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“Cicatrici e altre incarnazioni” di Danilo Breschi: la poesia delle regioni confinanti fra spirito e carne

Creato il 15 maggio 2015 da Alessiamocci

“Cicatrici e altre incarnazioni” di Danilo Breschi (Edizioni Srl Bari – Febbraio 2015) è un poemetto per la complessità creativa, per lo sforzo costruttivo razionale, per la ricerca nel profondo di una quotidianità vissuta nella tensione della misura espressiva.

Cinque sono i movimenti del poemetto. Il ritmo incalzante sviluppa una tessitura linguistica e tecnico-formale circolare. Sin dai primi versi si avverte la prepotente esibizione dell’io lirico e nell’io lirico si ripiega la quinta sezione dove si ricomporre la dialettica fra lo spirito e la carne, fra il diurno e il notturno, fra la vita e la morte. Lungo il percorso le illuminazioni oniriche e il gioco delle immagini mentre sviluppano un tema producono una specie di deragliamento dei sensi come in “e guardo un cielo scoperchiato fino a Dio” de “Il seme” che richiama il baudelairiano  “Le Ciel! Couvercle noir”.

Danilo Breschi è poeta moderno sulla scia della tradizione novecentista fra sperimentalismo linguistico ed essenzialità, fra ossessione e malinconia. Della complessità novecentesca coglie la tensione al rinnovamento, la libertà di una sintassi apparentemente sottratta all’ordine logico; la parola non deve necessariamente descrivere, non deve essere immediatamente discorsiva, ma acquista la forza di simbolo concreto. Così la carica evocativa, allusiva nel movimento iniziale “I gatti randagi scompaiono all’alba”, si piega nel secondo movimento “La luce dell’estate incarna le anime” in un esaltato passaggio alba-luce: dalla ruggine delle ferite di un tempo “raffermo” (La paura dell’ombra) alla storia senza passato dell’ “eterna scena degli amori all’alba”, fino al “digrignar d’intenti” (Dimoravi nel domani). Qui l’espressività è particolarmente intensa: il senso si dilata, le tradizionali categorie spazio-temporali cedono il posto a nuove dimensioni e il tempo è un tremante e fermo istante sottratto a qualsiasi scansione cronologica.

Un tempo eterno per fissare una scena fuori dal tempo, oppure un tempo che lascia appena trasparire l’intenzione di annullare la scansione logico-cronologica: la forma dell’ubi consistam dell’imperfetto “dimoravi” incarna l’idea labile del futuro per il gioco del destino.

L’io poetico maschile diventa femminile e si nutre delle rappresentazioni del desiderio affidate alla potenza evocativa del ritmo che costruisce una struttura interiore di spiritualismo sensuale, di erotismo vitalistico (Geometria di natanti notturni): la dichiarazione di poetica si fonda sul simbolo e sulla sinestesia “siamo simbolo, siamo capro espiatorio, avvertimento che minaccia il divertimento” (La scena corale). La ragione dell’io lirico femminile e del “tu” interlocutore è una stessa ragione che spiega la dualità movimento (La gioiosa deriva) e separazione (Vita in polvere). Poi viene la vendemmia (L’amara vendemmia): l’io lirico femminile scopre il suo legame profondo con una natura che è luce di rinnovamento, non solo delle idee, dell’”io oggettivo”, ma anche dei fatti, del vissuto. L’io lirico femminile è l’estate fra sconfitte e “radici di sogno”.

Ogni gesto va rifondato. “Io cerco vita dove tutto vi congiura contro” è il verso conclusivo di “Una rabbia intravenosa per la sacra cerca”, la lirica che apre la terza sezione, centrale, della catabasi per una risalita: “Pagana è la via perché il sacro si assapora?” è la sezione in cui si addensano continui rimandi dalla vita sveglia alla vita inconscia, l’idea poetica è suggerita per suscitare certe zone del pensiero, qui Danilo Breschi esercita la sua lucida capacità di costruire un “altrove”. Il fascino, il cui potere risiede nella carne e nei sensi, viene spiritualizzato in questa sezione attraverso la consuetudine all’allegoria. La carnalità sublimata del corpo è un inno all’amore e alla donna (La prima vertebra): la trasfigurazione del corpo “da pirata in scudiero da crociata” rimanda ad una certa religiosità medievale ambiguamente pregna di sociologia dell’amore cortese.

L’evasione interiore costruisce un antimondo nell’alternarsi di lirico e prosaico, negli accostamenti inusuali (come in “cielo allattato/da un’alba che vagisce”), nell’uso della sinestesia.

Il principio di iniziazione si chiude con l’invenzione di un mondo parallelo (Marte Venere e Mercurio) garantito da un io poetico tornato maschile, demiurgo per nuove invenzioni, veggente disincantato: le certezze sono messe in dubbio con la forza sottile dell’ironia “spero stavolta non averla raccontata troppo grossa” quando “la mitraglia che spariglia me aduso alla meraviglia” e si svela l’inganno del tempo “anzitempo”.

Il senso di sospensione, l’incertezza segnalata dall’interrogativa della terza sezione si scioglie nella quarta “Interrogati i santi la mistica risponde dai corpi”: il culto dello spirito diventa adorazione della carne, la vera ascesi è nella pienezza della materia.

“Cicatrici e altre incarnazioni” diventa un diario di “spiriti di carne”, cifra del vitalismo “oltre” il ripiegamento della religione, del culto su se stesso.

“A forza di negare si afferma una purezza palpabile” è l’approdo della quinta ed ultima sezione: i sensi, la fisicità, la carne “palpabili” e reali, alimentati dalla pulsione originaria del principio generatore dell’esistenza, si purificano fino all’essenza, al “cupio dissolvi”, alla conclusiva dichiarazione di poetica in “Tutto ciò”: il poeta è il ministro del rito celebrativo della parola, è il ministro dello spirito che ammira la materia e la esalta. L’”ostinato di cuore e grato” si rivolge ancora al suo “tu” interlocutore che si trasforma in “noi”.

Il poeta continua con i suoi “brandelli di parole” a proiettare illusioni, sospeso nelle “regioni confinanti fra spirito e carne”.

Written by Irene Gianeselli


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