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Carpe diem.

Creato il 06 luglio 2014 da Emialzosuipedali @MiriamTerruzzi

Mancano pochi chilometri al traguardo. Dietro, i corridori si sono lasciati una strada interminabile, piena di gente che li applaudiva: un cordone umano infinito, ininterrotto. Si sono mangiati senza troppo entusiasmo una tappa disegnata da una penna creativa che ci ha illuso di poter vedere una piccola Liegi, una corsa da un giorno combattuta e sudata. Invece gli scatti veri, le azioni, anche piccole, di quelle che ci fanno alzare di riflesso il volume della televisione sono state poche e forse poco convinte.
Vincenzo è sempre stato lì, al caldo, protetto dai suoi compagni che hanno tirato per molti chilometri assieme agli uomini Cannondale. Vincenzo è sempre stato lì. Anche mentre i telecronisti non perdevano di vista nemmeno per un istante il super favorito Peter Sagan. Anche mentre la gente si chiedeva dove fosse Fabian Cancellara dopo l’acuto di ieri e Chris Froome attaccava sull’ultima salita. La nona di tutte quelle brevi asperità continue che rimangono nelle gambe, che hanno sfiancato metà gruppo e centellinato i primi.

Mancano pochi chilometri e tutti controllano le gambe di Sagan: è troppo forte, è troppo veloce, aveva troppe stelline stamattina. Forse anche noi ci aspettiamo un finale scontato, detto e ridetto. Invece da quel gruppetto parte un razzo azzurro. Nessuno lo segue, tutti hanno paura della maglia bianca, controllano lui. Il Tricolore non si vede poi troppo bene ma noi lo sappiamo che è Vincenzo Nibali. Quel modo di fare il vuoto è solo suo, quell’attacco che non è solo di gambe ma anche di cuore, è il suo. Vincenzo ne ha avute di critiche per questo aggredire l’asfalto senza riserve. Dà tutto, forse perché la bicicletta gli ha sempre permesso di parlare a modo suo: con gentilezza e slancio assieme, mischiando un po’ di prudenza a tanto coraggio.
Ci sono due chilometri di rettilineo prima di quell’arrivo. Due chilometri infiniti che fanno gracchiare ad alto volume i televisori di tutto il mondo nell’aria silenziosa di questo pomeriggio di luglio. Vincenzo continua a pedalare da solo sulla strada transennata da dove sporgono mille e mille braccia. Pedala e una, forse due volte, si gira per vedere gli altri. Lo seguono, hanno capito che forse hanno perso tempo, l’hanno sottovalutato. Comincia l’inseguimento e manca ancora un chilometro e cinque. Troppo per chi sta sfuggendo da un gruppo affamato. Nella smorfia di Vincenzo che, con la testa un po’ piegata e le mani incollate al manubrio, tenta di raggiungere la linea bianca ci sono tutti i nostri respiri. Li tratteniamo insieme alle lacrime. Dopo, c’è tempo dopo per buttare fuori tutto.

L’ultimo baluardo, l’ultimo chilometro crolla inesorabilmente sotto le sue pedalate. Il fiato caldo del gruppo non gli dà pace. Non si volta più. Mancano settecento metri e non bisogna più voltarsi. Sono metri in cui bisogna crederci più di tutto il resto, forse anche più di pedalare. La testa, a volte, è un motore potente e tremendo. Sono gli ultimi istanti, in primo piano c’è la sua faccia tesa nello sforzo e più indietro, oramai troppo indietro, ci sono gli altri che tentano tutto. Riprenderlo, adesso, è impossibile. Trecento, duecento, cento. A pochi metri dalla linea bianca, Vincenzo si volta per un secondo, forse anche di meno. E’ da solo. Alza le braccia al cielo, allarga il petto e indica quel Tricolore un po’ mortificato che oggi è il più bello di sempre.
Si appoggia sul manubrio, lascia che i flash lo intontiscano, gli illuminino la faccia lucida di sudore, abbraccia i suoi compagni. E’ già tempo di togliere la maglia, è già tempo di indossare la Gialla. Tappa e maglia. Ed è solo ieri che si contavano i nostri italiani, si pensavano troppo pochi, indegni di avere la traduzione in quella lingua che ha regalato al ciclismo i suoi campioni più belli.

Sei il nostro riscatto, Vincenzo. Siamo così anche noi: disordinati ed eleganti, in crisi e con il perenne desiderio di andarcene dal gruppo, di far vedere cosa siamo capaci di fare, modesti e orgogliosi, prudenti e senza freni. Qualcuno tenta di tarparci le ali, di dimostrarci che l’entusiasmo, la passione, il coraggio non servono in questo mondo che programma e centellina tutto, persino il bene. Tu, invece, con la tua maglia gialla e i tuoi occhi lucidi su quel podio che oggi guarda tutto il mondo, dai uno schiaffo gentile a quelli che non credono nella bellezza delle emozioni vere, delle strade che chiamano, dell’istinto che morde.
Penso a quel Lombardia, quando sei scollinato da solo sul Ghisallo e tutti volevamo vederti all’arrivo a braccia alzate. Ti rinfacciarono di non essere stato assennato, di non aver calcolato la crisi, di essere partito troppo presto. Nessuno parla ora. Ora che sei lassù, ora che ai microfoni, in italiano, dici che hai approfittato di andartene mentre tutti guardavano Sagan. Hai colto l’attimo. Carpe Diem. Non saremo mai pronti per cogliere il significato vero di queste parole. Eppure Vincenzo ha saputo trovarlo, prima in mezzo al gruppo e poi da solo. Forse perché la bicicletta fa zittire tutte le altre cose del mondo, forse perché sulla strada ubbidisci alle tue leggi, nonostante la radiolina, nonostante tutto.  Forse perché il segreto sta in una cosa che abbiamo dimenticato: ascoltare noi stessi. L’istinto ci porterà su strade che non avevamo il coraggio di percorrere. E la testa, gli applausi, la vittoria ci daranno ragione. Su tutto.

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