Magazine Cinema

Chained

Creato il 03 febbraio 2013 da Misterjamesford
ChainedRegia: Jennifer Chambers LynchOrigine: USAAnno: 2012Durata: 94'
La trama (con parole mie): Bob è un serial killer che si diletta a cacciare le vittime alla guida di un taxi prima di condurle nella sua accogliente dimora e disporre di loro come crede.La sua Natura è il frutto di un'infanzia segnata dagli abusi subiti dal padre cui assistettero la madre - che non mosse un dito per difenderlo - ed il fratello minore.Un giorno Bob carica il piccolo Tim e sua madre, e dopo aver ucciso quest'ultima decide di tenere il ragazzo con lui ribattezzandolo Rabbit e facendone una sorta di schiavo personale: gli anni passano insieme alle vittime, e Bob ha ormai un rapporto con Rabbit simile a quello di un padre autoritario con il figlio che vorrebbe seguisse le sue orme.Quando i due mettono le mani sulla giovane Angie - che Bob vorrebbe essere la prima vittima di Rabbit - tutto cambia.
Chained
Essere figli d’arte, soprattutto rispetto a Maestri assoluti, geni o superstar, dev’essere davvero duro.
Certo, non si avranno mai problemi economici o porte sbattute in faccia, ma l’ingombrante figura genitoriale incomberà sempre, soprattutto quando si deciderà di cimentarsi nello stesso campo in cui proprio la stessa si è così clamorosamente distinta.
Nel corso della mia vita di spettatore e non solo, ho spesso potuto notare quanto amaro sia il ruolo dei “figli di tanto padre” – o madre, che dir si voglia -, e davvero raramente mi è parso che gli eredi potessero superare le orme lasciate da mamma o papà: ricordo John Romita Jr nell’ambito del fumetto – figlio del leggendario John Romita – e Randy Orton nel wrestling – suo padre, Cowboy Bob Orton, non ebbe un briciolo della fortuna del rampollo sul quadrato -, e dunque nebbia fitta.
Da Ziggy Marley a Jacob Dylan, partendo da Sean Lennon per arrivare a Colin Hanks e Sage Stallone, le cadute – o le carriere proseguite soltanto grazie al proprio cognome – non si contano, e perfino chi è riuscito ad arrivare a successi e riconoscimenti – Sofia Coppola, ad esempio – non regala al pubblico l’impressione che i fasti del passato potranno essere in qualche modo rinverditi.
Ma perché mai questo pippone galattico sui figli d’arte?
Perché questo Chained è firmato nientemeno che da Jennifer Lynch, figlia del mitico David, probabilmente uno dei registi che amo di più nonché tra i pochissimi in grado di mettere d’accordo perfino i due acerrimi rivali della blogosfera, ovvero il sottoscritto e il sempre poco sopportabile Cannibal Kid: ovviamente il risultato e la resa della pellicola non sono neppure paragonabili ai lavori dell’autore di Twin Peaks, malgrado la regista tenti davvero con tutte le sue forze di consegnare all’audience una pellicola che possa essere ad un tempo disturbante ed inquietante, con più di un occhio strizzato in direzione di Henry pioggia di sangue, supercult assoluto firmato da John McNaughton.
Peccato che, nonostante non si possa parlare indubbiamente di un prodotto mal riuscito e la presenza come sempre importante – in tutti i sensi – di Vincent D’Onofrio – l’indimenticabile Palla di lardo kubrickiano – il risultato non sia altro che l’ennesimo film senza un vero carattere o un’identità che possano allontanarlo dai cliché del genere, incapace di catturare davvero nonostante alcuni spunti indubbiamente interessanti e la struttura molto teatrale dell’opera – che mi ha riportato alla mente l’approccio del Friedkin di Bug, per intenderci -, risultando a tratti quasi troppo lento nel suo incedere.
Ad essere onesti, comunque, non avrei scomodato le bottigliate relegando Chained al limbo di quei titoli che passano e vanno senza colpo ferire se non fosse stato per un finale che, di fatto, vorrebbe risultare ancora più disturbante e sconvolgente per lo spettatore rispetto al resto della pellicola ma che finisce per scivolare nel ridicolo quando il giovane Tim, ormai ribattezzato Rabbit, trova il tanto sospirato confronto con il padre perduto anni prima e dopo una prigionia più simile ad una distorta versione di rapporto, per l’appunto, genitore/figlio: non so se l’idea di questa coda nella parte conclusiva sia dell’autore dello script originale o frutto di un’intuizione molto poco geniale della nostra figlia d’arte Jennifer, ma di certo lo scivolone in questo senso appare talmente evidente da far crollare anche le già non altissime quotazioni di una visione che poteva risultare quantomeno onesta ma che finisce per scaldare i colpi più selvaggi che il Saloon può dispensare.
Peccato davvero, perché per un appassionato di serial killers e morti ammazzati come il sottoscritto – ma anche Julez non scherza, in questo senso -, ogni nuova occasione di cimentarsi con il genere alimenta praticamente in automatico la speranza che, a sorpresa, ci si possa trovare di fronte a qualche piccola perla in grado di fotografare al meglio l’oscurità che alberga nella mente umana e che, in casi come quelli dei tipici assassini seriali, non riesce ad essere celata e rimanere sotto silenzio: nel caso di Chained, quello che ci siamo ritrovati di fronte è stato più un apparentemente lungo deja-vù viziato da una chiusura che avrebbe voluto essere sconvolgente e che, al contrario, risulta molto più semplicemente scivolare nel ridicolo involontario.
Una di quelle cose che ad un vero serial killer amante del controllo non sarebbe proprio andata giù, e che senza dubbio ad uno spettatore non può che far notare quanto abissale sia il divario che separa Jennifer da David Lynch.
MrFord
"Through these fields of destruction
baptisms of fire
I've witnessed your suffering
as the battles raged higher
and though they hurt me so bad
in the fear and alarm
you did not desert me
my brothers in arms."Dire Straits - "Brothers in arms" -

Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :