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Cade la terra di Carmen Pellegrino: i luoghi che amiamo hanno radici profonde, nonostante tutto

Creato il 16 settembre 2015 da Alessiamocci

“Ci sarà tepore nella stanza e odore di cibi fritti. Verranno tutti, con i vestiti della festa, le scarpe rinfrescate da una spazzolata. Arriveranno alle nove e, l’uno dopo l’altro, prenderanno posto intorno alla tavola. Non porteranno regali, non lo fanno mai, ma non importa: ne ho preparati io per loro, davanti ai quali spalancheranno gli occhi, ma io guarderò altrove”.

È arrivato terzo al Premio Campiello 2015 il romanzo d’esordio dell’“abbandonologa” Carmen Pellegrino. La scrittrice, nata in provincia di Salerno nel 1977, ama visitare luoghi abbandonati e leggere libri che parlano di rovine, per poterli riportare in vita attraverso i suoi scritti.

“Cade la terra”, edito da Giunti nel 2015, è un’opera di struggente impatto, dove nel passato di un borgo chiamato Alento possiamo immedesimarci tutti, rievocando persone che vi hanno vissuto e ora non ci sono più. E se, almeno col ricordo, potessimo farle rivivere? Quasi volessimo concedere una sorta di “riscatto” per quella che è stata la loro vita, terminata troppo presto, ed alleviare al tempo stesso la nostra solitudine. È quanto fa Estella, ultima abitante di un paese evacuato perché soggetto a frane, che da anni rifiuta di lasciare la sua casa.

Il paese, che aveva sempre camminato, ora sembrava aver camminato di più nella sua coperta di fango con gli abitanti che si erano ritirati più a Nord, sopra una porzione di terra meno tremolante”.

A diciotto anni Estella abbandona il convento e ritorna ad Alento, dove intende vivere nella sua vecchia casa, ma scopre che essa ha ceduto al fango e non esiste più. Rimasta sola, la ragazza deve cercarsi un luogo dove andare, e risponde ad un annuncio presentandosi a casa della famiglia de Paolis. Qui si cerca un’istitutrice per il figlio Marcello, un sedicenne con problemi comportamentali, anch’esso protagonista di questa storia attraverso capitoli che mettono in luce il suo pensiero. La madre del ragazzo vede in Estella la persona adatta e la assume il giorno stesso. Sarà proprio in quella casa, costruita in prossimità di un robusto olmo, che Estella trascorrerà i suoi anni migliori, assistendo alla nascita e alla morte di tante persone.

Il tempo passa, ma Estella rimane sempre uguale a se stessa, rifiutandosi di cedere ai sentimenti. Perché l’abbandono è un dolore che si può sopportare solo una volta, e unirsi ad un’altra persona vorrebbe dire correre il rischio di doverlo rivivere. È talmente nostalgica ed ancorata al passato che ogni anno invita a cena le persone che hanno fatto parte del paese, in quella casa, abbandonata dai de Paolis, in cui lei invece ha messo robuste radici. Nella visione di Estella, questi compaesani scomparsi prendono parte al desco e si materializzano con le caratteristiche che ci vengono descritte nella parte centrale del romanzo, dove l’autrice dedica ad ognuno di essi un capitolo.

I racconti sono forti, di poveri cristi che hanno condotto una vita solcata dalla povertà; in tempi in cui le figlie femmine erano considerate una vergogna e non godevano degli stessi diritti dei maschi; dove le mogli venivano  insultate e schernite e nelle case mancava la corrente elettrica.

È il caso di Libera, la figlia di Cola Forti, costretta al matrimonio col Guercio: un uomo che l’avrebbe tratta in salvo dalla povertà, ma rozzo ed incapace di dialogare, chiuso nel suo ruolo animalesco di chi mira solo ad accoppiarsi; c’è Giacinto il banditore dalla voce squillante che passa di strada in strada ad informare il paese, che da anni attende il berretto gallonato per rendere ufficiale il suo ruolo; c’è poi la famiglia Parisi che si è arresa alla corrente elettrica solo nel 1960, quarant’anni dopo la diffusione in paese, col severo padre Consiglio, l’arrendevole moglie Custoda, la figlia Lucia, costretta ad un gesto estremo per affermare la sua esistenza, e la piccola Mariuccia, morta per l’errore di un medico che ha fatto valere la sua superiorità su quelli che sono ritenuti solo un branco di “bifolchi”.

Un filo sottile divide la vita dalla morte. Questi – e molti altri – sono solo fantasmi, mentre Marcello è vivo ed è lì, a disposizione di Estella. Lo è sempre stato e vorrebbe che lei andasse via con lui, perché la casa sta crollando così come l’intero Alento, che presto verrà inghiottito dal fango. Marcello, a differenza di Estella, aperto al cambiamento – tanto da essersi trasferito nella parte alta del paese, esente da frane –, non sa come interpretare la malinconia della donna; egli non avverte quelle voci uscire dai muri e rendere reali gli amici di un tempo. Ma Estella, persa nella sua follia, rimane ferma nelle proprie convinzioni, come quell’olmo accanto alla casa che, nonostante il terreno che frana, rimane saldo, ultimo baluardo di un paese che muore.

“Cade la terra” è un romanzo dalla prosa magistrale, la cui lettura consiglio caldamente. L’autrice ama creare neologismi, che nel contesto risaltano come felici intuizioni. Senza dubbio si rifà al linguaggio della poesia, e a tratti ricorda “La sposa giovane” di Baricco.

Le case e i terreni possono crollare, i ricordi e i sentimenti invece no. Sembra essere questo l’insegnamento che possiamo trarre da una lettura davvero illuminante.

Written by Cristina Biolcati


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