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Bloody hair band

Da Gio65 @giovanniparigi

Auguro a tutti una buona festività dell'Immacolata con un raccontino che a Lei come protagonista

La serata musicale internazionale aveva reso Piazza Duomo a Milano come un trafficatissimo porto di mare in cui attraccavano, come fossero navi cargo, i più disparati gruppi musicali carichi di suoni, parole e colori. La numerosa folla accorsa, sebbene il freddo Dicembre consigliasse di starsene a casa, aveva fino allora applaudito calorosa e rumoreggiante chiedendo più volte il bis per quelli che riteneva i pezzi migliori. C’era insomma un’atmosfera gioiosa che ben si addiceva alla festività dell’Immacolata, di cui la statua silente della Madonnina, che svettava illuminata a festa, ne era l’emblema. Ma veniamo al concerto.

Finito di esibirsi un gruppo etnico, ci si dette un gran daffare per permettere a “Bloody hair”, una non meglio precisata band internazionale, di suonare. In particolare si dovette armeggiare per permettere l’ingresso sul palco due scooters modificati, alle cui marmitte erano state messe due specie di trombe, che suscitarono la curiosità e l’ilarità di quasi tutto il pubblico, il quale, alla loro vista, si fece subito l’idea che si trattasse certamente di musica sperimentale e anche di buon livello data l’eleganza nel vestire dei componenti. Quando gli inservienti ebbero collocato al loro posto quelle strane trombe a motore, la band si mise in fila di fronte al pubblico e, a un gesto del vocalist, fece un profondo inchino. Il pubblico rispose entusiasta con un lungo applauso, cui, fattosi silenzio, seguì però un: “Fuck off Milaanooo” ben esplicitato dal medio di tutti i componenti. Per qualche istante cadde il gelo nella platea; poi si udirono alcune risate dalle ultime file e addirittura qualche: “Braviii”. La gran massa però rimase sconcertata, specie le prime file che si erano ritrovate cinque dita medie sotto il naso. In un modo o nell’altro tutti però riuscirono a superare l’impasse ritenendolo uno dei tanti modi per scaldare l’atmosfera che, di lì a poco, seguendo il tortuoso ragionamento della folla, avrebbe dovuto divenire incandescente, perché si beccarono il secondo fuck, stavolta non con il dito alzato, ma con entrambe le mani su quello che in gergo si definisce il “pacco”. Ma non solo, tutti i musicisti si voltarono e in un italiano quasi comico, tanto era stentato, dissero a tutto il pubblico di baciargli le chiappe. Furono sempre le ultime file composte per lo più da giovani a ridere e addirittura ad applaudire, mentre nelle prime -beh volevo tacerlo, ma per chiarezza adesso devo dire che esse erano occupate dalla Milano bene e da qualche autorità anche religiosa, tutti seduti su comode poltroncine- si faceva strada il desiderio di reagire, ma come farlo senza però passare dai soliti guastafeste musicali? E che musica poi! Ascoltate quale fu il preludio.

Finito di presentarsi e di salutare il pubblico a loro modo, i componenti della band presero il loro posto dietro i rispettivi strumenti. Da ultimo il vocalist, che afferrò il microfono e gli dette alcuni colpetti per sincerarsi che l’audio fosse ottimale. Non rimase però del tutto soddisfatto tanto che, rivolto agli altri disse: “Waits boys…”. Poi si massaggio lo stomaco (qualcuno subito pensò che volesse scaldare il diaframma), strinse la gola tra le dita e la palpò e ruttò a tutta forza, con quanta birra aveva in corpo. Il suono lungo e amplificato che ne uscì aveva le sonorità schiumose e pastose della birra, e raggiunse tutto il pubblico in maniera distinta e democratica, dal quale non si alzò nessun grido di sdegno, forse perché - come si dice- con gli artisti ci vuole pazienza. Il vocalist, nel silenzio che regnava nella piazza ( a dire il vero non tutta, perché qualche angolino rumoreggiava divertito) disse agli altri che il suono era ok e dette il tempo per cui s'iniziò a suonare. Tutti si chiederanno forse che tipo di musica potessero esprimere quella banda tanto stravagante. Io non saprei definirla. Si alternavano percussioni da fabbro delirante a urla incomprensibili, e tutto accompagnato da sventagliate di chitarra elettrica che stordivano. L’unico rumore riconoscibile era quello che usciva dagli scouters, perché le marmitte modificate in tromba sganciavano dei grandi scorreggioni a tutto gas. Io di musica sono ignorante, ma permettetemi di dire che l’unica platea in grado di ascoltarla sarebbe stata quella formata da esorcisti, i quali non avrebbe riconosciuto le note, ma i soliti “noti”. Siccome l’esecuzione fu breve e intensa il nostro resoconto si deve a questo punto avviare verso il finale.

Non si era ancora spenta l’eco di un lungo ululato liberato dopo molto tempo di cattività –e questo lo si poteva desumere dall’intensità che raggiunse, tanto che qualche bambino cominciò a piangere e strillare- che tre o quattro colpacci di batteria annunciarono la fine dell’esecuzione. Stranamente gli artisti non si rivolsero verso il pubblico per riceverne gli omaggi, ma gli girarono le spalle e guardarono in alto verso il pinnacolo che ospitava la Madonnina. Qualcuno, lesto di pensiero e parola, disse che l’avrebbero certamente omaggiata, dato che era la Sua festa. E questo, infatti, fecero, ma in perfetta coerenza al loro stile e contenuto artistico: gli strumentisti alzarono in sincrono il dito medio, mentre il vocalist se ne uscì con una sfilza interminabile di feroci bestemmie in italiano, inglese e qualche lingua sconosciuta, introdotte dal più classico “fuck” nella loro lingua madre. Il pubblico, stavolta esterrefatto, cominciò a inveire e si alzò per andarsene, non prima di aver gridato a tutta voce: ”Vergogna”. Quando tutte le prime file erano quasi vuote e le ultime formavano già un serpentone indistinto, la band corse ai ripari annunciando ai microfoni che non era loro intenzione scandalizzare nessuno, ma solo di trascinare il pubblico verso i confini estremi della creatività che, come sappiamo, spesso cozza con quelli rigidi dell’educazione e ancor più dell’etica. Insomma, secondo loro, tutto quanto accaduto altro non era che una provocazione artistica e per dimostrare la loro buona fede dissero avrebbero intonato “O mia bela Madunina” in dialetto milanese, cosa a cui si erano già, evidentemente, preparati. Il pubblico a queste parole, seppur mugugnando, tergiversò sul da farsi. Poi concesse di nuovo fiducia alla band, perché erano o non erano la città più moderna, aperta e multiculturale d’Italia?

Il gruppo prese di nuovo posto, ognuno al proprio strumento, mentre il vocalist afferrò il microfono, non prima però di essersi fatto dare un mazzolino di fiori dagli inservienti. Dopo, inginocchiato con gli occhi fissi in direzione della Vergine, dette il segno che s'iniziasse a suonare. Ma appena il vocalist intonò “O mia bela Madunina” una strana luce illuminò il pinnacolo, più intensa del solito, creando un effetto simile a quello che si genera se di notte si apre la finestra di una stanza illuminata. Molti pensarono a uno sbalzo di tensione, ma dovettero ricredersi quando dall’alto videro cadere una lunghissima treccia, la cui appendice, in prossimità del pavimento, si muoveva, arcuata a ricciolo, ora a destra, ora a sinistra come quella di un gatto. Tutte le persone presenti, compresi i componenti del gruppo musicale, rimasero a bocca aperta. Poi il pubblico, compreso quanto stava accadendo, si abbandonò a una lunga risata, interrotta solo da un “che te brillet de lontan…” a mille e più voci, che finì la strofa rimasta nell’ugola strozzata del vocalist fattosi piccino, piccino.

Passerà alla storia civile e religiosa quella serata che fece felici tutti, tranne i soliti guastafeste musicali, che se ne andarono prima del tempo in sella ai loro “rombanti” motorini.


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