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blurry eyes

Da Guchippai
blurry eyes

... che poi erano i miei domenica sera quando sono tornata dalla scorpacciata di mostre fotografiche tra Modena e Reggio Emilia. ho deciso di fare tutto in un giorno solo per risparmiare sul costo del viaggio, e così mi sono vista prima la rassegna Fotografia Europea a Reggio, poi Three True Stories nel solito Ex Ospedale di Sant'Agostino a Modena. molto probabilmente, se leggerete fino alla fine, anche i vostri eyes diventeranno blurry in quanto questo post sarà lungo, quindi potete anche passare direttamente ai commenti, scrivere qualche convenevole generico e buonanotte X°D

dunque: alle 8 di mattina la stazione era piena dei reduci della 100 Chilometri del Passatore, maratona annuale che fa scarpinare un bel numero di appassionati da Firenze alla mia città. ho chiesto a uno com'è andata, mi ha detto che di notte sul Passo della Colla c'erano 4 gradi. il che spiega perchè sabato sera in piazza c'erano alcune signore con il cappotto col collo di pelliccia (non sto scherzando) e perchè sul treno tra Modena e Reggio Emilia ho visto diversi monti interamente ricoperti di neve, che a momenti non erano così bianchi nemmeno a febbraio. a Reggio Emilia ho dovuto trottare un bel po' in quanto le varie mostre erano disseminate in sedi diverse, in compenso la temperatura novembrina ha fatto sì che non abbia patito il caldo di due anni fa. prima di partire mi ero preparata un itinerario ragionato in modo da seguire un percorso più o meno circolare; che poi sia riuscita ugualmente a perdermi malgrado la piantina dettagliata è un altro discorso. la prima tappa in effetti è stata un negozio... perchè in vetrina c'erano tutte queste deliziose piccole macchine fotografiche realizzate con le Lego in foggia di spille, anelli e collanine, e quindi mi sono presa quella che potete vedere in apertura di post. che è un accessorio indispensabile per una della mia età, mi pare ovvio. 
blurry eyesla prima mostra che ho visto è stata quella a Palazzo Magnani, dedicata a Weegee, nome d'arte di Arthur Fellig. avete mai visto il film Occhio indiscreto (The Public Eye)? è un film del 1992 con protagonista Joe Pesci, liberamente ispirato proprio alla figura di Weegee. se l'avete visto, sapete di che genere di fotografo sto parlando, sennò ve lo spiego. Weegee è stato il primo fotografo a sintonizzarsi sulla stazione radio della polizia; avendo deciso di dedicarsi alla carriera di freelance, negli anni Trenta divenne famoso perchè arrivava sulle scene del crimine spesso prima della polizia stessa. dotato di enorme autostima (si definiva il miglior fotografo del mondo), creò se stesso anche come personaggio (produsse 1500 autoritratti, in una lunga serie dei quali ritraeva settimanalmente la propria stanza, con la parete dietro al letto sempre aggiornata con articoli di giornale freschi). pareva interessato non solo ai cadaveri, ma alle reazioni che provocavano e a ciò che li circondava; in una celebre foto per esempio di vede un corpo a terra sotto lo sguardo curioso degli abitanti del palazzo, sparsi tra finestre e scale anti-incendio. una mostra quindi decisamente interessante, impreziosita da riproduzioni di giornali dell'epoca e dalla presenza della macchina fotografica usata da Weegee.
blurry eyesalla biblioteca Panizzi gli archivi sono stati setacciati alla ricerca delle immagini di fine Ottocento collezionate dalla signora Maria Gigli Cervi Pansa, moglie dell’ambasciatore Alberto Pansa. durante la loro permanenza in Estremo Oriente, i due raccolsero molto materiale che in seguito è stato donato alla biblioteca e a un museo. interessante vedere le immagini di mondi così lontani da noi; doppiamente lontani, oserei dire, perchè ormai le cose sono cambiate anche per quei paesi stessi.
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Kawauchi Rinko è una fotografa giapponese che fa delle foto stranizzime. la sua mostra presso Palazzo Casotti era dedicata alla luce e integrata da un video composto da moltissimi brevi spezzoni che ho visto quasi per intero. la ricerca della luce, la fascinazione che ha sull'artista (e su chiunque di noi), il tentativo di renderla su pellicola: tutto questo porta a una serie di fotografie delle quali molte sembrano sbagliate (m'immagino le critiche feroci dei maestrini di quel sito dal quale mi cancellai tempo fa!). mi ha stupito proprio per questo suo modo di osare.


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alla ex-Sinagoga, gli scatti che Sergey Shestakov ha realizzato a quel che resta di Chernobyl: dedicata a tutti quelli che l'energia nucleare è pulita. le immagini ci mostrano una città sommersa dalla polvere, dove oggetti derelitti, rotti, strappati danno l'idea di essere stati abbandonati in fretta e furia. il senso del disastro diventa quindi tangibile e l'atmosfera si fa angosciante. a completare il quadro, immagini di repertorio dei malati e della equipe medica e scientifica che si occupò del dopo, oltre a un video che racconta la triste faccenda.


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a voler seguire il filo logico del luogo abbandonato, alcuni scatti di Alessandro Rizzi dedicati al teatro abbandonato di Gualtieri che però ha avuto sorte migliore, in quanto è stato recuperato e riportato in vita grazie all’Associazione Teatro Sociale di Gualtieri.


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altri tre fotografi russi espongono alla Galleria Parmeggiani. sparpagliate fra abiti settecenteschi, elmi medioevali e quadri spagnoli, le fotografie che Tim Parchikov ha dedicato alle statue che i nuovi ricchi moscoviti si mettono in casa e in giardino sono insieme ironiche e dissacranti. imperatori romani e maiali, contadine in chiaro stile sovietico e lascive ninfe col seno scoperto, quasi tutti con il loro bravo cartellino col prezzo appiccicato sopra: insomma, la fiera del kitsch!


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e kitsch sono anche gli interni immortalati da Lucia Ganieva, che invece si è concentrata sulla regione dello Udmurt e su un piccolo villaggio i cui abitanti paiono avere il vezzo di decorare le pareti di casa con poster enormi raffiguranti improbabili scenari. che in effetti sedersi a guardare la TV con dietro le spalle un cigno svolazzante e una fontana spumeggiante non ha prezzo. lo voglio fare anch'io.


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ho trovato di altissimo livello la serie di foto intitolata The Wonder House of Anna & Eve, della fotografa Viktoria Sorochinski, un lavoro che la impegna già da anni e che vede come modelle una madre e una figlia. le foto sono chiaramente tutte accuratamente costruite e di grande impatto visivo ed emozionale; non si riesce a staccare gli occhi da esse, sono quasi ipnotiche.


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ai Chiostri di San Domenico, una grandissima abbuffata di immagini con la retrospettiva dedicata a Carla Cerati. scatti eterogenei che coprono un grande lasso di tempo e che vanno da reportages impegnati, come quello sui manicomi realizzato a fianco di Berengo Gardin, alle sciure milanesi ingioiellate alle prime della Scala, a una impressionante serie di ritratti di intellettuali, a quegli operai che tra gli anni Sessanta e Settanta hanno cambiato il volto di Milano, a patinate fotografie di danzatrici nude... insomma, di tutto e di più, ma sempre con grandissima classe.


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molta classe (anche se non sono sicura al 100% che sia il termine giusto) anche nei lavori di Thierry Cohen, presente con due diverse serie. Cohen è un manipolatore di immagini, perciò per principio non mi dovrebbe entusiasmare; tuttavia i suoi effetti speciali ragionati mi sono piaciuti proprio per il concetto che sta alla loro base. la prima serie vede degli splendidi ritratti di bambini stampati insieme a dei circuiti di computer, a voler sancire la nascita di una generazione nuova, interconnessa con la tecnologia in una maniera tale che essa diventa quasi carne e sangue.


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l'altra serie invece abbina delle famose vedute notturne di città private delle luci artificiali e mostrate invece con lo sfondo del cosmo, con la meraviglia stellare che sarebbe visibile se tutto il resto fosse buio.


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ho tenuto per ultima la sede principale, ovvero i Chiostri di San Domenico, e qui devo dire che, se pure la manifestazione si adorna dell'attributo di europea, l'unico bagno disponibile era il peggio del terzo mondo; forse sarebbe il caso che gli organizzatori badassero anche a questo genere di dettaglio. qua dentro c'era un sacco di roba. ai chiostri, intendo, non nel bagno. cioè, anche lì c'era un sacco di roba, tipo parecchia puzza e una pozzanghera di pipì impossibile da evitare, ma stavamo parlando di fotografia, no? al primo piano si trovava una serie di fotografie di vari autori dedicate all'adolescenza. immagini eterogenee che si concentrano su diversi aspetti e che non starò a elencare dettagliatamente o facciamo notte. basti dire che alcune mi sono piaciute di più, altre di meno (com'è logico) e il lavoro di Eva Baden è stato il mio preferito. per la serie non me ne può fregare di meno, sorvolerò anche su alcuni  altri autori; il punto è che sono conscia del loro impegno e della loro bravura, ma che proprio non me ne poteva fregare di meno di quelle fotografie lì. le ho quindi scorse rapidamente, non trovandoci altro che una certa curiosità scientifica.


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molto interessante il lavoro di Philippe Chancel che ha deciso di mostrare dei luoghi remoti, non nel senso che sono, per esempio, sulla cima di un monte difficile da scalare, ma perchè sono paesi dove è difficile andare in vacanza o dei quali conosciamo solo alcuni aspetti. è il caso della Corea del Nord o di Haiti, mentre di altri luoghi, come Dubai, ciò che viene mostrato è il volto dei lavoratori stranieri che sono trattati nè più nè meno come schiavi e che di certo i turisti non incontrano sulla loro strada.
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Cristina De Middel è la geniale fotografa spagnola autrice della serie The Afronauts. partendo da un fantomatico progetto spaziale dello Zambia negli anni Sessanta, realizza cinquant'anni dopo il sogno di mandare il primo africano sulla luna, producendo ad hoc tute spaziali che hanno l'aria di essere state raffazzonate in una discarica e ritraendo improbabili astronauti. immagini che stanno tra l'ironico e l'onirico.


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tra i vincitori del concorso "GD4PhotoArt – La fotografia s’industria", la mia preferita è stata Sawada Tomoko, una specialista della metamorfosi, già autrice di una serie di autoritratti realizzati con le macchine automatiche, nei quali interpretava 400 versioni diverse di se stessa. mica ceci. nella serie di Reggio Emilia, segue lo stesso principio e impersona diverse donne semplicemente indossando collant di vario genere e modificando la postura delle gambe. da liquidare a calci nel culo il tizio che stava dietro di me e che è passato oltre commentando che queste sono robe che vanno bene solo per gli orientali. umpf.


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dulcis in fundo, anche perchè è stato realmente l'ultimo fotografo che ho visto, David Stewart mi ha fatto sghignazzare un bel po', e mentre sghignazzavo pensavo che purtroppo non mi capita spesso di farlo quando guardo delle fotografie o delle opere d'arte in generale, ed è un peccato. perchè ci prendiamo tanto sul serio? una dose quotidiana di sano humour inglese invece è quello che ci vuole. bene, siete ancora lì? perchè non è ancora finita. l'ho detto che sarebbe stato un post lungo, e infatti dobbiamo ancora andare a Modena. ora, da Reggio a Modena in treno ci vogliono 12 minuti. e meno male, sennò ci lasciavo le penne. infatti avevano avuto la brillante idea di accendere il riscaldamento e la temperatura all'interno delle carrozze era di 29°. roba che ha cominciato a venirmi mal di testa dopo trenta secondi. per fortuna la tortura è durata poco, a Modena mi sono goduta il vento freddo e, tanto per stare dalla parte del sicuro, sono andata subito a prendermi un bel gelato. la mostra Three True Stories, manco a farlo apposta, mostrava i lavori di tre fotografe. incredibile, eh? devo dire la verità: a parte una, non mi sono entusiasmata. ripeto quanto detto sopra: apprezzo la bravura e l'impegno, per carità, ma la raccolta di poster dei martiri palestinesi di Ahlam Shibli e la immagini stranianti dell'iraniana Mitra Tabrizian non mi hanno trasmesso particolari emozioni. ovvero: nel primo caso mi è venuta l'angoscia, nel secondo mi è passata la voglia di andare in Iran, ammesso che l'abbia mai avuta. 
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ho trovato invece straordinari i ritratti della sudafricana Zanele Muholi. lei, che è lesbica, si impegna da tempo a fare una sorta di catalogo di tutte le persone lesbiche, transgender,  ecc. del Sudafrica, oltre a promuovere la difesa dei diritti umani. avendo finito di visitare la mostra in molto meno tempo del previsto, mi sono ritrovata che mancava ancora un'ora al treno e, circondata da modenesi che si stavano strafogando perchè era in corso una manifestazione gastronomica, mi sono detta perchè io no? e difatti è finita a tigelle farcite e birra.

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