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Carlo Freccero: «La storia della tv non ha un finale» (Il Tempo)

Creato il 03 gennaio 2014 da Nicoladki @NicolaRaiano
Carlo Freccero: «La storia della tv non ha un finale» (Il Tempo)«Quando nasce la Rai l'unità politica del Paese era cosa fatta da un secolo ma l'unità linguistica e culturale era di là da venire, ogni regione aveva usi e costumi propri, nelle famiglie si parlava il dialetto. La tv e la Rai insegnano l'italiano agli italiani, facendo condividere a tutti il patrimonio culturale delle singole regioni». Parlando della tv, Carlo Freccero, autore del libro Televisione (Bollati e Boringhieri), comincia dalla pedagogia delle origini, sessant'anni fa.
Questa fu la partenza, poi che è successo?Una serie di fatti contamineranno la tv delle origini.
Quali?Il colore comincia a corrompere la tv. Arriverà nel 1976-77 e la tv commerciale nel 1979. Una televisione commerciale senza colore è impensabile, quando nacque Canale 5 uno dei problemi fu creare un'immagine di rete alternativa all'estetica Rai. Ma ancora prima del colore l'altro elemento fu la riforma della Rai, con la nascita di Rai 2, il secondo canale. Una televisione pedagogica deve essere autorevole, imporre le sue scelte al pubblico, monopolizzare l'attenzione, anche quando il tema trattato non è divertente. Dare un'alternativa corrisponde già a rinunciare al progetto educativo. Quando nasce Rai 2 comincia a finire la Rai delle origini. Qualcuno ha definito la tv di servizio pubblico un complemento della pubblica istruzione, io sono solito specificare che questa forma di istruzione corrisponde a quella della scuola prima del 1968, col professore in cattedra e la classe in silenzio. Due reti significa già la rottura di un monopolio e si anticipa quella rivoluzione copernicana del telecomando, che farà del pubblico il vero programmatore del palinsesto.
Il pubblico come nuovo dominatore?Quando dico del pubblico è importante perché tutti i presentatori principali, ne cito tre, Mike Bongiorno, Enzo Tortora e Maurizio Costanzo, mettono in evidenza il pubblico. Mike Bongiorno è la tv nei due opposti, modello pedagogico e modello commerciale. Quando la Rai nasce Mike c'è, è popolare ma anche pedagogico perché il suo quiz Lascia o raddoppia è un monumento al nozionismo, che all'epoca è considerato pedagogico. Ma poi Mike sarà anche la tv commerciale, basta che si trasferisca da Berlusconi. Mike sarà il quiz, l'America, la intuizione per la pubblicità. Tortora, il secondo, anticipa la tv commerciale e la neotelevisione: con Portobello seleziona una massa di personaggi improbabili, incapaci, assurdi, tenuti insieme dalla loro incapacità: sono l'avanguardia di quel pubblico che poi occuperà le scene, imponendo l'uomo privo di qualità come star indiscussa della tv. Il terzo è Costanzo perché in questa chiave si muove Bontà loro, che rappresenta il capostipite di tutti i talk show italiani, in ogni puntata accanto a ospiti di successo ci sono persone comuni e la televisione si allontana dalla pedagogia.
Il telecomando è antipedagogico?Il telecomando sancisce la fine della tv pedagogica. I contenuti culturali alti possono venire imposti in mancanza di alternative, il telecomando permette allo spettatore di trovare sempre una via di fuga verso contenuti più bassi. Il telecomando introduce una fruizione di continuo dei programmi che è poi l'archeologia di Youtube ed è compatibile con l'ascolto distratto. Il telecomando promuove la moltiplicazione dei televisori in casa perché ogni spettatore ne vuole uno per sé.
Oggi siamo nell'era digitale: la tv vince o perde con i nuovi media?La tv digitale rappresenta la seconda rivoluzione copernicana, dalla tv generalista alla tv che dà una risposta ai gusti delle minoranze. Perché ciò sia economicamente conveniente, dipende da un cambiamento strutturale del mezzo. La tv generalista tende a raccogliere il massimo dell'audience in un unico passaggio, le reti tematiche realizzano audience minoritarie ma fedeli nel tempo ed è la teoria che in pubblicità viene definita come coda lunga. Perché i grandi numeri si costruiscono con una serie di passaggi successivi, nel tempo, il modo in cui anche Sky mette gli ascolti, cumulativi. E poi si genera da questo il fenomeno dei telefilm, delle serie e dei programmi di culto.
Ma la tv vince o perde?Oggi c'è la televisione oltre la televisione. La tv generalista è in crisi, nel frattempo però i contenuti tv escono dal piccolo schermo per proiettarsi sui nuovi media: un telefilm può essere fruito sul computer, sul telefono, sul lettore DVD. Siamo in un'epoca nuova, del multimediale, in cui il digitale ibrida e mescola tutti i mezzi di comunicazione. Possiamo leggere queste cose come la fine della tv tradizionale o - al contrario - come conquista da parte della tv di tutte le piattaforme comunicative esistenti. Dipende; vedo che i tweet, molte volte, sono il foro della televisione. Per questo non è detto che siamo alla fine della tv tradizionale, è una battaglia aperta ma...
Ma cosa?Bisogna chiarire un punto: non esiste più la televisione ma tante televisioni. La tv commerciale è profondamente diversa dalla tv pedagogica delle origini, egualmente le tv tematiche differiscono profondamente dalla tv generalista e la tv multipiattaforma ha caratteristiche ancora diverse. È una battaglia aperta perché la storia della tv non finisce mai. È sempre in evoluzione.
Intervista di Massimiliano Lenziper "Il Tempo"

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