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Burkina Faso e società civile: “Le balai citoyen”

Creato il 22 luglio 2015 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
Burkina Faso e società civile: “Le balai citoyen”

Dal 2013 il movimento civico “Le balai citoyen” ha smosso gli animi della società civile burkinabè denunciando gli abusi di potere del presidente Blaise Compaoré. La portata delle manifestazioni non ha lasciato scelta a Compaoré se non quella di ritirasi dalla carica di presidente, rinunciando all’azione di modifica del testo costituzionale, già annunciata mesi prima, che ne avrebbe resa legittima l’elezione per un terzo mandato. Il colpo di stato costituzionale è stato sventato in Burkina Faso, ma molti altri Paesi africani ne restano minacciati. Sulla scia dell’azione di “Le balai citoyen” le società civili europee e africane hanno lanciato un appello per ristabilire il principio dell’alternanza politica quale pilastro dei regimi democratici: “Tournons la page!”. Di fronte all’inerzia degli Stati, oggi spetta alla società civile farsi promotrice della democrazia nel vecchio continente.

Quando sul piano internazionale si levano discorsi sull’Africa, difficilmente essi accostano il più antico tra tutti i continenti all’idea di democrazia. Si è soliti descriverlo come una riserva di materie prime, a volte come un focolare d’instabilità mondiale e nella più fosca delle ipotesi quale vittima espiatrice di tutti i mali che tormentano l’umanità.

Eppure l’Africa non è affatto estranea alla sete di democrazia. Ne è stata dimostrazione l’adozione, in seno all’Unione Africana, dell’African Charter on democracy, elections and governance il 30 gennaio del 2007, entrata in vigore solamente il 15 febbraio 2012 a seguito del deposito del decimo strumento di ratifica da parte del governo togolese1. Il trattato ha impegnato tutti gli Stati firmatari a promuovere la democrazia, concepita quale \”principle of rule of law of human rights2\”, non limitandosi alle solenni enunciazioni di principio, tipiche delle grandi Carte, ma definendo linee guida pragmatiche per diffondere e costruire una cultura e una società democratiche3.

Il 31 ottobre 2014 Blaise Compaoré si è dimesso dalla carica di presidente del Burkina Faso, decretando la fine dell’egemonia della famiglia Compaoré, ormai al potere da circa ventisette anni. Effettivamente nel 2010 l’ex presidente aveva ratificato la Carta Africana sulla democrazia, ma nonostante ciò il governo burkinabè era affetto da un deficit di ricambio politico tale da impedire di classificare quello di Compaoré quale regime democratico. Quella burkinabè è solamente una delle tante società africane in cui la maggior parte dei cittadini non ha conosciuto che la stessa famiglia al potere da quanto era nata: in Togo la famiglia di Faure Gnassingbe è al potere dal 1967, così come quella di Ali Bongo Odinga in Gabon, mentre in Angola José Eduardo Dos Santos presiede il governo dal 1979 e in Camerun Paul Rivera dal 19824. Naturalmente non esiste un unico modello di democrazia, ma nessun governo può essere considerato democratico senza che ci sia alternanza, senza che sia garantito il rispetto delle leggi da parte dei detentori del potere.

L’articolo 37 della Costituzione del Burkina Faso recita che “il Presidente del Faso è eletto per 5 anni a suffragio universale diretto” ed è “rieleggibile una sola volta”. Ebbene, quando in realtà era proibito al Capo di Stato sollecitare un terzo mandato, Compaoré era già al suo quarto, senza considerare i quattro anni di transizione seguiti alla morte di Sankara nel 1987, durante i quali aveva governato senza passare per le urne. Quindi Blaise Compaoré è stato eletto per la prima volta nel 1991, rieletto nel 1998, poi nel 2005 e infine nel 2010, dato che il limite del numero di mandati è intervenuto solamente nel 2000 senza effetti retroattivi5. Avendo premura di salvaguardare la sua posizione, lo scorso anno Compaoré ha annunciato di volersi ricandidare alla presidenza, in vista delle elezioni del 2015, prospettando conseguentemente l’emendamento del testo costituzionale che avrebbe reso legittima l’elezione del presidente per un terzo mandato. Questo annuncio è stata la scintilla che ha infiammato gli animi della società civile.

Nel 2013 il rapper burkinabè Serge Bambanra, in arte Smockey, e il musicista raggae Sams’ K Le Jah hanno fondato l’associazione Le balai citoyen (“La scopa dei cittadini”), nata per denunciare gli abusi di potere di Compaoré. I due artisti, grazie alla loro popolarità e alla loro capacità di “mixare” il repertorio culturale e quello politico, hanno galvanizzato l’attenzione di migliaia di giovani, riempiendo gli stadi e strutturando una vera e propria mobilitazione dal basso con la formazione di piccoli gruppi di dieci persone, i c.d. cibal, pronti a muoversi al primo tweet. Dietro le vesti sceniche del movimento, portavoce di Le balai citoyen è l’avvocato, nonché ex magistrato, Guy Hervè Kam, noto tra gli attivisti della società civile per aver lanciato una petizione proprio a difesa dell’articolo 37 della Costituzione, la cui presenza ha dato maggiore credibilità all’organizzazione.

Per oltre un anno Smockey, nelle cui intenzioni Le balai citoyen, similmente al movimento Y’en à marre sorto in Senegal nel 2011, doveva denunciare il malgoverno del Burkina Faso, ha agito tentando di ridestare la passività in cui versava l’intera società burkinabè, da anni assopita all’ombra del potere monolitico di Compaoré. Sit-in, concerti, dibattiti e marce sono solo alcuni degli espedienti cui ha attinto il movimento il quale, a giudicare dalla portata delle manifestazioni divampate il 28 ottobre 2014 nella capitale Ouagadougou, definite di portata storica6, ha avuto un impatto senza precedenti. La manifestazione si è svolta alla vigilia della discussione nell’Assemblea nazionale della proposta di modifica costituzionale, che il governo Compaoré intendeva approvare con almeno due terzi dei voti, evitando conseguentemente la strada del referendum. Nelle giornate successive la capacità di negoziazione di Kam è stata essenziale per procedere alle dimissioni di Compaoré, totalmente sopraffatto dall’oceanica sollevazione popolare. Le balai citoyen è stato in grado di mediare tra l’esercito, l’opposizione politica e il popolo, salvando il Burkina Faso dal rischio del gioco di mano del presidente e consentendo alla società burkinabè di “voltare pagina”7.

Sulla scia dell’azione promossa da un anno da Le balai citoyen, il 15 ottobre 2014, giornata simbolo per il Burkina Faso poiché coincidente con l’acquisto del potere da parte di Blaise Comporé nel 1987, è stato lanciato l’appello “Tournons la page!”8.

Tournons la page è nato dal riavvicinamento tra gli esponenti delle società civili africane ed europee. A partire dagli anni novanta associazioni e intellettuali hanno parlato tra di loro, si sono conosciuti, hanno condiviso valori e hanno lavorato insieme, partecipando ai Forum sociali mondiali, sostenendo congiuntamente le campagne per l’annullamento del debito e a favore del controllo della società sul budget, per la trasparenza degli stipendi e contro gli accordi di partenariato economico, sostenendo inoltre la mobilitazione internazionale per le elezioni del 2005 in Togo o la missione internazionale per l’osservazione delle elezioni in RDC nel 2006.

La campagna lanciata dal grido della società civile parte da una constatazione dalla quale ben si evincono le potenziali distorsioni della democrazia. I colpi di stato militari sono ormai unitamente condannati dall’intera comunità internazionale, ma oggi l’Africa vive sotto lo scacco di un nuovo colpo di stato che, pur deponendo le armi, indebolisce parimenti le istituzioni, aggirando quei meccanismi legislativi su cui esse fondano il proprio potere. Si tratta di veri e propri colpi di stato costituzionali che, concretizzandosi nella proposta di emendamenti che agevolino il rinnovo del mandato oltre a quanto stabilito per legge, permettono a un regime di preservare la sua posizione sacrificando il principio di alternanza sancito dalla Costituzione.

La situazione di Compaorè non è, purtroppo, una novità tra gli Stati africani. Negli ultimi anni modifiche costituzionali per restare al potere sono state utilizzate in almeno otto paesi9 ,dove alcuni presidenti sono in attività da più di trent’anni, mentre altri hanno annunciato l’intenzione di farlo entro il 201510. Tuttavia il colpo di Stato costituzionale non può e non deve essere considerato alla stregua di un costume africano anzi, numerosi sono gli esempi di Paesi i cui dirigenti hanno accettato la regola dell’alternanza. Basti pensare al presidente Konaré in Mali, a Jerry Rawlings et Kuffor in Ghana, a Matthieu Kérékou nel Bénin, a Pinto da Costa a Sâo Tomé e Principe, i quali tutti hanno ceduto il loro posto nel rispetto della legge. É vero che questi Paesi non sono esenti da crisi interne o da fenomeni di corruzione, ma l’alternanza al potere rappresenta la condizione sine qua non per il raggiungimento della democrazia, come sottolineato dagli esponenti di Tournons la page, che criticano aspramente l’apparente stabilità in cui versano le moderne democrazie-dittature.

Il manifesto di Torunons la page si rivolge anzitutto ai leader africani, chiedendo loro di rendere possibile il cambiamento democratico, di garantire lo svolgimento di elezioni libere, eque e trasparenti nei tempi previsti dalla Costituzione e di garantire tutte le condizioni necessarie per l’esercizio della democrazia, come la separazione dei poteri, il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali o il rispetto dei partiti di opposizione. In secondo luogo l’appello è diretto ai candidati che incarnano l’alternativa, poiché questa non è solo una parola, ma racchiude una serie di contenuti. L’opposizione dovrebbe controllare che venga assicurata la trasparenza del bilancio dello Stato, dei contratti con le multinazionali e dei ricavi derivanti dallo sfruttamento delle risorse naturali; che venga tutelato il rispetto delle norme sulle nomine di alto livello nei quadri della polizia e della pubblica amministrazione; che venga garantita la libertà di opinione e di stampa e aumentata la protezione della società civile e degli attivisti impegnati nelle attività di monitoraggio e valutazione delle politiche pubbliche. Non solo, ma Tournons la page coinvolge anche l’Unione africana, l’Unione europea e i loro Stati membri che dovrebbero rispondere a una serie di imperativi, quali ristabilire le priorità a favore della democrazia e dello stato di diritto, fondandole sulla sicurezza e sul lo sviluppo economico; prendere una posizione chiara contro ogni convenienza di modifica delle costituzioni, denunciando qualsiasi altra manovra per aggirare i limiti imposti; proteggere la società civile e i difensori dei diritti umani; incentivare processi di supporto di elezioni libere e trasparenti e infine supportare la proposta volta alla creazione di una Corte costituzionale internazionale, come formulata dalla presidenza della repubblica tunisina dopo gli eventi del 201111.

In realtà già da tempo l’Unione europea aveva riconosciuto formalmente il valore della società civile africana nella costruzione dei regimi democratici. Nel 2000 veniva concluso l’accordo di partenariato tra l’UE e i membri del gruppo degli Stati dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico, conosciuto come accordo di Cotonou, che ha offerto alle relazioni di cooperazione dell’UE un quadro per lo sviluppo economico, sociale e culturale di quei Paesi12. Rivisto prima nel 2005, poi sotto gli auspici del trattato di Lisbona nel 2010, l’accordo ha conferito un ruolo chiave nella costruzione del dialogo agli attori non statali, quali autorità locali e organizzazioni della società civile e del settore privato, cui è stato riconosciuto accesso privilegiato a specifiche forme di finanziamento previste dal partenariato. A fronte di queste premesse, tuttavia l’importanza attribuita alla questione democrazia è passata a lungo sotto silenzio e Tournons la page ha denunciato il ritardo dell’UE nell’essersi pronunciata sull’illegittimità dei potenziali colpi di stato costituzionali, avendo preferito la strada della diplomazia discreta, che non offende i poteri forti e salvaguarda gli interessi economici. Così, mentre l\’Unione europea e i suoi Stati membri sono stati impegnati nei giochi ipocriti della diplomazia, le società civili hanno agito e lavorato insieme, forgiando una nuova alleanza per l’avvento della democrazia nell’intero continente africano.

Le balai citoyen è stato in grado di svegliare migliaia di persone e ha alimentato un’ansia di giustizia che è giunta oltre i confini dell’Africa. Le dimissioni di Compaoré rappresentano solo l’inizio di un percorso per il Burkina Faso, dove protagonista non è più esclusivamente il governo, ma una nuova generazione, quella consapevole dell\’impatto che può avere sullo sviluppo dello Stato. L’aspirazione del movimento è che le persone si impegnino maggiormente in attività civiche, poiché devono esserci una pressione e una vigilanza costanti da parte del popolo. Uno dei messaggi-chiave di Le balai citoyen è che non si devono seguire gli uomini, bensì le idee. I movimenti, le associazioni e tutte le organizzazioni che si battono per migliorare il benessere umano devono difendere quest’ultime e non gli individui13. Del resto, come affermato da Bertrand Badie, politologo francese, “Aujourd’hui, ce sont les mouvementes sociaux qui guident le monde. Des exemples sur tous les continents nous le montrent”.

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