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Annales – Palmiro Togliatti

Creato il 11 settembre 2012 da Lundici @lundici_it

Se si chiedesse a chi era parte del PCI, il partito comunista italiano, militante o dirigente, ultimo rappresentate della più sperduta provincia o primo delfino, chi fosse il capo, tutti risponderebbero con sicurezza fideistica: lui, Palmiro Togliatti.
Togliatti, il Migliore, fu l’uomo che rese possibile l’impalcatura della più grande burocrazia partitica dell’Occidente, appunto il Partito Comunista italiano.  Una figura storica che trascese i confini italici (a lui fu intitolata una città nella ex-URSS), anche come conseguenza dell’importanza che rivestì il Paese durante la guerra fredda.


Questa rubrica si ispira ai metodi di una corrente della storiografia che identifica le cause del divenire storico negli ampi movimenti economici, politici e sociali che trascendono i singoli uomini e/o che coinvolgono diverse generazioni.
Ogni contributo della rubrica riassume e “iconizza”, in antitesi con i dettami della scuola delle Annales, in un singolo fatto o personaggio l’accadimento descritto.

Se volete contribuire, mandate il pezzo alla redazione.


Il ruolo di Togliatti durante la guerra fredda fu certamente di primo piano, e non vi è dubbio che il Togliatti “sovietico” fu una straordinaria macchina di consenso al comunismo russo e di trasporto verso “il sol dell’avvenir”. A differenza di Gramsci, forse troppo autonomo ed “intellettuale”, Togliatti fu infatti l’idolo di milioni di comunisti ed anti-fascisti che cercavano giustizia e riscatto dopo gli orrori del ventennio.
A molti, solo per esempio, piace ricordare che una vittoria di Bartali al Tour de France del 1948 (caldamente sollecitata da De Gasperi e pre-benedetta dal Papa), impedí la guerra civile in Italia dopo l’attentato del 14 Luglio 1948 al Migliore.
Togliatti mai seppe né volle redimere la sinistra dal cordone ombelicale sovietico, inquadrato nella sua trans-nazionale missione di promozione alle masse del “sol dell’avvenir”. Al suo funerale parteciparono un milione di persone (per la questura di quei tempi non era presente neanche il cadavere), inconsapevoli però delle crudeltà, dettate dalla supremazia dell’agenda sovietica, di Togliatti verso il suo stesso popolo .

Ma la colpa piú grande fu quella di cui poco si parlò o se ne discute meno.
Togliatti, l’amnistiato (nel 1925 in seguito al suo arresto da parte del regime fascista), si rese protagonista del più importante tentativo di pacificazione nazionale del dopoguerra italiano. Nel giugno del 1946 il Presidente della Repubblica promulgò l’atto voluto dal Ministero di Grazia e Giustizia guidato da Palmiro il rosso con il quale si esentavano dalle pene coloro i quali si fossero macchiati di reati di collaborazionismo e di omicidi politici dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. Vale a dire: i fascisti più irriducibili, coloro che continuarono a spargere sangue dopo il fischio finale.
In tanti beneficiarono di questa amnistia che voleva tracciare un segno di palingenesi per la nascente Repubblica democratica italiana. Per la verità il provvedimento fu la conseguenza di un atto puramente burocratico del ministero e non un vero e proprio intervento di segno politico, forte e incisivo, che avrebbe permesso, invece, la fine dell’eterna diatriba tra fascisti e comunisti che ancora continua, in forma clownesca, nell’Italia di oggi (le ultime notizie danno in vantaggio ancora i fascisti per milioni di goals a zero).
Non si stabilí infatti che il fascismo fu una pagina nera della nostra storia e, di naturale conseguenza, che l’appena nata Repubblica non avrebbe dovuto avere niente a che fare con esso.
Al contrario la mentalità, le burocrazie fasciste e perfino gli stessi interpreti del fascismo furono autorizzati a  reinventarsi e persino a rimanere attaccatati alle istituzioni repubblicane, contaminando inoltre la politica digiuna di democrazia, inquinando in embrione la Democrazia Cristiana, il partito pagato dallo stesso potere agrario, industriale e religioso che aveva visto con benevolenza (se non incoraggiato) l’insorgere del fascismo.

Il fatto che sia stato proprio il rosso Togliatti a firmare tale legge italiana è una delle amare ironie della storia. Il rivoluzionario fu il promotore, si potrebbe dire il costituente unico della Repubblica italiana a venire, (ri)fondata sulla doppiezza democristiana, l’ipocrisia cattolica e una identità nazionale simile a quella di Topolinia.
Se si fosse mutato l’inno nazionale nella celebre canzone napoletana – “chi ha avuto ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato ha dato, scurdammoce ‘o passato…” – forse si sarebbe interpretato di più lo spirito di questa pacificazione monca ed iniqua.
Ancora una volta un uomo si erse, casualmente o scientemente, a rappresentante del volere e del pensiero di una larga maggioranza concretando la fine di un periodo storico/politico/sociale e l’inizio di uno successivo.
In questo caso il Migliore, con il decreto, uccise, o meglio, rappresentò l’ infanticidio della speranza di un’ Italia veramente diversa, se non da quella che originò il fascismo, almeno da quella fascista tout-court.
Allontanando lo sguardo dalla mappa della storia italiana e guardandola da lontano, si può capire semplicemente perché, a sessantanni da questa legge voluta da tutti, firmata da uno e ricordata da nessuno, il Paese non abbia mai avuto un humus di giudizio equo e rispetto per la Storia che, al contrario, è più facile rintracciare nella Germania del post nazismo o nel Sudafrica del post apartheid al netto dei fisiologici rigurgiti uncinati e razzistici.
Italia non fecit saltus. Nunquam.


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