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Cinquanta sfumature di grigio

Creato il 14 marzo 2015 da Wsf

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La trilogia di 50 sfumature di grigio ha venduto più di 100 milioni di copie nel mondo e viene attualmente distribuita in 37 paesi, tra cui l’Italia (quando si tratta di porcherie non ci facciamo mai mancare nulla).

La storia é quella ormai arcinota di Amanda Steel, una studentessa di letteratura inglese che intervista per puro caso Mr. Christian Grey. L’incontro tra i due darà vita alla più classica delle storie Harmony con l’aggiunta concettuale della cultura BDSM.

Cosa funziona in questa pellicola? Una cosa sola, Anastasia e la sua fisicità, che supera di gran lunga le sue doti di attrice. Il suo personaggio così come tutti gli altri, sono relegati in altrettanti ruoli privi di sfumature in un insieme di ammiccamenti virginali iper costruiti che poco rientrano nella sfera dell’erotico e sfociano nel ridicolo.

Il mondo di cinquanta sfumature di grigio è troppo clinico per poter essere considerato sensuale e già dopo pochi minuti pare di assistere ad un episodio di Ugly Betty più che a una pellicola che ha la superbia di creare scandalo.

La banale storia di fondo, si disperde in una stanza dei giochi abbastanza scevra di attrezzi e in un insieme di situazioni grottesche che si mischiano ad un bondage che non sa distinguere tra un Karada e un nodo di Prusik mentre ad insaporire il tutto la fa da padrona una fotografia piatta e una regia standard che fa crollare ogni barlume di credibilità.

Il percorso narrativo altro non é che l’estremizzazione dell’impostazione trita del format televisivo, in cui una ragazza ingenua scopre la fama attraverso l’omologazione, per poi allontanarsi e ritrovare se stessa. Tale evoluzione si è già vista in pellicole come Il diavolo veste Prada o come il sopra citato Ugly Betty, privato però di quella bravura attoriale che é invece intrinseca all’interno di questi prodotti.

La mia digressione critica non colpisce solamente il film, che non é altro che una trovata commerciale per altrettanti palati commerciali, ma a tutto quel mondo femminista che s’indigna a vedere Nymphomaniac e non dice nulla quando assiste a pellicole di questo livello, in cui la donna è una cretina senza capo ne coda.

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Nel film di Von Trier infatti, viene mostrata in maniera esplicita ogni pratica sessuale e la sua relativa deviazione all’interno di una dipendenza che si ciba della solitudine di colei che la vive.

Uno spunto non approfondito questo che poteva rendere la figura di Mr. Grey maggiormente variegata. Il protagonista nel libro viene abusato in età adolescenziale da una donna molto più grande, che lo sottopone a sedute non di BDSM, ma di tortura vera e propria. L’uomo però non potendo per ragioni di copione diventare un serial killer si trasforma in un dominatore non sadico. In questo caso la sfumatura è importante perché nella parafilia sadica il soggetto prova piacere nell’infliggere dolore fisico o mutilazioni, qui invece il dominus si pone in una posizione di superiorità nei confronti dello schiavo. Altro punto non a favore del film é la non spiegazione del concetto di dominio, che é nelle mani chi subisce non in chi provoca la punizione. In questo film la donna viene sottomessa con la forza e non sapendo poi bene cosa fare, finisce con il prenderci gusto. Insomma tutto é sbagliato già sotto il profilo concettuale di base.

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La seconda pellicola, distrutta dalla critica, ma che sarebbe bene riscoprire è Baise Moi (Scopami) delle francesi Virginie Despentes e Coralie Trinh Tie. La storia altro non è che la rivolta assoluta della donna nei confronti del “sesso forte” in una rivisitazione del film “Telma e Louise”, che narra in una chiave devastante e devastata la fuga di due donne allo sbando. Due entità antitetice eppure simili che riscoprono la loro libertà attraverso il dominio sessuale e fisico sulla figura maschile; qui rappresentata come emblema massimo del brutalismo.

I motivi per cui la critica ha distrutto questi film sono tra i più diversi, ma il loro focus d’indagine, più o meno riuscito, si situa nel combattere l’ancora oggi troppo spesso malsana idea di limitare il percorso sperimentativo e sessuale della donna, non ponendola in una situazione di parità ma in uno stato di reciproco perpetuo vittimismo.

In breve 50 sfumature è uno dei film più brutti dell’anno. Il successo al botteghino non è colpa dei produttori, che meritano un dieci e lode, ma di chi lo va a vedere e si eccita guardando una storia in cui si scopa senza fare rumore, si ammicca di continuo ed alla fine ci si annoia mortalmente.

Christian Humouda


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