangue, a cui era stato impedito di donare il sangue proprio a causa della sua omosessualità. Ora, un ricerca scientifica, pare non solo smontare per l’ennesima volta quella tesi, bensì ribalta il risultato e annulla il luogo comune. Secondo l’Istituto superiore di sanità, nel 2008 le infezioni da Hiv erano 13.808 casi eterosessuali che indicavano il 46% di tutte le segnalazioni. Rosaria Iardino, presidente del Network persone sieropositive commenta così la notizia:
“Sebbene la vigente normativa nazionale (il DM 3 marzo 2005 sui protocolli per l’accertamento della idoneità del donatore) e quella europea non definiscano i comportamenti sessuali atti a determinare l’esclusione permanente dalla donazione - prosegue Iardino - il Centro trasfusionale e di immunoematologia dell’Ospedale Maggiore Policlinico di Milano ha inserito tra le cause di esclusione i rapporti omosessuali tra maschi. Se i controlli sono efficaci - prosegue la presidente di Nps Italia - è necessario rimuovere i rapporti omosessuali tra maschi dall’elenco delle cause di esclusione per i donatori, che, secondo i dati dell’Istituto superiore di sanità, rappresentano solo il 29% dei casi, contro il 46% dei contatti eterosessuali”
E ha anche un messaggio chiaro proprio per la Regione Lombardia:
“Alla luce di queste considerazioni, è bene che la Regione Lombardia e le strutture sanitarie presenti sul territorio prendano atto dei dati, evitando di discriminare donatori omossessuali, e facciano le dovute verifiche sulle procedure di screening: sarebbe sufficiente effettuare le dovute analisi sul sangue dopo tre mesi, così come previste per legge, per verificare l’assenza o la presenza di patologie infettive. Una diversa posizione in tal senso, solleverebbe forti dubbi sulle procedure di screening. Il diritto alla sicurezza di tutto il percorso trasfusionale deve essere garantito dalle procedure di screening, non dall’esclusione di alcuni soggetti perché considerati a priori a rischio”

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