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Al Cinema: recensione "The Green Inferno"

Creato il 29 settembre 2015 da Giuseppe Armellini
Cinema: recensione
Una tremenda delusione...
Venticinque minuti formidabili non salvano, o al massimo salvano per un pelo, un film per il resto pervaso da un trash (in)volontario privo di talento.
Alla fine non so nemmeno se sia stato un vantaggio o un piccolo handicap.
Sta di fatto che mi sono approcciato alla visione di The Green Inferno (sulla cui odissea di distribuzione non mi soffermo perchè l'avranno fatto quasi tutti gli altri, molto più informati e interessati di me alla cosa) senza aver visto un solo cannibal movie in vita mia, o comunque nessuno di quella stagione del cinema italiano che il film di Roth, dicono, richiama.
Deodato, scusami.
Quindi almeno il 27% del possibile materiale di recensione, quello del confronto e dei richiami, lo perdo.
Me ne farò una ragione.
Mi resta il film che è sempre, o quasi sempre, l'unica cosa che deve interessare.
E mi ritrovo una pellicola per certi versi imbarazzante, uno di quei film che vorresti amare ma proprio proprio non ce la fai.
Tutto quello che scriverò è ovviamente contestabile, specie con la motivazione, in primis, che Roth è così, uno che il trash lo ama, uno a cui piace andare in basso, molto in basso, uno che non si prende mai sul serio.
E vivaddio dico io, ma a me piace chi ste cose le fa con talento.
E io di talento nella scrittura dell'inferno verde, non voletemene, non ne ho visto.
Cinema: recensione
Da bambini si ride anche solo per delle parole "proibite", la famosa logica del cacca-piscio-culo-pisello.
Ecco, mi sembra che Roth si sia fermato a quella stagione della vita.
Sulla cacca abbiamo una scena che non fa per niente ridere e non ha alcun senso (ma possibile che in mezzo ad una tribù indigena e dopo aver visto un tuo amico macellato e mangiato diventa una preoccupazione fare un peto e una cacarella?).
Sul piscio abbiamo la scena del bagno "sbagliato", il ragazzo che in tutta la giungla la va a fare proprio dove è la ragazza. "Questo è il bagno delle ragazze" le dice lei. Beh, non fa ridere.
Sul pisello riusciamo a far doppietta vedendo prima quello del ragazzo pisciante appena citato e poi l'ennesima scena senza alcun senso, quella della masturbazione.
Ecco, a quel punto io avrei fatto di meglio sulla questione culo e invece no, il regista della prima mezz'ora di Hostel, il regista amante della fregna come pochi altri, stavolta sta abbottonato in tal senso.
(ripeto quello che ho detto all'inizio, per qualcuno queste saranno trashate d'autore, per me no. Io poi sono uno che ama Austin Powers eh, non uno di bocca buona...)
Cinema: recensione
Ma il problema è a monte.
I primi 25 minuti sono qualcosa di quasi inguardabile, "insentibile", insopportabile. Nemmeno nei peggio college movie assistiamo a dialoghi così scadenti, ad accadimenti così scontati, al tentativo di parlare dei problemi del mondo in un modo così stereotipato.
Non c'è scrittura, non ci sono gli attori, non c'è niente.
Poi, miracolo, arriva la fantastica sequenza dell'incidente aereo (anche quella della manifestazione nella giungla non era male).
Poi arriva quella, anche questa notevole. della "deportazione" dei sopravvissuti nella tribù con quel toccar capelli, quelle grida, quei colori stupendi, quel caos così affascinante.
Poi arriva la prima macellazione e ci porta in una specie di olimpo dello splatter, magistrale.
Ecco, questi 20 minuti sono dei grandissimi 20 minuti.
E poi si torna al CPPC, il palindromo del caccapisciopiselloculo.
L'atmosfera è affascinante, la tribù visivamente notevolissima, il loro capo, una specie di Jack Sparrow donna, buca lo schermo, anche se l'unico effetto che suscita sono risa.
E gli indio rossi, quello nero, le teste impalate, le scene delle scorpacciate (il nero grasso all'inizio non era un solo pasto, ma una sagra), le location, la scena del fiume, il ragazzo mangiato vivo tipo finale di Profumo, c'è tanto di bello da vedere.
Ecco, se di talento vogliamo parlare possiamo azzardare quello visivo, questo sì.
Cinema: recensione
Ma la scrittura, lo ripeto, è ai minimi.
Anche se qualcosa di interessante c'è, come la beffa di essere imprigionati e mangiati proprio dagli indigeni che eri venuto a salvare, come l'ipocrisia che si cela dietro gli attivisti, come il simpatico, ma non banale, riferimento al veganismo.
Ma in un film che ha il CPPC come motore principale, in un film in cui la scena narrativamente più importante (perchè turning point per farli uscire) è quella di un'intera tribù inebriata da una bustina di marijuana come puoi dopo credere a quello che di importante c'è dentro?
Del finale, del sogno, dei nuovi attivisti e specialmente del presunto colpo di scena nei titoli preferisco non parlare per sanità mentale.
Chi vedrà tutto come geniale ha tutta la mia stima, non la mia approvazione ma la mia stima.
Però capisco quel ragazzo che si è alzato dalla sala scuotendo la testa ed è uscito.
Poi è tornato.
Poi si è alzato di nuovo scuotendo la testa. Ed è uscito ancora. Ma stavolta passandoci vicino ci ha detto "che film di merda ragazzi".
E poi a fine film usciamo e ce lo ritroviamo appena fuori l'entrata, ancora intento ad offrire il suo Verbo chefilmdimerda a chiunque incontrava.
In realtà è un film anche di pipì, piselli e vagine celate, non solo di merda e diarrea.
E ripensi ai Rumley, ai Wheatley, e a tutti quelli che non hanno il carrozzone di Roth per promuovere i loro film.
Però, in ogni caso, sto Roth è divertente e non si prende sul serio.
E, alla fine, impossibile volergli male.

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