Magazine Cinema

Bronson

Creato il 07 settembre 2015 da Jeanjacques
Bronson
Io soffro un poco della mania dell'accumulo. E' che ho la perenne paura dell'inattività, di restarmene un giorno e non avere nulla con cui sfogare la mente, e così mi ritrovo ad ammassare cose su cose. Siano esse libri, fumetti o film... mi capita di prenderli e lasciarli da parte per i periodi di magra, e intanto vado avanti a vedere cose che ritengo più 'urgenti', ritrovandomi con un sacco di materiale arretrato che, sì dai, prima o poi userò. Questa cosa mi era capitata col film di Bronson, del quale ho acquistato il dvd - edito da noi dalla One Movie, la stessa di Avalon e Spun, che in mezzo a mille trashate butta anche delle piccole perle - un annetto fa in una bancarella dell'usato a cinque €uri (usato... era pressocché nuovo!), iniziato a vederlo pochi giorni dopo e poi interrotto per motivi che non ricordo più - molto probabilmente dovevo aiutare la mamma in cucina o cercare di rendere abbastanza vivibile quel letamaio che mi ostino a chiamare camera. Finalmente è arrivata una di quelle sere in cui mi decido a far fruttare quei vecchi acquisti che se ne stavano lì a fare la muffa da un poco, anche perché Refn è un regista che apprezzo molto e avere in casa un suo lavoro non visionato da molto mi crea un attimo di stizza, specie se mi mancano pochi titoli per completare la visione della sua particolare cinematografia. E devo dire che anche a questo giro il danesone hipster non mi ha (ancora) deluso.

Il film narra la storia vera di Michael Peterson, conosciuto anche con il nome d'arte di Charles Bronson, divenuto in poco tempo come uno dei carcerati più pericolosi e famosi del Regno Unito...

Quello del biopic è un genere un po' costipato e infatti sono rari i casi in cui esco entusiasta da una visione che lo riguarda. Questo perché, a mio parere, è il genere in cui è più facile cadere nei soliti schematismi che ne possono smorzare la potenza narrativa: già il fatto di essere ancorato a una storia che ha delle radici così profondamente radicate nel reale può essere un freno, poiché porta a degli eccessivi rigori da rispettare, senza contar che (quasi) tutti hanno la mania del didascalismo e di quelle odiosissime scritte a fine film che ti dicono come si è svolta la vita del personaggio in questione. Ironicamente, in un genere simile Cronenberg, con A dangerous method, ha tratto uno dei film più deboli della sua filmografia, mentre Michael Bay ha saputo quasi stupirmi con quel tripudio di tamarreide che è stato il divertentissimo Pain and gain - finora l'unico a stupirmi è stato Bernardo Bertolucci con il bellissimo L'ultimo imperatore. Refn, pur non rinunciando alle odiosissime note finali, riesce però a gestire un genere così castrante alla propria maniera, descrivendo un personaggio decisamente sui generis in una maniera altrettanto folle. Sarebbe facile inquadrare Peterson come un semplice malato di mente e, per fortuna, la cosa non viene fatta del tutto. Ok, un po' malato di mente lo era, ma credo che non bisogni mai eccedere in semplicismi simili quando si tratta di soggetti così delicati. Ovvio che non bisogna condonargli quelle che sono le loro colpe e i loro delitti, ma va ricordato che se una persona arriva a tanto è sempre per un proprio particolare vissuto, un'idea distorta con la quale sono cresciuti e che le figure di riferimento magari non sono riuscite a gestire appropriatamente - ma non è giusto riversare le colpe unicamente su queste ultime, io sono dell'idea che siamo tutti vittime e che i colpevoli in realtà siano davvero molto pochi. Non per nulla il film inizia, com'è giusto che sia, col raccontare l'infanzia del protagonista (dopo delle breve sequenze che ci fanno conoscere il personaggio all'apice della sua 'gloria') e facendoci vedere come nonostante i suoi attacchi di violenza non fosse mai stato guidato bene dalle figure paterne, a come si è fatto trascinare da una corrente malsana fino a che non ha partorito la sua particolare e folle brama, quello di essere famoso a tutti i costi. Peterosn alla fine era un uomo malato di successo e questo successo l'ha cercato nell'unico modo che gli riusciva, quello della violenza. Refn, più che di raccontare dettagliatamente quella che è stata la sua storia, elemento che in più di un punto sembra passare in secondo piano (la moglie e il figlio infatti che fine fanno?), decide di far immergere lo spettatore in quella che è la psicosi del protagonista, cosa che ovviamente influisce sulle stile registico che si sceglie di adoperare, ancora lontano dallo stile patinato di Drive e Only God forgives. Decide così di imbastire gran parte dell'azione sulla mimica fisica e facciale di un signor attore come Tom Hardy, che qui doveva ancora mettere l'apparecchio ai denti di Bane, che narra in prima persona a un pubblico teatrale immaginario quelle che sono state le sue gesta. Proprio qui sta la genialità del tutto, perché non segue degli schemi canonici e permette un'immedesimazione tout-court col personaggio, arrivando quasi a empatizzare con lui e col suo disagio. Sempre senza giustificarlo, perché quelle che fa sono cose brutte, ma arrivando a cercare di comprenderlo. Tutto questo però non sempre va a buon fine, certi punti non vengono sempre approfonditi e si ha l'idea di un finale tagliato, lasciato su un punto vuoto. Ma forse è stata proprio così che è stata la vita di questo novello Bronson, un punto vuoto. Perché ognuno forse ha le ambizioni che si merita, ma una volta raggiunte queste hanno veramente il senso e l'importanza che la nostra mente e il nostro retaggio gli avevano illusoriamente dato? Bronson è un po' come un cerchio che non viene chiuso: oltre c'è l'abisso e la possibilità di fare un salto per arrivare sull'altra sponda. Ma c'è il rischio di non avere abbastanza energie e sprofondare nel buio insieme al proprio protagonista. Che come tutti, va compreso, prima che condannato.

Un film che forse è più di forma che di sostanza, ma che almeno riesce a imprimersi nella mente grazie alla propria originalità.Voto: ★ ½

Bronson
Bronson
Bronson
Bronson
Bronson
Bronson

Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :

Magazines