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Auschwitz e Birkenau: passato e futuro

Da Leragazze

Auschwitz e Birkenau: passato e futuro

Leggo sul New York Times del progetto del governo polacco di riorganizzare gli spazi museali all’interno dei campi di sterminio di Auschwitz  e Birkenau. I motivi sono legati al passare del tempo, alla pressione del turismo di massa, che ha fatto triplicare le presenze nell’arco di dieci anni, e all’avvento di nuove generazioni che hanno perso ogni contatto con gli avvenimenti accaduti in questi luoghi terribili.

L’attuale allestimento risale al dopoguerra ed è stato realizzato con la collaborazione di sopravvissuti che riuscivano a raccontare solo una minima parte delle tragedie attraversate, concentrandosi su quello che avevano messo in piedi e organizzato i Tedeschi e sulla massa di vittime, senza mettere sufficientemente in luce le storie individuali e le testimonianze che potessero aiutare i visitatori a tradurre quei numeri incommensurabili di morti in persone reali.

I due campi, secondo i nuovi progetti, dovrebbero descrivere il processo di sterminio, accompagnare passo dopo passo i visitatori nelle esperienze vissute dalle vittime e terminare con una sezione sulla vita all’interno che mostri la disumanizzazione quotidiana e i tentativi che facevano gli internati per mantenere la propria umanità. Saranno spiegate e mostrate anche le scelte che ogni giorno i prigionieri dovevano affrontare in situazioni estreme. Inoltre, si riaprirà la baracca adibita agli esperimenti di sterilizzazione, rimasta com’era alla fine della guerra, e si darà vita a un nuovo percorso multimediale.

L’obiettivo di tutto questo è aumentare il livello di consapevolezza sul significato di quegli eventi, nella convinzione che Auschwitz è anche la chiave per comprendere il nostro oggi.

A seconda dei periodi storici Auschwitz e Birkenau dovevano fornire rappresentazioni e interpretazioni diverse delle loro realtà. Durante il Comunismo, si enfatizzava il primo che veniva presentato come il memoriale per i prigionieri politici polacchi, mentre il secondo, dove furono assassinati centinaia di migliaia di Ebrei polacchi, francesi, tedeschi, ungheresi, russi, italiani e di tante altre nazionalità, rimaneva dimenticato perché in dissonanza con il racconto sovietico. Solo dopo la caduta del muro i due campi vennero considerati i luoghi del martirio e del lutto che sappiamo.

Questo mi riporta alla mente la mia visita ad Auschwitz e Birkenau nel 1980. Non erano ancora meta di masse di turisti e nei viali, lungo i sentieri e nelle poche baracche aperte c’eravamo noi e pochissimi altri. Dentro si assisteva alla celebrazione e al ricordo dei soli martiri polacchi, non si faceva alcun cenno agli Ebrei, agli zingari, agli omosessuali. Le pareti erano completamente ricoperte di foto di vittime e si aveva quindi l’impressione che fossero in numero infinito. Ma, a guardar meglio, mi resi conto che si trattava di una quantità ridotta di immagini ripetute, questo sì, all’infinito. Si amplificava l’eccidio, dei Polacchi si badi bene, come se i numeri cambiassero la sostanza. La verità plasmata dall’ideologia.

Notammo poi una baracca adibita a museo ebraico (dunque c’era stato anche qualche Ebreo!), facemmo per entrare, ma era chiusa e buia e nessuno all’interno si faceva vivo per aprirci. Andammo allora a protestare all’ingresso, lì fecero una telefonata e ci invitarono a tornare con una ostilità e una sufficienza come se fosse sempre stato aperto e noi non ce ne fossimo accorti. Riuscimmo a entrare, ma le sale erano illuminate solo in parte, i quadri esplicativi luminosi erano spenti e, a mano a mano che avanzavamo vedevamo spegnere le luci dietro di noi. Una volta che fummo usciti, insoddisfatti e pieni di rabbia, vedemmo che i custodi si precipitarono a chiudere, impedendo l’ingresso ad altri visitatori meno intraprendenti di noi. Avevamo provato sulla nostra pelle il clima di chiusura e di poca trasparenza di quei paesi in quell’epoca.

Tornando ai giorni nostri, il consiglio internazionale dei due campi, che fa capo direttamente al primo ministro polacco ed è formato da sopravvissuti, direttori di musei, rappresentanti del clero, degli Ebrei, dei Rom e di altri gruppi, bandirà un concorso per scegliere l’architetto che firmerà il progetto di riorganizzazione spazi e percorsi. Si prevede che i lavori termineranno nel 2015.



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