Il 14 luglio 2011 Alfonso Berardinelli, intellettuale in cui mi ritrovo molto, ha pubblicato sull'edizione on line del «Corriere della Sera» un interessantissimo articolo dal titolo Manca la passione d'esser letti. Non so se il pezzo sia finito sul cartaceo del quotidiano, ma una rapida ricerca su Facebook mostra ancora oggi una condivisione discreta del link, e comunque inferiore al merito dell'occasione.
Berardinelli affronta il problema della poesia contemporanea: con un occhio ai lettori e uno sguardo più complesso agli scrittori, parla per lo più di poesia incomprensibile e di poesia noiosa. Il che, guardandosi in giro, deve essere un'idea parecchio meno originale di quanto si voglia dire, basta non capire e non apprezzare la poesia per trovarla incomprensibile o noiosa.
Non so quanti oggi capiscano Montale, certo Eliot e molto Pound. Non so quanti apprezzino Heaney o Hughes, non so quanti abbiano letto davvero Seferis o Sexton. E facciamo una conta su quanti sanno citare poeti in vita e attivi oggi: dico di persone che definiamo poeti, non di partecipanti più o meno fortunati ai concorsi di poesia, figuranti del verso e della rima.
Io stesso sono una maschera che ha attraversato la poesia, tre sono qui (Il tempo che ci sta, Finché sarà notte e Preghiera di giugno), moltissime altre per fortuna sono perdute. Un mio alunno sta avendo molto più coraggio e molta più ragione di me a insistere e mi auguro che almeno lui possa dire il mondo, gli auguro di dirsi nel mondo; né ho bisogno che Lorenzo sappia proprio da Das Kabarett quanto io faccia il tifo per lui.
Solo una persona sincera sa quanto faccia male un'affermazione, anche affettuosa, del tipo: Che volevi dire?, E allora perché non lo dicevi? - La risposta è dolorosamente semplice: Ma io l'ho detto! Eppure rimane il tarlo. Fatta salva la poesia che ha bisogno di speciali filtri per essere amata, il problema del messaggio angustia chiunque stia operando su una qualsiasi materia in modo extraquotidiano, cercando oltre l'esperienza più ovvia del materiale stesso.
L'arte non è, (direi) per definizione, immediata. La folgorazione poetica, perfino nel mio indispensabile Canto notturno... di Leopardi, è pura menzogna: un poeta non è un chirurgo sentimentale che parla con il suo organo prediletto, ora il cuore, ora il cervello, ora la zona pelvica. Parla all'uomo, mostrandogli qualcosa che l'uomo deve poter vedere, preparandosi, accogliendo nel suo spazio un orizzonte improvviso e spesso sconcertante.
Un poeta smembrato, versi caduti nelle carte dei cioccolattini con lo spirito di una bellezza come lusso esornativo, malintesi di volumi di poesia quali "libri delle risposte" e simili equivoci uccidono l'arte. Come figurante di poesia, posso fare a meno di persone smaliziate e incredule che aspettano di essere sorprese. E sarò spietato: posso ben fare a meno del tifo sincero degli amici. Perfino un amico può non capire: l'amico ha ben altra importanza che capire di poesia (o almeno di quella che scrivo io).
Lo riconosco: mi disturba lo sguardo troppo ottimista di Berardinelli sul pubblico. In special modo, non capisco cosa intenda questi, quando riferisce "che la critica non ne parli e che i giornali evitino il più possibile di recensire i poeti". Proprio Alfonso Berardinelli - che di critica si occupa con meriti incomparabilmente maggiori dei miei - dovrebbe sapere in che condizioni versi l'attività intellettuale italiana, con i quotidiani che rifiutano di rencesire praticamente tutto e un'accademia in condizioni oltraggiose.
Cosa c'entra la qualità della poesia contemporanea con chi dovrebbe diffonderla? E perché non cita mai la scuola? Non la scuola reale, incapace di proporre Foscolo in modo credibile, ma una scuola che si identifichi nella poesia (e non nella materia "italiano") o - se si vuole - ribaltando la questione, di una poesia che faccia scuola, scuola di spiriti forti e sinceri?
Condivido il suo discorso sulla furberia degli autori: di testi di ogni tipo, blog compresi, istallazioni prive di significato e di buon gusto, di arti ridotte a motivi (visivi, verbali, sonori, materiali) che si ripetono. Difficile distinguere il riciclaggio dell'idea da quello del materiale o di se stessi. Qualche giorno fa, a Barcellona, ero alla Fondazione Tàpies e, con tutto il rispetto del mondo, non ci ho capito assolutamente nulla. Me ne sono uscito imbarazzato, con un profondo senso di frustrazione e ignoranza.
Ma come dovrei rimediare a questa mia ignoranza? Io che provo sempre a guardare oltre, a guardare avanti, a formarmi, a cercare affannosamente occasioni di apertura al mondo e per consolidare le poche conoscenze acquisite, come dovrei fare a recuperare un mondo che smarrisce - in egual modo tra artisti e fruitori dell'arte - il senso della bellezza e del significato? Io che scrivo per diletto e per amore, ma non mi dichiaro, perché non sono, poeta, di cosa ho bisogno, ma sul serio, per leggere quei dieci poeti contemporanei e per capirli?
Non sono neanche uno studioso e non me ne dolgo: piuttosto che passare una vita a studiare la poesia, preferisco studiare la vita attraverso la poesia. Ho fatto scoperte incredibili, di quelle scoperte che ci si tiene stretti. Quanto perdo, della mia vita, se non capisco l'ultimo poeta? Preferisco pensare che avrò più vita quando ne leggerò e ne capirò. Preferisco pensare che c'è più mondo di quanto io possa capirne. Non so, mi rassicura sapere che tutto non è così limitato.
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