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Ascolta, turista ignaro

Creato il 08 novembre 2013 da Cultura Salentina

Ascolta, turista ignaro

8 novembre 2013 di Augusto Benemeglio

Ascolta, turista ignaro

Simply rocks? (®Agnese Bascià)

Premessa

Mi ribadisce il prof. Malos Mannaja, che ho reincontrato a Roma, dopo diversi anni, che nulla è cambiato. I turisti più acculturati arrivano nel vecchio Salento del tutto ignari, e invece di mura e resti di templi che trovano? Orrende costruzioni abusive, veri e propri scempi, sporcizia ed erbacce. Il Salento è stato crocevia delle più grandi civiltà, ha nel suo patrimonio archeologico un’ottima risorsa per il turismo. In particolare le aree messapiche sono una vera ricchezza. Bisogna tutelarle, è un patrimonio che appartiene a tutta l’umanità, non solo a noi… ma noi non facciamo niente di tutto questo, pensiamo solo a spremere le tasche dell’ignaro turista, che non verrà mai più da noi.

Ed io per non pensare a queste cose, spesso mi costruisco un Salento d’oro e di seta, in sale immaginarie, palcoscenico falso, scenario antico, sogno creato fra giochi di luci e blande musiche invisibili. Conservo nell’intimo come la memoria di un bacio gradito, il ricordo d’infanzia di un teatro in cui lo scenario azzurrino e lunare rappresentava la terrazza di un palazzo impossibile. C’era, anch’esso dipinto, un vasto parco intorno, e ho consumato l’anima nel vivere tutto quello come se fosse reale. La musica, che risuonava dolcemente in quell’occasione mentale della mia esperienza della vita, portava ad una realtà di febbre quello scenario gratuito. Non mi ricordo chi comparisse sul palcoscenico, ma la pièce che colloco in quel paesaggio si svolgeva su un palcoscenico vivo al di qua della realtà di azzurro-musica. Era mia e fluida, la mascherata immensa e lunare, l’interludio di argento e azzurro compiuto. “E dal grembo della Regina che mi manca cade, come un episodio del ricamo inutile, il gomitolo dimenticato della mia anima”.

1. Giurdignano

Menhir di San Paolo in Giurdignano

Menhir di San Paolo in Giurdignano (from Wikipedia)

Ascolta, Turista ignaro, io ti parlerò del Salento minimo, sconosciuto, senza clamore, dei luoghi silenziosi dell’”altrove” che puntano verso est, come i dolmen e i menhir di Giurdignano, Giardino Megalitico d’Italia (Arthur Clarke, l’autore di Odissea nello Spazio, per il famoso monolite, ha trovato ispirazione qui da noi, dice Alberto Signore), di Minervino (patria de “Li Scusi”, uno dei più famosi dolmen) e di Ugento,  una delle più importanti città messapiche, al tempo di Artas, superbo re che cavalcava due cavalli di rame, insieme. Ti parlerò anche dei ricami forse inutili dei fili d’erba e del giglio, del ragno e della farfalla, di quel gomitolo senza peso, ma spesso aggrovigliato e dimenticato che è la nostra anima, e che chiede una sosta, un respiro, un viaggio circolare verso est.

 2. Gallipoli

Ascolta, Turista Ignaro, voglio dirti della magica commistione salentina di odori, pietre e sapori, dalle fave pasticciate cotte nella pignata alle notti del diavolo di Soleto, nei pressi di Galatina, dai Negro Amaro, i migliori rosati d’Italia, divenuti anche musica, suono emblematico del Salento, grazie ad un animale da palcoscenico come Giuliano Sangiorgi e la sua band fatta di fuoco e sangue; ti parlerò dei mustazzoli di mandorle e cioccolato e dell’arabesco elaborato e contorto che fascia certe città da memorie islamiche come il centro storico di Gallipoli, con i suoi vicoli ciechi, le ramificazioni tortuose, la quiete e l’isolamento della corte, le sue torri dove sembra che da un momento all’altro s’affacci il muezzin.

Mustacciuoli

Mustazzoli (da Wikipedia)

3. Otranto

Dicembre idruntino

Dicembre idruntino (®Agnese Bascià)

Ascolta, Turista Ignaro, non devi mai dimenticare che il Salento nasce dal cuore dell’Egeo, e tutto quel che tu vedi, i paesi invasi dalla luce del sole, le architetture fatte da un dio della labilità, la levità, il bianco accecante della calce, la pietra di miele chiaro, fa parte di quell’atmosfera onirica, di un sogno architettonico poderoso, un senso di infinito. Prendi Otranto, ad esempio, c’è tutta una letteratura alle spalle della città, c’è la storia che stranamente non si trova sui libri di testo, e poi c’è il mosaico di Pantaleone, un monaco forse tedesco, un’enciclopedia delle immagini depositata nella cattedrale, è una delle cose più importanti d’Europa. Otranto è una città dell’abbagliamento del bianco con la luminosità opprimente del mare, che sembra vetro fuso, ma è anche città a forma di montagne russe. Disse un grande scrittore: “Credevo di arrivare in cima e poi precipitavo tra ombre e luce”. Questo è il Salento. Comunica dappertutto un’impressione così forte e totalizzante, definitiva, da lasciarti senza respiro; ha una bellezza così struggente, i colori, i profumi sono così forti che t’invadono i sensi e l’anima senza che tu te ne accorga. Questo è un paese, una regione che non andrà mai a fondo perché è ricco di inventive, perché è una civiltà pudica e rispettosa del mondo contadino. Tra i lecci, la quercia spinosa e la rara vallonea, o in quell’impenetrabile e maestoso viluppo d’arbusti che talvolta crescono sino allo stadio arboreo, ci sono i muretti a secco, segni limatanei di forte semantica paesistica, ci sono testimonianze di insediamenti rurali che affondandole loro radici nei secoli medievali, resti di un habitat disperso, segni di religiosità popolari, edicole votive dedicate al miracoloso Crocifisso della Pietà di Galatone, con le braccia a tergo, vittima immolata della crudeltà dell’uomo. Il culto del Cristo sofferente, che è elemento di identificazione della comunità, la maglia antropica, l’esaltazione della croce, lo troviamo nel Cristu ti tabelle morso dalla tarantola.

 4. Il Ciolo

Ascolta, turista ignaro

Il Ciolo (da Wikipedia)

Se vai lungo la strada Gallipoli-Leuca, fermati tra i mmunatori (rimondatori) degli ulivi di Presicce e Acquarica del Capo, che trasformano un giovane ulivo in un ampio calice traslucente, con le loro memorabili rimonde eseguite a pizzu te forfice, e poi dopo aver racimolato una giornata di lavoro tutti a bere mieru nel profumo di aranci selvatici. Fermati poi al Ciolo, a due chilometri da Leuca verso Tricase, terra di Giuseppe Codacci Pisanelli, che declina lentamente dalla Serra del Cianci, e vedrai uno spettacolare salto di 40 metri, un profondo canyon scavato ne corso dei millenni dalle acque meteoritiche, un passaggio sommerso che immette in un laghetto sotterraneo d’acqua salmastra, una galleria subacquea sotto il ponte del “Ciolo” (il ponte delle gazze) dov’era l’ultima foca monaca dell’Adriatico, osserva le spundulate, doline di crollo, fermati a fotografare l’asfodelo mediterraneo, dai petali bianchi rapiti dal verde, il fiore sacro dei morti, e le rare piante che crescono spontanee sulle sponde di un territorio dove nacquero le vicende del mito, in un paesaggio che ricorda l’antica Grecia, coi suoi tratturi, balze, scogliere a picco sul mare, anfratti che si aprono tra le rocce e tra le pietre dei muretti a secco.

Chiedi il succhia miele, che non è un Campanellino di Peter Pan al vento, ma un biancospino che ti ronza nelle orecchie, fiori di campo, fiori pazzi che hanno la grazia abbandonata e selvatica, ma anche la salsa pariglia infestante che fa buttar sangue al contadino, però cura l’influenza, i reumatismi e gli eczemi.

5. Torre Vado

Ascolta, turista ignaro

Centopietre (da Wikipedia)

Vai a Patù, dov’è il monumento funerario detto Centopietre, realizzato con monoliti di Vereto, antica città messapica, poi scendi alla Marina di Torre Vado, e se nel cammino ti dovesse apparire Cristo con gli apostoli non sorprenderti più di tanto. Qui, in quest’atmosfera senza tempo, si può ricreare in qualsiasi momento il quadro evangelico di una regione folgorante come una visione tenera, come una preghiera che avevi nel cuore da sempre e te ne eri dimenticato, o ti vergognavi di tirar fuori. Ci sono ulivi e fichi con tramonti di sangue, e il terreno brullo tra case bianche e arabeggianti, un orticello, e quel filo azzurro che era il mare, uva dolcissima e pomodori piccoli, la campagna silenziosa, mistica e misteriosa: c’è la dimensione esatta dell’Eden.

 6. Le Veneri di Parabita

Vieni a vedere, da mare a mare, nella terra di mezzo, gli sguardi di pietra scolpita, di ostrica gelosa e ruvida, di barlumi, presenze fantasmiche e immemori, Enea, Idomeneo, Artas, la sirena cieca, che vanno e vengono dal canale d’Otranto come viandanti del mito; e poi ombre umide, angoli, dimore, anfratti, torri costiere, grotte marine, goccia a goccia, pietra a pietra, roccia e vento, acqua e luce, case, corti, segni celati dalle pietre, metafore e simboli… Salento minimo e infinito.

Vieni con noi a fare trekking dello spirito nei santuari della preistoria, a Parabita, città forte e turrita con il palazzo Castriota, dove c’è la grotta delle Veneri, due statuine che risalgono a ventimila anni fa; e poi vai alla grotta dei Cervi, dove c’è l’arciere celeste di Porto Badisco. Guarda i pittogrammi e gli ideogrammi che segnano la mutata concezione cosmica di tutte le genti. Ma osserva anche il grande sbadiglio del pescatore di mazza, che ti aspetta lì, davanti alla grotta, col basco nero, mezzo addormentato, addossato sul muro scrostato dalla salsedine. E, dietro di lui, sguardi occulti, misteriosi, da cripta bizantina.

 7. Fila circolarmente ad est

Questa traiettoria di nuovi sguardi andrà a finire nelle ragnatele della tua vita e farà un po’ le pulizie pasquali. E NON starci troppo a pensare, caro Turista Ignaro, affrettati a partire perché “quando si esita tra parecchie vie si prende sempre la più dolorosa”. Crediamo di avere sempre tempo, ma purtroppo non è così.

La vita se ne va in fretta, come la nostra luna d’infanzia, e tante cose che avevamo progettato non le faremo mai. Ma qui, nella terra d’Otranto — ricordalo — puoi venie fiducioso, qui forse puoi ritrovare il lento ritmo del tempo, le strade piene di cielo, il suono-nenia e la nostalgia dell’oriente, qui puoi investire nell’essere. Ma devi — come disse il poeta — filare circolarmente ad est, verso est con mare sottovento, mare che strabocca. E poi, quando arrivi, ricordati: bisogna raspare il cuore, il cuore, il cuore.


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