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Banche nere come il carbone

Creato il 08 giugno 2012 da Informasalus @informasalus
CATEGORIE: Denuncia sanitaria
fabbriche inquinamento
Tutte le grandi banche, a vario titolo, hanno concesso importanti finanziamenti all’industria del carbone

Si parla molto di cambiamenti climatici. E le attività antropiche, ovvero quelle generate dall’uomo, ne sono la principale causa. Ma chi sono i “finanziatori” del climate change? Chi, cioè, fornisce i capitali che confluiscono nelle casse dei principali responsabili dell’inquinamento globale? a far luce sull’aspetto finanziario del cambiamento climatico ci ha pensato un rapporto, redatto da un gruppo di ong – tra cui la tedesca Urgewald, Earthlife africa Johannesburg e la rete internazionale Banktrack – intitolato Bankrolling Climate Change (Finanziare il cambiamento climatico).
L’analisi punta il dito contro l’intero Gotha delle grandi banche global. Nell’elenco di quelli che vengono definiti senza mezzi termini “assassini dell’ambiente” ci sono le americane Jpmorgan Chase, Citigroup, morgan Stanley, Bofa; le inglesi Barclays, rbs, Hsbc; la tedesca Deutsche Bank; le svizzere Credit Suisse e Ubs. E anche l’italiana Unicredit. Tutte, a vario titolo e in misura differente, hanno concesso importanti finanziamenti all’industria del carbone: miliardi di euro (un solo impianto da 600 mW costa in media 2 miliardi) che hanno consentito di continuare a produrre energia, generando miliardi di tonnellate di biossido di carbonio.
Miliardi per il surriscaldamento proprio il carbone è responsabile di circa l’80% del surriscaldamento globale (dato indicato nei suoi studi da James Hansen, direttore del Goddard Space institute della Nasa). Ma per le banche, evidentemente, il business è più importante.
E così l’enorme flusso di denaro concesso all’industria ha contribuito a far sì che, nel 2010, le emissioni globali di Co2 abbiano toccato un livello record: «Ciò mette in serio pericolo l’obiettivo che ci siamo posti di limitare l’innalzamento delle temperature a un massimo di 2 gradi Celsius nel prossimo futuro», ha ammonito Faith Birol, capo economista dell’international Energy agency, in una nota ufficiale del maggio del 2011. Il rapporto che accusa gli istituti di credito si è concentrato sui 93 gruppi più grandi del mondo, sulle 31 major minerarie più importanti (la cui produzione complessiva rappresenta il 44,4% di quella totale) e sui 40 maggiori produttori di energia dalla combustione di carbone (che possiedono da soli il 50,8% degli impianti del pianeta).
«Nella nostra analisi – ha spiegato Heffa Schücking di Urgewald – abbiamo preso in considerazione in particolare i finanziamenti erogati alle centrali alimentate a carbone, dal momento che esse costituiscono il pericolo maggiore per l’ecosistema». Il risultato è che, grazie a 1.405 transazioni individuate dal 2005 a oggi, le banche hanno elargito qualcosa come 232 miliardi di euro: in particolare prestiti e investimenti, che costituiscono l’88% del flusso totale di capitali. E, in barba alle preoccupazioni ambientali, il trend è persino in aumento.
La gran parte di tale gigantesca quantità di capitali è arrivata da 20 banche, le “top killer” individuate dalle ong: in testa quattro gruppi americani – Jpmorgan Chase, Citigroup, Bank of america e morgan Stanley – che complessivamente hanno finanziato l’estrazione e lo sfruttamento del carbone con quasi 55 miliardi di euro. Quindi c’è la britannica Barclays con 11,5 miliardi, la tedesca Deutsche Bank con 11,4 e, via via, tutti i nomi noti della finanza mondiale (Unicredit ha garantito 5,2 miliardi).
Pennellate di verde
Ci sono proprio le banche, dunque, dietro l’inquinamento prodotto dal carbone. Per questo numerosi gruppi si sono lanciati negli anni scorsi in campagne “proclima” che, secondo Banktrack, hanno il chiaro sapore del greenwashing: niente più che una “riverniciata” di verde. in realtà, l’attenzione ambientale delle banche è storicamente carente. Basti pensare che per anni i grandi gruppi hanno preferito calcolare il proprio impatto ambientale considerando solamente le emissioni “dirette”, ovvero quelle derivanti, ad esempio, dagli spostamenti dei dipendenti, dagli impianti per l’aria condizionata o per il riscaldamento.
E quando hanno accettato di tenere conto anche del contributo “indiretto”, lo hanno fatto con escamotage che mostrano chiaramente quale sia la reale sensibilità dei top manager nei confronti dei temi ambientali. Alcune importanti banche americane e Credit Suisse, ad esempio, nel 2008 hanno firmato i Carbon principles, che puntavano proprio a ridurre i finanziamenti al settore del carbone. Ma si è pensato bene di limitare la restrizione solo ai capitali destinati ai nuovi impianti costruiti negli Usa. Una vera e propria presa in giro.



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