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Cappuccetto Rosso Sangue (2011)

Creato il 07 novembre 2011 da Elgraeco @HellGraeco

Cappuccetto Rosso Sangue (2011)

Come sapete, mi è stato regalato. Da una persona che, forse, mi odia. Però, dal momento che, a parte rarissimi casi (tipo i film con Nicholas Cage), guardo di tutto, trovo tempo e coraggio per parlarvi anche di questo Cappuccetto Rosso Sangue, con l’aliena Amanda Seyfried. Che mi piace proprio perché tutte le donne la reputano di strano aspetto. Sarà strana, ma è bella.
E ok, non vuole essere un panegirico su Amanda, anche se, a parte lei, resterebbe Gary Oldman che ormai reciterebbe anche in qualche American Pie numero 5000 e una serie di attori bellocci/bambocci, che piacciono tanto alle ragazzine.
Cosa vuole essere questo film? Una rilettura della Fiaba di Cappuccetto Rosso.
Bene. Lungi dall’essere un tentativo ridicolo (la rilettura, non il film), nel metterlo in piedi, ci si assume determinate responsabilità.
È bene chiarire che la favola di Cappuccetto Rosso, Red Riding Hood, nei tempi vetusti, quando la sera era illuminata dal fuoco delle torce e nei boschi europei (l’America non “esisteva” ancora) si annidavano demoni oscuri di ogni genere, era una storia horror, a tinte talmente fosche e crude che, riproposta oggi, sarebbe censurata. Non vi linko nulla, ma sappiate che le incisioni che potevano vedersi sui tomi di pergamena, facevano accapponare la pelle. Il lupo era cattivo, famelico, incarnazione del demonio; connotato quindi anche di lussuria, caratteristica principe, per coloro che danzavano con Satana nelle notti di plenilunio.
Allora, Cappuccetto Rosso è una cosa, il tentativo di rilettura di Chatherine Hardwicke, un’altra.
Inutile instaurare paragoni con Tuailait, ma, luccicori a parte, la pellicola emana sciccheria da ogni poro degli attori, opportunamente aperto e ripulito in sedute dall’estetista. Love, love, love.

Cappuccetto Rosso Sangue (2011)

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[c'è qualche anticipazione, se ve ne frega qualcosa]

Ed è un peccato. L’idea è affascinante. Non pretendo neppure, badate bene, l’assoluto realismo della scenografia: un villaggio sperduto tra monti ricoperti di neve e foreste boscose, in una specie di medioevo. Perché il punto è che non necessitano di essere realistici. Trattandosi di fiaba, il focus può distrarsi e concentrarsi solo sui colori, sull’intreccio, su Cappuccetto Rosso.
Immagini che, in più punti, mi hanno ricordato Legend. E io Legend lo trovo palloso come poche altre cose (Darkness a parte). I set sono rarefatti e colorati tanto da risultare artificiali, ma da non essere disturbanti. La sensazione, viste le abbondanti nevicate fasulle, è quella di stare dentro la palla di cristallo, a veder scendere fiocchi di neve finta, che non gela.
Ecco, questo e i colori rubati al villaggio di Shyamalan, non plus ultra sul finire del film, quando al mantello rosso (il colore del male!) si alternano mantelli di quel giallo smorto, tipico dell’altro film; manca solo la giustificazione che il secondo colore serve a non attirare i mostri, ma la scala cromatica non mente. E fa il suo porco effetto.

Cappuccetto Rosso Sangue (2011)

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Debiti cromatici verso M. Night a parte, il plot risente della banalissima tuailattizzazione, che va tanto di moda. Il ragazzo (Shiloh Fernandez), che fa il povero taglialegna, ama la ragazza (Amanda Seyfried), figlia di Virginia Madsen (la quale, per parte sua, si limita a matroneggiare), ma è promessa a un altro. Vi ricorda niente? Per caso il matrimonio (con qualche modifica qua e là) di una certa Bryce Dallas Howard e di Joaquin Phoenix? No, è solo un’impressione.
Sia come sia, alla vigilia delle nozze, il Lupo, una bestia che infesta i boschi intorno al villaggio (!) torna a uccidere. Uccide la sorella di Amanda.
Scompiglio, panico. Ma per fortuna, il villaggio può contare sulla guida del Colonnello Saul Tigh del Galactica che, con un manipolo di valorosi, si addentra nella tana della Creatura e la uccide. Ma è il lupo sbagliato.
Come per Priest, si avverte chiara l’operazione di imbruttimento/instupidimento della trama, o meglio ancora, lungi dall’essere operazione condotta a posteriori, magari sulla base di un plot spaventoso (in senso buono), è palese che nelle scelte stilistiche e soprattutto nel casting, ci si è messi al tavolino per fornire una versione di Tuailait mascherata “bene” (per evitare le facili critiche), ma che dovesse dare alla ragazzine bisognose di essere amate dal mostro di turno, proprio ciò che volevano. In più, il giochino alla Cluedo: ovvero, indovina chi è il lupo mannaro. Giusto per mantenere qualcuno sveglio. Precauzione inutile, dal momento che gli spettatori a cui mira Cappuccetto Rosso Sangue sono stati sottoposti alla Cura Ludovico e sono capaci di ingurgitare tonnellate di letame romantico-gotico senza neppure ricorrere ai sostegni per mantenere aperte le palpebre. Stanno su da sole.

Cappuccetto Rosso Sangue (2011)

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Nevica, ma i fighetti di turno se ne vanno in giro con le maniche arrotolate e la camicia aperta sul petto glabro. Ora, io penso che se a quarant’anni ancora non sono spuntati i peli, si deve avere uno squilibrio ormonale di una certa gravità. Di peli ne ha di più Amanda Seyfried, a voler ben guardare. A lei viene riservato il doppio ruolo di Cappuccetto e della stupida voce narrante, che sottolinea l’ovvio. Ma, ehi, non vogliamo mica che qualche spettatore si sia perso un dettaglio fondamentale del labirintico (ah ah ah) intreccio.
Per cui, le fanno indossare una maschera che mette in risalto la sua espressività, nella foto in alto, e si gioca alla fanciulla concupita dal mostro. Un lupo grosso e nero, in pessima CGI, stile tuailait.
A questo, si aggiunge Gary Oldman che, oltre a prodursi in un quadruplo infodump carpiato con scappellamento a destra: in passato ha ucciso la moglie, se non l’avete capito le prime tre volte che l’ha detto, è una specie di inquisitore/cacciatore di lupi mannari e, in quanto tale, proprio per le sue straordinarie abilità, muore nel modo più coglione possibile, ovvero dimenticando i suoi stessi dettami e facendo la fine del pirla.
Amanda Seyfried soffre di paresi facciale, siamo d’accordo, ma a me piace guardarla. Con la mantellina rossa è pure meglio. Le potenzialità per un gran film c’erano tutte, ma non non vogliamo impressionarci, vogliamo amare i mostri, e esserne riamati. Perché il mondo è un bel posticino pieno di sole, cuore e amore. E la Wilkinson e la Gillette sono destinate a fallire.

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