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Per quanto mi è stato possibile riscontrare in alcune community di scrittura e in certi blog, ho trovato un uso medio della lingua abbastanza buono, che non lesina nel ricorrere a campi semantici eterogenei, fa buon uso della punteggiatura e via dicendo. Al di là però dei pregi "calligrafici", mi sembra di scorgere un tono decisamente monocorde: si leggono storie qualunquiste, fatte di amori, tradimenti, dipendenze, ansie esistenziali piccolo-borghesi sublimate spesso e volentieri nella forma di un monologo interiore a sintassi fortemente frammentata. Insomma, contenuti triti in contenitori stereotipati, frutto di personalità che paiono prendere troppo sul serio il proprio ruolo di scrittori della domenica e che credono di poter contendere ai grandi un posto nell'Olimpo letterario.
Non sto dicendo, intendiamoci, che la scrittura debba rifuggere come la peste il mondo della soggettività: dico solo che quella della soggettività è un'arma a doppio taglio, da usare con maestria e che, probabilmente, bisogna considerarla come punto di arrivo della propria ricerca creativa piuttosto che come punto di partenza (altrimenti, tanto vale che smettiamo di leggere e che stiamo a sentire solo certi diari de "L'uomo della notte" di Costanzo).
Le mie innumerevoli tare mentali non mi impediscono però di gradire blog di nuovi autori che cominciano a muovere i primi passi nella scrittura in prosa con la giusta freschezza e con un sincero gusto per la sperimentazione. Ringrazio perciò sentitamente un attento lettore, che mi ha portato a conoscenza dell'esistenza di "Autunno a Waterloo", originale esperimento di diario telematico.
"Autunno a Waterloo", firmato - manco a farlo apposta - da un certo Napoleon, si pone sin dal sottotitolo come "romanzo in progress": lo si legge quindi come un cantiere a cielo aperto, nel quale lo scrittore invita chi legge a soffermarsi. Si soprassiede quindi alle piccole intemperanze stilistiche e ci si affida ad uno stile narrativo fresco, lontano da contorti intimismi intellettualoidi. Si nota anche un certo divertimento nello sperimentare curiosamente linguaggi e stili diversi, passando dall'ansiogeno polisindeto di "Tempesta di neve" al surreale "Geometricamente" e a "Luna nefasta luna", incubo splatter dove diventa difficile capire se si è nel sogno o nella realtà. Vengono in mente gli "Esercizi di stile" di Raymond Queneau, con la differenza che mentre Queneau rileggeva sempre il medesimo episodio in chiavi di volta in volta diverse, "Autunno a Waterloo" sceglie un linguaggio per ogni episodio, in maniera randomica, dipingendoci il narratore come un individuo singolare, con inclinazioni psicotiche a metà tra personalità ossessivo-compulsiva e paranoide. Insomma, un personaggio intrigante.
Il peso di una soggettività apparentemente malata che narra i propri finti drammi, in un intimismo di maniera da scapigliatura d'accatto, è qui assente. L'adozione di una focalizzazione intradiegetica non si pone in modo sgradevole: al contrario, oserei dire che si finisce per affezionarsi al narratore e alle sue evoluzioni scrittorie.
Spes ultima dea, perché con "Autunno a Waterloo" resta accesa una luce di speranza, che fa vedere che la prosa sul web non è solo quella dei - perdonatemi l'autocitazione - patetici aborti di sceneggiatura, ma anche quella di persone che, pur non avendo consacrato interamente la vita alla propria vocazione scrittoria, sanno creare una buona macchina narrativa evitando gli inutili ed estetizzanti autocompiacimenti tipici di molti scrittori per hobby.
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