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Bad country for Entertainment

Creato il 18 giugno 2010 da Mcnab75
Bad country for Entertainment

Con questo articolo conclusivo di un discorso che è andato sviluppandosi qui e altrove nelle ultime settimane; vediamo di tirare qualche conclusione, laddove è possibile farlo.

Dove eravamo rimasti? Dalle parti dell'autoproduzione, dell'autofinanziamento etc etc.

Finora mi sono concentrato sui cavoli miei sulla categoria degli scrittori, ma ci sono molti altri esempi possibili da fare. Vale la pena citare almeno i musicisti/cantanti e i registi, specialmente quelli di cortometraggi.

Qualche giorno fa Elvezio faceva notare un paradosso che mi ha dato da pensare: perché i cantanti autoprodotti vengono considerati dei gran fighi, mentre gli scrittori che seguono la medesima strada sono derisi come poveracci? Misteri della vita (no, io non ho una risposta a questo dilemma).

A parte questa domanda esistenziale, mi capita sempre più spesso di leggere di band che scelgono il fai-da-te, sia a livello produttivo che a livello di marketing. Certo, Internet oramai offre i mezzi ideale per chi, studiando il settore (e questo è essenziale!), vuole arrangiarsi da solo, con buone probabilità di riscuotere un certo successo.

Il mondo dei cortometraggi e dei film indie è poi pieno di episodi in cui il regista lavora a un prodotto, inizia a finanziarne una parte, mostra i risultati al pubblico e poi chiede al medesimo una donazione per completare l'opera. Della serie: “Ok, questa è la mia idea. Questo è quello che posso fare. Se piace anche a voi come piace a me, datemi una mano”.

Funzionano così progetti quali l'ambizioso Iron Sky e Project Arbiter, di cui vi parlerò nei prossimi giorni. Di questo secondo film vi prego di dare un'occhiata direttamente alla pagina in cui la crew chiede donazioni. Molto chiara e lineare, no? Si va dai 20 dollari ai 5000, a scelta degli internauti. Credete che con tali cifre in ballo non si farà avanti nessuno?

Poveri illusi. I tizi di Iron Sky, pur non essendo propriamente omologabili alle autoproduzioni, hanno raccolto un bel po' di soldi lanciando una semplice richiesta d'aiuto al pubblico.

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Beh, a questo punto vale la pena citare anche il più noto tra gli scrittori fai-da-te, J.A.Konrath, che, come riassume bene il Duca, sta ottenendo fior fior di successi producendo degli ebook che vendono come (e più) di molti romanzi normali, ovvero pubblicando tramite il solito iter editoriale.

E Konrath è solo l'esempio più eclatante, ricordatevelo.

Detto questo, potreste sentirvi incoraggiati dal trasformare la vostra passione in qualcosa che sia anche remunerativo. Non certo per arricchirvi, bensì per realizzare il sogno comune a tutti gli artisti: vivere della propria arte. Volando un po' più in basso potrei scrivere: vivere grazie al cosiddetto intrattenimento.

Ok, c'è una gabola, lo sapete anche voi.

Gli esempi citati finora sono tutti extranazionali. E se la crew di Iron Sky fosse italiana, al posto che scandinava? Il progetto sarebbe fallito miseramente (basta vedere in che stato si trova il nostro cinema). E se Konrath fosse un Alessandro Girola qualsiasi, di Milano e non di Skokie, Illinois? Si deciderebbe a leccare il culo a un editore, o continuerebbe a regalare gli ebook. Idem per le varie band, per i cantanti etc etc. Gente, magari in gamba, che spesso deve pagare qualche untuoso manager per suonare alla festa della birra di Trezzo d'Adda.

Non a caso l'Italia è uno dei paesi industrializzati in cui iTunes ha faticato a imporsi come onesto mercato di vendita.

Il discorso è sempre questo: perché pagare quando puoi avere una cosa gratis?

E con la pirateria si può avere tutto senza pagare un eurocent: dai film agli ebook, dalla musica alle foto. Che piaccia o meno è così.

Probabilmente è questa questione di pessima educazione sociale. In un paese in cui pagare le tasse viene vista come una scocciatura da evitare in ogni modo possibile, va da sé che la gente viene abituata all'arte dell'arrangiarsi. Perché non dovrebbe essere così per il settore dell'intrattenimento?

Altro esempio: i giornali di free press vanno benissimo, mentre i quotidiani storici vivono anni di magra.

Dunque, si può sperare che prima o poi le cose cambino? Io sono piuttosto pessimista, anche se ho delle speranze per quel che riguarda il popolo della Rete. Mi sembra che navigare, confrontandosi così con realtà internazionali ben più serie rispetto al giardinetto di casa nostra, sia il modo migliore per capire che c'è una giusta via di mezzo tra la completa gratuità di un servizio e il giusto prezzo del medesimo. Specialmente se si comprende che, in realtà, spesso regaliamo parecchi soldi a chi ci offre dei pessimi servizi. Dalla telefonia mobile, alla TV digitale. E, diciamo, anche a editori, case discografiche e affini.

Paghiamo fino a 20 euro per libri che in un qualsiasi negozio londinese costano meno della metà. Mettiamoci pure traduzioni ed editing sempre più scandenti, oltre che autori la cui reitarata presenza sul mercato serve solo nel sottile gioco di favori tra editori “amici”. Eppure gli italiani pagano. Salvo poi scaricarsi gli mp3 da Emule, perché pagarli 0.99 eurocents su iTunes pare troppo. A questo punto mi vien da pensare che i libri cartacei vendono poco perché, oltre a fare spesso schifo, non sono ancora piratabili in qualche modo.


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