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Calcio e poesia in Gianni Brera (By Bruce Waine)

Creato il 26 gennaio 2014 da Simo785

Gianni_Brera

Un bomber della parola. Forse è un po’ retorica, ma dubito esista una definizione migliore per presentare Gianni Brera. Perché il suo modo di fare giornalismo sportivo non era troppo improntato al cronachismo – alla riproduzione notarile dei fatti, all’informazione nuda e cruda – ma sembrava essere, piuttosto, una nuova branca dell’epica.

Era ben difficile, infatti, che il suo estro inventivo lasciasse illeso un giocatore di talento, un allenatore o un presidente. Tanto per capirci: il fatto che Silvio Berlusconi sia ancora oggi il Cavaliere lo dobbiamo a lui, come a causa sua Gianni Rivera è stato, per anni, l’Abatino. Osvaldo Bagnoli diventò, negli articoli di Brera, una reincarnazione di Arthur Schopenhauer, e se Helenio Herrera divenne l’Accaccone Heriberto Herrera non poteva non trasformarsi – per logica conseguenza – nell’Accacchino.

Sembrava quasi ricreare il mondo dello sport, Brera, con questo suo modo di rinominarlo. Era come se i suoi personaggi cessassero di essere dei semplici professionisti per trasformarsi in figure semi-mitiche o parodiche, dotate di appositi nomi-emblema che ne riassumevano i caratteri di fondo. Né, d’altro canto, mancava di una specifica visione del gioco – un allenatore o un giocatore devono avere una visione “di” gioco: un intellettuale quella “del” gioco –, tutta incentrata in una strenua difesa del calcio all’italiana e del “catenaccio”. Che per Brera non consisteva in una semplice difesa del tempo che fu, ma piuttosto in una specie di rievocazione dell’età dell’innocenza, di un calcio estraneo al “prestazionismo” estremo degli ultimi anni.

Non per nulla odiava Arrigo Sacchi, e riteneva che la sua sola fortuna, al Milan, consistesse nel poter disporre di un trio come Van Basten, Gullit e Rijkard. Né è un caso il fatto che non fosse amante del già menzionato Gianni Rivera (“Abatino”, nel suo vocabolario, non era affatto un complimento), o Giancarlo Antognoni ed Evaristo Beccalossi: troppo tecnici, troppo poco combattivi.

Insomma, se Giorgio Tosatti è stato il grande scienziato del giornalismo sportivo italiano – impossibile coglierlo in fallo, inimmaginabile un vuoto in quell’immensa banca-dati che era la sua memoria –, Gianni Brera può essere considerato il suo poeta e cantore. E mancano molto, tutti e due, all’odierno scenario nazionale.


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