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Brevi cenni sull'olivicoltura calabrese.

Da Primolio

È usuale, per chiunque si trovi a percorrere le campagne calabresi - cosi come quelle pugliesi e campane, aggiungerei - imbattersi in enormi distese di uliveti e agrumeti. È cosi forte la loro presenza nei nostri territori, che sovente ci si immagina che si tratti di "vegetazione spontanea"... Nulla di più errato!

Alla stessa stregua delle case non finite, le in-finite distese di terreni ulivetati sono il risultato di secoli di trasformazioni del territorio, il prodotto ultimo di quanto la mano dell'uomo sia riuscita a creare nel corso dei secoli. Il territorio "meridionale" è stato, almeno sotto l'aspetto botanico, plasmato dalle sapienti mani dei contadini. Quanto fin qui detto, non rappresenta semplicemente una mera curiosità, bensì è la dimostrazione concreta, palese e che ancora oggi perdura (salvo la squallida compravendita di cui sono oggetto i nostri "monumenti naturali", che, di tanto in tanto, seguendo le nordiche rotte, abbelliscono qualche villa sul lago di Como) di come le nostre piante o, meglio, i loro frutti, dessero la possibilità al nostro Stato, sin dalla seconda metà del XVII secolo (l'era del capitalismo commerciale), di inserirsi nelle logiche commerciali del Vecchio Continente, intercettando gli sviluppi e le trasformazioni del mercato internazionale. Partendo dal gelso e dalla rinomata produzione serica, si arrivò alla coltura degli ulivi e, infine, degli agrumi. A differenza di quanto avveniva per la produzione di cereali, la piantumazione di alberi di ulivo giovò al territorio, sia per la crescente domanda dovuta all'incremento demografico, sia per garantire maggiore stabilità ai terreni vessati dalle fragili condizioni idrogeologiche.In Calabria, o meglio nelle Calabrie, l'espansione olivicola si diffuse rapidamente, creando delle zone ad alta specializzazione, come le aree di Gioia Tauro e Rosarno, giungendo, poi, fino alle pendici dell'Aspromonte. Anche sul versante Ionico, a Rossano e Cirò, si è assistito ad una prepotente ascesa di questa pianta, forte, resistente e longeva. La produzione di olio si accrebbe così notevolmente che, già a fine '700, si giunse, in qualche caso, a sorpassare il tradizionale e secolare primato pugliese. Secondo alcune fonti, a quell'epoca, la produzione olearia calabrese, arrivò da sola a rappresentare il valore pari a un terzo di tutta la produzione olearia del Regno.

L'enorme produzione olearia delle Calabrie, viene analizzata da uno studioso, il Grimaldi, nei suoi "Studi statistici sull'industria agricola e manifatturiera della Calabria Ultra II", Stabilimento Librario-Tipografico di Borel e Bompard, Napoli 1845.

"Coltivazione estesa ed utile alla Provincia è quella degli ulivi: fu essa derelitta durante il decennio dal 1806 al 1815 (decennio francese, n.d.r.) talché gli uliveti, in parte, furono distrutti, e, in parte, vennero altrettanti boschi. Dopo quell'epoca, rianimato il commercio, si cominciò ad aver cura degli antichi uliveti, si fecero piantagioni novelle, ed attualmente pressocché in ogni sito sono progresso. Menonché in 14 comuni, da per tutto nella Provincia vien coltivato l'ulivo, del quale abbondano maggiormente le qualità dette ogliarole e rotondelle, che danno abbondante olio, e le celline, di cui se ne ottoene meno, ma di mogliore qualità [...]. In generale, di esse non si ha molta cura e si abbandonano alla propria forza di vegetazione [...]. La concimazione negli uliveti non si pratica da per tutto, e si esegue o facendovi dimorare le mandrie o mettendo letame in fosse fatte ai piedi degli alberi o soesciandovi il lupino.Perloppiù i terreni olivetati essendo seminati, non si fanno pegli alberi che quei lavori d'aratro o di zappa necessari al sottoposto terreno; e gli altri in cui si semina, si zappano in inverno, ogni 3 a 6 anni [...]. La potatura si fa inverno, in taluni siti non si esegue, in altri si fa male [...].La raccolta delle olive si fa generalmente quando queste son perfettamente mature, eccetto pochissimi proprietari che la eseguono pria di giungere a tal punto. Il frutto in parte si raccoglie da terra ed il rimasto sull'albero si fa cadere perticando i rami.Oltre il danno che dal sistema di abbattere e di raccogliere mature olive ne viene, vi è l'altro che deriva di tenerle pria della raccolta per circa un mese ammonticchiate e premute in luoghi sovente umidi e bassi [...]. I molini e i frantoi da olive, detti, volgarmente, trappeti, son difettosi. In fatti, la mola è larga un palmo e mezzo e con taglio poco aguzzo, per cui oltre ad essere pesante e di lento moto, richiede molta fatica per essere mossa e la triturazione delle olive non è ben fatta.Il prodotto dell'olio è di 19.523 botti, cioè cantaja 107.287 e rotoli 57 e 1/3, ed è poco men che raddoppiato nell'ultimo decennio, poiché, pria del 1835, il medio prodotto era di 10.623 botti; il prezzo di ducati 55 la botte. Finalmente gli uliveti può ritenersi che occupano 312.368 moggia del territorio della provincia, e sono nella maggior parte nel distretto di Catanzaro e nella minore, in quel di Crotone".

Come si evince dallo studio del Grimaldi, dopo la fase d'arresto del commercio all'inizio del XIX secolo, dovuto alle Guerre Napoleoniche, la crescita riprese negli anni a venire. La Calabria iniziò ad esportare sempre più olio, non solo nelle altre province del Regno, ma anche e soprattutto nei principali paesi europei. Il prodotto finito, il risultato del duro lavoro dei contadini calabresi era ricercatissimo dalle industrie del Nord Europa, specialmente dai saponifici di Marsiglia e dalle industrie tessili inglesi. Il cloth oil, l'olio per i panni, come veniva chiamato nelle lande anglosassoni, era destinato non al consumo alimentare, bensì utilizzato per la lavorazione dei tessuti nelle fabbriche e per la lubrificazione dei macchinari. Quindi, i difetti dell'olivicoltura calabrese dell'epoca, anche se da un lato, considerato lo sbocco commerciale che trovava comunque il prodotto (creando una sorta di circolo vizioso per cui da parte degli olivicoltori non v'era necessità di migliorare la qualità del prodotto) poteva giovare all'economia, col passare del tempo rappresentò un limite, specie quando la concorrenza dei paesi del Mediterraneo come la Spagna e il Maghreb, si fece più serrata, decretando la fine della stagione del grande primato calabrese durata quasi un secolo; secolo che, comunque, permise all'olio delle Calabrie di ritagliarsi uno spazio come protagonista di uno dei più grandi mutamenti che la Storia dell'Umanità possa ricordare.


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