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Berlinale 2015. FLOTEL EUROPA (recensione): la nave-hotel dei profughi bosniaci

Creato il 07 febbraio 2015 da Luigilocatelli

201511039_1Flotel Europa, un documentario di Vladimir Tomic. Sezione Forum. Voto 6 e mezzo201511039_2
Nel 1992 centinaia di profughi dalla guerra di Bosnia, molti da Sarajevo, finiscono a Copenaghen nella speranza di ottenere asilo politico. Nell’attesa che lunghe, estenuanti pratiche si risolvano (“i danesi sono molto più lenti degli svedesi che l’asilo lo concedono subito”) vengono sitemato su un botel-barcone galleggiante e di tanto in tanto flottante e viaggiante sulle acque intorno a Copenaghen. Il Flotel Europa. Uno degli opsiti venuti da Sarajevo, allora ragazzino e adesso trentenne, ricostruisce quella stagione lunga più di due anni, in un ritratto che si fa piccola epopeadi emigrazionem, di integrazione cercata ma spesso difficile, di solidarietà e conflitti interni in pari musra. E lo fa ripescando i VHS che qualcuno un giorno ebbe la bella idea di girare sul barcone quali testimonianze e videoletere da mandare ai parenti imasti nella Bosnia in guerra. Video privati (e la videolettera con la madre e i due figlioli è irresistibile) e, via via, sempre più allargati a comprendere e raccontare quella vita stagnante e come immobile aspettando il permesso che forse non verrà mai. Un microcosmo autoriferito dove sopravvivono e i modi (la musica, il cibo, i riti del corteggiamento, le feste) della patria abbandonata, in straniante cintrasto con la levigatezza ipereuropea di Copenaghen. Vladimir Tomic racconta in fuori campo la sua vita e quella degli altri, e man mano si costruisce davanti ai nostri occhi, per parole e immagini (il tremolante VHS ha sempre una malìa speciale), un classicissimo racconto di formazione e di passaggio alla vita aduta. I video sono molto godibili, il regista-naratore evta il facile piagnisteo, l’autocommiserzione è ridotta al minimo, e questo è cosa buona. Funzionano meno gli inserti sentimentali e le dichiarzioni amorose per una certa Melisa, di cui si sarebbe potuto fare mao. Solo nell’ultima parte il registro pattico-nostalgico si scurisce, si intorbida, lasciando emergere contrasti forti tra i rifugiati, ognuno si riconosce nella sua fazione in guerra ecomincia a prendere le distanze dagli atri, se non a vederli come nemici. Epure, solo fino a poco prima era tutti iugoslavi, e al Flotel Europa ancora molti continuano a sentirsi tali. Il mito titoista-partigiano è ben rappresentato dal film patriottico di cui ogni tanto vedimo gli spezzoni e nel suo eroico giovane protagonista. Il riultato è un film più carino e piacione che davvero importante. Ma è una leggerezza che a tratti funziona molto bene.


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