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Arturo Toscanini

Da Paolo Statuti

Arturo Toscanini

Arturo Toscanini

 

Jerzy Waldorff col suo bassotto Puzon (Trombone)

Jerzy Waldorff col suo bassotto Puzon (Trombone)

   Jerzy Waldorff-Preyss (1910-1999), barone polacco, scrittore, pubblicista, critico musicale. Fu un grande divulgatore della cultura, promosse e realizzò numerose importanti iniziative sociali e artistiche. Personaggio estroverso e geniale della Polonia Popolare. Scrisse più di venti libri. Uno di essi – Diavoli e angeli – uscito nel 1971, è una brillante galleria di ritratti dei più grandi direttori d’orchestra del XX secolo. Da questo libro ho tradotto per i lettori del mio blog queste belle pagine dedicate ad Arturo Toscanini.

 

  …Arturo Toscanini fu per vocazione e operosità il più grande direttore d’orchestra di tutti i tempi. Nacque il 25 marzo 1867 a Parma, città situata in una parte dell’Italia particolarmente cara alla musa Polinnia. Non lontano infatti, a Roncole, era nato Giuseppe Verdi, e nella non troppo distante Cremona operarono un tempo i liutai Stradivari e Guarneri. Il padre di Toscanini era un modesto sarto, che non ebbe mai niente in comune con l’arte, e a tal punto non andava d’accordo col figlio, che quando questi raggiunse la maggiore età, i loro rapporti cessarono del tutto.

   Intanto Arturo si formava come borsista al Conservatorio di Parma. Gli allievi che vivevano nel convitto, erano sottoposti a un regime di vita e di lavoro di tipo conventuale, e raramente potevano varcare le mura della scuola. All’inizio il giovane prende lezioni di violoncello, in seguito decide di diventare compositore, ma la sua carriera di direttore d’orchestra è legata – come spesso accade in arte – a un caso che nessuno si aspettava.

   Dopo aver terminato il Conservatorio, il diciannovenne Toscanini entra a far parte di una troupe operistica italiana e con essa giunge a Rio de Janeiro. Là scoppia una violenta lite tra l’orchestra e il suo direttore, in seguito alla quale i musicisti, poche ore prima della rappresentazione dell’Aida, cacciano via dal podio l’odiato direttore. La sala era gremita di Brasiliani dal temperamento non meno sanguigno degli Italiani. C’era il rischio di una scenata e di uno scandalo. La direzione della compagnia italiana, trovatasi in una situazione senza via d’uscita, affida la bacchetta al violoncellista Toscanini, che già da tempo viene definito un “genietto”, un talento versatile capace di assumersi qualsiasi compito musicale. Arturo Toscanini accetta di dirigere l’Aida di Verdi, e lo fa…a memoria, senza guardare lo spartito e senza neanche una prova, per mancanza di tempo. Il successo fu così grande, che da quel giorno non tornò più al violoncello.

   Di quel periodo si sono conservate le prime fotografie conosciute di Toscanini, nelle quali vediamo un moretto basso e snello, coi baffi arricciati, vestito con dubbia eleganza, che in nessun modo fa immaginare il futuro artista di fama mondiale. A ventiquattro anni dirige al teatro Dal Verme di Milano la prima esecuzione dell’opera I pagliacci di Leoncavallo, e consolida sulle scene italiane la posizione delle opere di Wagner, come l’Olandese volante, il Tannhäuser, il Crepuscolo degli dei e Sigfrido. A differenza di altri grandi direttori d’orchestra europei e americani che trascorsero venti, trenta anni e anche più nello stesso posto, Toscanini non restò mai da nessuna parte più di dieci anni.

   Glielo impedivano la sua caparbietà, la convinzione della fondatezza delle sue opinioni, nonché il temperamento focoso. Nel 1896 diresse a Torino la prima della Bohème di Puccini, ma fu un successo a metà e finì quasi tra i fischi della platea, per colpa di Toscanini. Già allora affermava, e su questo punto non cambierà mai idea, che in uno spettacolo operistico, come anche in uno drammatico, non si potevano concedere bis. Il pubblico di Torino invece pretendeva che Mimì della Bohème morisse melodiosamente di tisi per la seconda volta. Arturo Toscanini, benché i bis fossero un’antica usanza italiana, si ostinò a non permettere una simile pagliacciata in senso drammatico. Riuscì a spuntarla, ma il pubblico lasciò la sala infuriato con il direttore.

   La carriera vera e propria di Toscanini iniziò quando, a partire dal 1898, assunse la direzione del primo teatro lirico mondiale in quel tempo, cioè La Scala di Milano. A questo periodo sono legati gli storici meriti di Toscanini: la conquista per il direttore del diritto a una autonoma preparazione di uno spettacolo operistico. Ancora Verdi riteneva che il direttore d’orchestra dovesse avere soltanto il ruolo di metronomo che suggerisce i giusti tempi all’orchestra e alla scena, perché il resto rientra nei compiti esclusivi del creatore della partitura. Toscanini tuttavia riuscì a convincere lo stesso Verdi, allora onnipotente sovrano della musica, che il direttore poteva, attraverso la propria personalità e il proprio contributo di lavoro, dare all’opera una sua vita piena e appropriata. Ottenuta la difficile promozione, il giovane maestro avrà da allora la fama di fedelissimo interprete delle partiture, di uno che si preoccupa soprattutto di rendere nel modo più preciso le intenzioni degli autori. A distanza di anni, nella famosa controversia sul tempo ideale del Bolero, Toscanini riuscì a convincere lo stesso Ravel che il suo tempo di direttore era più giusto di quello del compositore…

   Dal 1908 al 1915 l’impetuoso Maestro dirige al Metropolitan di New York, e più tardi – sempre più celebre – farà la spola tra l’Europa e l’America, eternamente in urto con qualcuno, insoddisfatto di qualcosa, invano e ostinatamente teso alla perfezione, che in arte è tanto più difficile raggiungere, quante più alte sono le aspirazioni dell’artista. Avanzando negli anni, l’aspetto esteriore di Toscanini si nobilitava sempre più, come accade con le persone fuori del comune, nelle quali la bellezza dell’animo modella con l’età anche i volti prima più banali. Ogni nuova ruga sul volto del musicista italiano, era un segnale interessante delle sue lotte per la sognata forma dell’arte che praticava. I capelli imbiancati circondavano la testa come un’aureola e perfino i suoi “sfacciati” baffetti, anch’essi bianchi, diventavano oggetto di culto da parte dei melomani di tutto il mondo. Soltanto gli occhi ardevano e tradivano come sempre lo stesso temperamento.

   Le prove di Toscanini, durante le quali preparava faticosamente le opere per la rappresentazione, erano terribili! Nella sala avevano accesso soltanto pochissimi eletti, e a condizione che si tenessero “nascosti come topi”. Se qualcuno osava incautamente aprire bocca o soltanto starnutire, veniva subito espulso dal direttore con un grande urlo. L’orchestra aveva una paura matta! Tra la stanza del Maestro e il podio venivano messi dei sensori per segnalare il suo arrivo. Nel momento in cui egli appariva doveva regnare un silenzio sepolcrale. Gli strumenti dovevano essere accordati prima e in modo perfetto. La mancata accordatura poteva provocare l’immediata espulsione del musicista dal palco. Accadeva anche che Toscanini, in un impeto di rabbia, picchiasse gli orchestrali sulla testa o spezzasse infuriato il sottile bastoncino, se invece la bacchetta si rivelava troppo elastica per poterla spezzare, l’irruente Maestro estraeva dal taschino l’orologio, lo gettava sul pavimento e lo schiacciava sotto i piedi. A un certo musicista una volta gridò: “Tu scarpaio, maiale, assassino!”, Leo Slezak una mattina si sentì dire che non “era un tenore, ma una bestia”.

   Ma in tutto questo Arturo Toscanini aveva in mente soltanto una cosa: il bene della musica…La parola che usava di più come indicazione per l’orchestra era “cantando”. Cercava di ricavare una distinta cantabilità non solo dal motivo conduttore, ma anche dalle seconde e terze voci nelle composizioni polifoniche. Capitava che si inginocchiasse e implorasse l’orchestra: Pianissimo, pianissimo!”, oppure che estraesse il fazzoletto di seta e lo lanciasse in aria, volendo mostrare, come – similmente al suo ricadere, dovesse gradualmente spegnersi il suono degli archi. Al contrario, volendo ottenere dall’orchestra un suono fortissimo, faceva un salto in aria, minacciando coi pugni e gridando, dopo di che interrotta l’esecuzione chiedeva incollerito: “Chi osa aprire bocca qui?!” E quando gli spiegavano che era lui stesso, subito si calmava e chiedeva scusa all’orchestra.

   Durante le prove restava in piedi. Le gambe leggermente divaricate, cambiava raramente posizione, ed era alquanto chinato in avanti. Benché fosse il più grande direttore vivente, la sua tecnica manuale non aveva nulla di particolare. Insoddisfatto di come suonavano gli orchestrali, chiedeva: “Smettetela di guardare questo stupido stecco nella mia mano! Nemmeno io so come agitarlo. Sentite, sentite cosa ho nella mia testa! Cercate di capire! Nelle parti lente, come ad esempio l’introduzione del Parsifal di Wagner, o l’inizio di Morte e trasfigurazione di Rychard Strauss, Toscanini forniva soltanto le indicazioni più generali del tempo, lasciando che gli stessi musicisti lo dividessero in terzine, crome e semicrome. Provando Wagner, Strauss, gli impressionisti, prima ascoltava separatamente i legni e gli ottoni, e soltanto dopo inseriva l’intero complesso orchestrale, fino al momento in cui – se suonava male – l’aria sul palco era lacerata dal grido del Maestro: “Violoncelli! Violoncelli! Dormite? Non avete rispetto per la grande musica?! Osate oltraggiare Wagner?…Criminali! Banditi!”

   Nel 1928 lasciò l’Italia per molti anni. Nemico di ogni tipo di dittatura, quando pretesero da lui che in una festa fascista a Bologna, aprisse il concerto dirigendo l’inno Giovinezza, rifiutò categoricamente. Di conseguenza dopo il concerto fu aggredito da una squadraccia di “camicie nere”, preso a schiaffi e picchiato. Questo atto di violenza sdegnò allora il mondo intero. Toscanini lasciò subito l’Italia, per farvi ritorno soltanto dopo la II guerra mondiale.

   Nel 1930 Arturo Toscanini viene invitato, quale primo non-Tedesco, a dirigere una serie di opere di Rychard Wagner al festival di Bayreuth. Un onore non indifferente! Accanto all’Italiano dirigeva gli spettacoli il più illustre direttore tedesco – Wilhelm Furtwängler. Toscanini tuttavia non è abbastanza soddisfatto del livello dell’orchestra locale e non solo di questo, e dopo una sola stagione lascia la Germania. Ecco cosa lui stesso dichiarò in tale occasione: ”Ancora una volta sono costretto a dichiarare con fermezza che non posso unire musica e politica e da questo principio non mi allontanerò, né nella mia patria, né in qualunque altro luogo mi troverò, perché sono convinto che ciascuno abbia il diritto di pensare nel modo che ritiene più opportuno. Lasciando Bayreuth ho detto alla signora Wagner, che sono profondamente deluso da tutto ciò che ho trovato in questo teatro, che finora consideravo come un tempio della musica”. Si trasferisce in Austria, dove lo chiamano da Salisburgo per salvare i Festival Mozartiani da una reputazione in declino. Negli anni 1931-1937 Toscanini darà a queste manifestazioni un nuovo lustro e la più alta rilevanza a livello mondiale.

   Nello stesso 1937 gli Stati Uniti, entusiasti del direttore italiano, che già in passato aveva diretto la Filarmonica di New York, gli propongono quanto segue: presso la Radio di New York verrà creata un’orchestra sinfonica secondo i desiderata del Maestro, purché decida di dirigerla. Poiché le autorità americane in linea di massima  non finanziano la cultura, e l’impresa per la NBC – malgrado la solidità finanziaria di questa stazione radio – era troppo costosa, vennero in aiuto le aziende automobilistiche “General-Motors”. Per le audizioni furono dati a Toscanini 700 strumentalisti, scelti tra i migliori da ogni parte del globo, a lui venne offerto un onorario di 300.000 dollari l’anno, e in tal modo sorse una delle più prestigiose orchestre americane, che Arturo Toscanini diresse con alcune interruzioni fino al termine della sua carriera – il 1954.

   Quali erano le sue preferenze musicali?…Anzitutto ammirava Verdi, Beethoven e Wagner. Di Mozart amava in particolare Il flauto magico, di Weber Il franco cacciatore, tra le opere russe prediligeva il Boris Godunov di Mussorgskij, non amava Čajkovskij, di Šostakovič diresse soltanto una volta la VII Sinfonia. Bach e Haendel gli erano piuttosto estranei. Davanti alla modernità non si ritraeva, ma la seguiva solo entro certi limiti. Di Debussy ammirava l’opera Pelléas e Mélisande e i tre schizzi sinfonici La mer. Al di là di Ravel, Honegger e Rychard Strauss, però non andava. Di Stravinskij diresse soltanto l’opera L’usignolo e il balletto Petruška…

   Irascibile e insopportabile durante le prove, Toscanini cercava di controllarsi quando dirigeva davanti al pubblico spettacoli lirici o concerti sinfonici, e negli ultimi anni della sua vita preferiva i secondi ai primi.  In piedi con la bacchetta in mano davanti alle platee gremite, sembrava un direttore che curasse particolarmente l’eleganza dei propri gesti. Uno di questi era quello di mettersi la mano sul cuore, quando voleva trarre dai complessi che dirigeva il massimo sentimento. Purtroppo però non sempre riusciva a conservare questa sobrietà di comportamento. Ogni tanto la critica, scandalizzata ma anche divertita, riferiva che l’impetuoso Maestro di nuovo aveva gettato la bacchetta sul pavimento o verso la scena e aveva interrotto lo spettacolo, e accadeva anche che scendesse infuriato dal podio, mostrando i pugni al pubblico.

   Nel 1950 Toscanini con la sua orchestra iniziò una tournée di sei settimane negli Stati Uniti con 21 concerti. Condizioni lussuose: quattordici vagoni letto, ristoranti, salottini. Un vagone a parte riservato al direttore, soprannominato “Colombo”, in quanto scopritore dell’America per la musica. Malgrado le comodità a disposizione, il viaggio era estremamente faticoso! Ogni due giorni uno spettacolo, dormire sempre sulle ruote, eppure Toscanini sembrava ringiovanito, irriconoscibile. Affabile, gentile con tutti, pieno di entusiasmo, sempre in cerca di curiosità. Se c’era qualcosa di interessante da visitare: un giardino zoologico, un salone di vecchie auto o una originale taverna, correva subito a vedere con tutta l’orchestra.

   Soltanto durante le prove riprendeva una grande serietà. Calmo, per non innervosire l’orchestra nelle difficili condizioni del viaggio. Nelle città minori trovavano enormi (complesso della provincia…) e stranissime sale: a Denver ad esempio un auditorium di due capannoni collegati, con il palco al centro, a Cleveland una sala per dodicimila ascoltatori. E dappertutto bisognava suonare nel modo migliore possibile, tenendo conto della sorprendente acustica.

   Nella bellissima Sun Valley, il centro di villeggiatura più alla moda degli Stati Uniti, all’orchestra fu concessa una pausa. I musicisti svolgevano attività sportiva: nuoto, equitazione… Per chi lo desiderava fu proposta una escursione in seggiovia sul monte Balda, che si erge a più di 3.000 metri sulla valle. Toscanini per primo saltò sul vacillante seggiolino. Metà dell’orchestra non ebbe il coraggio di affrontare quello spericolato percorso. Lui, ottantenne, non aveva paura!

   Ho già ricordato che aveva una memoria fenomenale e che non aveva bisogno dello spartito. Una volta in soli due giorni imparò a memoria un’opera estremamente complessa come la Salomè di Rychard Strauss. Nell’aprile del 1954 dirigeva l’orchestra NBC a New York. In progranna c’erano soltanto composizioni di Wagner. A un certo momento la celebre memoria tradì il direttore ottantasettenne. Un paio di volte fermò la bacchetta, strofinandosi con la mano sinistra la fronte penosamente corrugata. Dopo l’ultima battuta dell’introduzione dei Cantori di Norimberga, la bacchetta gli sfuggì di mano e Toscanini, vacillando, lasciò il palco, per non farvi mai più ritorno. Come sempre coerente nel suo comportamento e rigoroso nelle decisioni, appena si accorse di non ricordare i testi musicali tanto amati ed eseguiti centinaia di volte, si ritirò per sempre.

   Visse ancora tre anni nella sua residenza di New York. Passava il tempo ascoltando e sistemando le sue registrazioni, conversando con gli amici, nutrendo i canarini e giocando con la diletta nipotina Sonia, nata dall’unione della figlia Wanda con il celebre pianista Vladimir Horovitz. Morì improvvisamente d’infarto il 16 gennaio 1957. Negli Stati Uniti si era conquistato tanto affetto e tanta celebrità, come in precedenza era riuscito soltanto a Ignacy Jan Paderewski. Per questo la morte di Arturo Toscanini fu motivo di lutto nazionale: tacquero tutte le stazioni radio, furono chiusi i teatri. Il lutto si estese del resto al mondo intero. Non senza motivo! Lo aveva lasciato uno degli ultimi grandissimi artisti, in un momento in cui l’arte sembrava alla gente sempre meno necessaria, sospinta dalla tecnica verso margini sempre più lontani della vita.

 

(C) by Paolo Statuti



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