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Alessandro Farinella-Road To Damascus

Creato il 04 settembre 2012 da Athos Enrile @AthosEnrile1

 

Alessandro Farinella-Road To Damascus

Road To Damascus è il secondo CD di Alessandro Farinella, artista milanese di lungo corso, propositore di una musica progressiva di qualità. Quarantasei minuti di suoni coinvolgenti che mi hanno riportato ai miei amori musicali più importanti, evidentemente gli stessi di Farinella. E’ un lavoro arduo quello che tocca ad Alessandro e a tutti quelli che, come lui, hanno subito influenze che lasciano un segno incancellabile, perché ci sarà sempre qualche ‘esperto’ che si divertirà a sottolineare dei dejà vu sonori, giudizi che implicitamente sanno di lieve e innocua condanna. Road To…’ è un riassunto di ottime eredità passate… fortunatamente. Ritengo che proporsi con la musica che sia ama - e non con quella che si calcola possa essere  più vendibile - sia un atto di estrema onestà, e anche di coraggio. Ma al di là di ciò che ogni attento ascoltatore prog può riconoscere come DNA personale, questo album è davvero gradevole, e non richiede il minimo sforzo - spesso accade di dover riascoltare più volte - di assimilazione. Atmosfere romantiche, epicità, disegni medievali ed applicazione di un disciplina concettuale, probabile espressione degli approfonditi studi filosofici di Farinella. E attraverso il ricorso alla mitologia e alla storia si creano allegorie musicali che tracciano percorsi di vita riconducibili ai giorni nostri, tra la denuncia e la constatazione che i leitmotiv della vita cambiano solo aspetto, ma resta la sostanza, spesso poco piacevole. Anche io faccio il mio esercizio di ‘rappelle’ e sottolineo facili, positive,  analogie con mondo targato ‘YES e Genesis’, e quando ci si trova dinanzi ad una fusione di stili di tale portata, se gli attori sono di qualità, occorre rallegrarsene. Nelle righe precedenti ho sottolineato come questa musica sia rivolta ad un pubblico di nicchia, al popolo prog, ma è un concetto scritto … a fatica, perché suona come riduttivo nei confronti di musicisti come Alessandro Farinella -  e ce ne sono molti - , capaci di fornire grandi emozioni attraverso la loro arte. La mia solita speranza è che i ‘nostri giovani’ entrino in contatto, magari casualmente, con album come ‘Road To Damascus’, per avere una possibilità di comparazione con quanto viene normalmente fornito dai canali ufficiali. Nelle righe a seguire Alessandro Farinella si racconta attraverso la sua biografia, dopo aver risposto ad alcune domande. Il brano ‘Natural’ risulterà esemplificativo del pensiero da me espresso. Una bella scoperta.

Alessandro Farinella-Road To Damascus
L’INTERVISTA Risalendo alle tue note biografiche emerge il tuo amore per la musica progressiva, anche se eri troppo giovane per poter godere appieno la genesi. Quale è stata la scintilla che ti ha illuminato?

In questo caso sono stato fortunato. Mio fratello ha qualche anno più di me e fin da piccolo sono cresciuto ascoltando Van der Graaf Generator, ELP e Genesis. Ma i primi dischi che mi hanno veramente influenzato sono stati ‘Pictures at an Exhibition’ degli ELP e ‘Uomo di pezza’ de Le Orme. Nello stesso tempo prendevo le prime lezioni di pianoforte e va da se che il fascino delle melodie di Mussorgsky o la cantabilità di alcuni brani dei Genesis mi abbiano influenzato più di ogni altra cosa sentita in seguito. Mio fratello mi faceva ascoltare anche i King Crimson, Roxy Music, le sperimentazioni di Brian Eno e mi ha fatto scoprire uno degli artisti che mi ha più condizionato nel corso degli anni: Anthony Phillips, la cui diretta semplicità e il talento cristallino sono stati per me un faro a cui attingere ispirazione a piene mani nel corso degli anni. Mi potresti evidenziare le tue linee guida musicali, sia dal punto di vista degli artisti che da quello degli album storici? Di certo lavori come ‘The lamb lies down on Broadway’ dei Genesis o ‘The geese and the ghost’ di Anthony Phillips sono stati una fonte di ispirazione costante nel mio lavoro e nella mia educazione musicale. Pur avendo iniziato a studiare il pianoforte fin da piccolo, la suggestione di un mondo epico e, nella fantasia di un adolescente, magico, espresso dalla musica di Anthony Phillips o di Steve Hackett, sono stati per me lo stimolo per imparare a suonare la chitarra. Nello stesso periodo, avrò avuto 12-13 anni, ho scoperto gli Yes e a costo di consumare l’album ho imparato a suonare ‘Turn of the Century’, un pezzo contenuto in ‘Going for the one’, del 1977. Nello stesso periodo, per motivi totalmente estranei alla musica, ho scoperto un altro personaggio che avrà ad influenzarmi profondamente e a lungo: John Denver. La sua facilità alla melodia e la potenza e chiarezza della sua voce hanno sicuramente esercitato sulla mia fantasia di adolescente una potente suggestione.

Sempre nelle tue note bio emergono situazioni di “delusione” musicale. Come giudichi l'attuale business che regola la musica e i suoi protagonisti?

Sono una persona che mal si presta ai meccanismi del mercato discografico. Ho sempre preferito fare un passo indietro di fronte a situazioni poco chiare o che pensavo avrebbero potuto arrecarmi danno nel lungo periodo. Negli anni 1993-1995 il mio ex gruppo, i Theatre, mi ha derubato di un album che avevo quasi esclusivamente scritto io nel corso della mia militanza con loro dal 1987 al 1993, per non parlare di RTI music che non mi ha mai riconosciuto la realizzazione di diverse musiche per documentari realizzate per Tele+ e che sono andate in onda per anni. Non potendo sostenere cause contro personaggi molto più potenti di me, la delusione che ne è derivata mi ha spinto a lasciare il mondo della musica per molti anni ed è stata solo l’amicizia di un promettente session man a convincermi che il mio talento non doveva essere gettato al vento ma coltivato e che avrebbe potuto concretizzarsi ancora in qualcosa di valore. Ad ogni modo non so quanto un musicista come me possa interessare ad una major, ma credo molto poco. Preferisco pensare a me stesso come a un artigiano della musica ed è solo la passione per il progressive di Massimo Orlandini che mi ha consentito di pubblicare adesso le mie canzoni. Io scrivo musica prima di tutto per me, per dimostrare che ne sono in grado. Per me è una sfida confrontarmi con i grandi del progressive degli anni ’70 e vedere se ho imparato la loro lezione. E’ vero che di delusioni ne ho avute dal mondo della musica ma ho avuto anche delle grandi soddisfazioni: essere stato in grado di presentare al pubblico una riduzione acustica di ‘The lamb lies down on Broadway’ è stata una cosa speciale e che, ne sono più che convinto, potevamo fare solo io e Silvio Masanotti, mio partner in quell’avventura.

Che cosa è per te una performance live, quanto ami il contatto col pubblico?

Quando suonavo esclusivamente le tastiere con i Theatre ero letteralmente terrorizzato dal contatto con il pubblico e cercavo solo la perfezione della mia performance a scapito di qualsivoglia empatia con la gente che invece mi sosteneva. Apparivo freddo e scostante, in qualche modo volevo essere antipatico, ma era solo una forma di difesa per potere controllare l’emozione dei primi successi di pubblico raggiunti con la mia band. Nel corso degli anni ho cambiato radicalmente il mio atteggiamento con il pubblico e mi sono scoperto intrattenitore e amante del contatto più diretto con la gente. Ho infatti imparato a suonare anche la chitarra ed a cantare, sono andato per molti anni a lezione di canto da quello che ora è il mio amico e collaboratore Guido Block, solo per potere raccontare alla gente guardandola negli occhi le storie delle mie canzoni. Ora quando scrivo una canzone lo faccio con l’obbiettivo di cantarla, o al piano o alla chitarra, io stesso avendo sempre presente che il pubblico è li per sognare ad occhi aperti ed io devo essere in grado di regalare loro questo sogno.

Che cosa ottieni dal jazz che l'altra musica non ti dà?

Il jazz mi ha insegnato ad ascoltare e scrivere la musica in modo molto più completo. Grazie al jazz ho imparato a scrivere le parti per tutti gli altri strumenti. Soprattutto l’insegnamento di Duke Ellington mi è stato utile per capire che una melodia è solo un biglietto da visita per la musica, poi la persona deve essere elegante se no anche la più bella melodia perde di attrattiva se il vestito è incompleto o sciatto. Per questo motivo il jazz mi ha aiutato a rendere elegante la mia musica dal punto di vista della scrittura e allo stesso tempo l’improvvisazione mi spinge a sperimentare sempre nuove possibilità armoniche che cerco, per quanto mi è possibile, di cristallizzare nei miei pezzi.

Quanto hanno influito i tuoi studi di filosofia sulla musica che proponi? Grazie alla filosofia di Platone ho imparato che nell’universo esiste una armonia che rispecchia l’armonia presente nella mente del creatore. La musica, che è matematica, attraverso il tempo e le frequenze dei suoni fa risuonare nell’anima dell’uomo, anch’essa composta da una relazione matematica, le corrispondenti emozioni. La parola inoltre, per mezzo del testo, consente all’immaginazione di rivivere in modo potentissimo la visione del compositore. Orfeo, l’inventore della musica accompagnata dal testo fu uno dei primi e venerati filosofi dell’antichità. Esisteva addirittura un canto, detto “orfico” che fu alla base degli studi di molti compositori e filosofi del ‘500. Sia nel primo CD, ‘Momo’, che in ‘Road to Damascus’, ho voluto rendere omaggio alla figura di Orfeo in canzoni che ne ripercorrono le gesta. Ma il mio tributo alla filosofia non si esaurirà certo qui. La filosofia ha una lunga storia e mi piacerebbe scrivere ancora su qualche tema legato alla storia della filosofia.


Mi parli della tecnologia applicata alla tua musica?

Cerco, per quanto nelle mie possibilità, di avere sempre la tecnologia migliore al servizio della mia musica anche se la qualità degli strumenti di registrazione e di riproduzione ha un costo talmente elevato che mi costringe a realizzare in molta parte la musica negli studi di registrazione. Ma se dipendesse da me realizzerei uno studio privato con gli strumenti più costosi. Purtroppo la tecnologia più pregiata è un privilegio che non mi posso ancora permettere.


Può esistere l'amicizia vera nel mondo della musica?
Perché no! L’importante è che ci sia il rispetto reciproco tra le persone, poi l’amicizia in senso stretto è una cosa talmente difficile anche nella vita che è naturale che sia rara anche nella musica. Hai qualche rammarico per un'azione che non hai avuto il coraggio di intraprendere? Ce ne sono tante di cose che avrei voluto fare e poi non ne ho avuto il coraggio. Ma non ho rimpianti per questo. A volte è meglio non agire ed aspettare che le cose si evolvano da sole per vedere se effettivamente era necessario fare quell’azione. Il più delle volte il tempo mi ha dato ragione.
Che cosa vorresti ti accadesse, musicalmente parlando, nei prossimi tre anni?
Trovare finalmente dei musicisti che abbiano interesse nella mia musica, così da mettere in piedi una band e presentare il mio lavoro dal vivo. Vorrei dei professionisti che si rendessero conto della passione che metto nel mio lavoro e che non mi chiedessero soldi solo per la loro attenzione.
E magari, ma questo è un sogno, trovare una casa discografica che credesse in me e nel mio lavoro per produrlo in modo molto più professionale di quanto riesco a fare da solo con un budget limitato.


Line up: Alessandro Farinella: Tastiere, voce
Roberto Gualdi: Batteria
Guido Block: Chitarra
Pietro Foi: Basso

Anno: 2012
Label: Ma.Ra.Cash Records
Genere: Progressive Rock
Tracklist:
01. The Battle
02. The Brave
03. Road to Damascus
04. Natural
05. Valley of Tears
06.
Euridice
Biografia di Alessandro Farinella Sono nato a Milano il 26.08.1967. Ho iniziato a suonare il pianoforte a 5 anni assieme a mio fratello maggiore, e la chitarra classica a 11. Le mie prime influenze sono state per il pianoforte Keith Emerson e Tony Banks e per la chitarra Steve Hackett e Anthony Phillips. Nel 1987 ho dato vita ai Brainstorm con il cantante Jean Marie Guieu e al chitarrista Pietro Foi. I Brainstorm facevano prevalentemente cover dei Marillion e dei Genesis. Con il completamento della band con Piero Ottanà al basso e Alessio Cobau alla batteria abbiamo iniziato a presentare dal vivo il concept dei Marillion Misplaced Childhood. Nel 1989, dato che avevamo sempre più materiale nostro, abbiamo cambiato il nome in Theatre e abbiamo realizzato anche un paio di Demo tape che hanno riscosso molti consensi in molte fanzine europee specializzate nel progressive. Anche la nostra attività live si è intensificata al punto che eravamo uno dei gruppi fissi nel calendario di un famoso locale milanese dell’epoca, il Magia Music Meeting. L’ultima mia data con i Theatre è stata nel 1993 al Bar-Itono, sempre di Milano.
A causa di dissensi con il nuovo cantante, e anche per il mio desiderio di studiare jazz, ho lasciato la band e mi sono messo a studiare piano jazz, prima con Marco Bianchi al NAM, e poi con il maestro Ettore Righello al Piccolo Conservatorio.

Vista la mia dipartita dai Theatre il nuovo cantante del gruppo Riccardo Tonco pensò bene di rubarmi la musica e di farla pubblicare a mia insaputa da un editore di San Remo, la Mellow Records. Io ho tentato per circa una decina di anni di portare in tribunale il titolare della casa editrice Mauro Moroni ma senza alcun risultato se non un generico atto di sequestro del supporto da parte del tribunale di Milano. Nello stesso periodo ho realizzato per Tele+ diverse musiche per documentari. Purtroppo queste musiche non mi sono mai state ne riconosciute ne pagate da RTI Music. Dopo queste grandi delusioni ho abbandonato completamente la musica per laurearmi in filosofia all’Università statale di Milano nel 1998.
L’amicizia e la frequentazione con il chitarrista Silvio Masanotti mi hanno convinto a tornare a fare musica nel 2003. Nel 2004, in versione acustica, io e Silvio abbiamo presentato dal vivo una riduzione dell’opera dei Genesis ‘The lamb lies down on Broadway’, performance nella quale io mi alternavo alla chitarra acustica e al piano per accompagnarmi al canto.
Sempre con Silvio Masanotti ho iniziato a lavorare ad un primo progetto solista che ha visto la luce nel 2008 dal titolo Momo ed edito dalla BTF.
Finita la collaborazione con Masanotti ho deciso di cambiare produzione per il secondo CD e mi sono affidato interamente alla professionalità di Guido Block e con lui ho portato alla luce il mio ultimo lavoro dal titolo ‘Road to Damascus’.

 


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