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Come distruggere l’Appennino:autostrade e gasdotti a go-go!

Creato il 21 gennaio 2011 da Andreaant54

Appennino-Sibillini

l'Appennino: ultima vera riserva di biodiversità e paesaggio

La fortuna dell’Appennino, dal punto di vista dell’ambiente naturale è stata paradossalmente quella di essere un’area marginale. Fuori dai grandi circuiti turistici ed economici non ha mai attirato i grandi investimenti speculativi ed immobiliari; le grandi aree economiche ed urbanizzate sono cresciute nel tempo sempre ai suoi margini, nelle più facili ed accessibili colline e pianure vallive o costiere. La struttura allungata della dorsale ha scoraggiato la realizzazione delle  grandi infrastrutture che tuttalpiù  si sono limitate ad attraversarlo perpendicolarmente. Il danno più cospicuo è stato infatti quello della galleria del Gran Sasso che ha distrutto gran parte delle risorse idriche sotterranee del massiccio più elevato dell’Abruzzo. Mentre le coste e buona parte delle Alpi venivano aggredite dalla speculazione e lì si operava la sistematica distruzione del territorio, nell’Appennino dimenticato e lontano vaste zone rurali e pastorali vedevano la ripresa della natura, l’infittirsi dei boschi, il ricostituirsi degli ecosistemi e delle reti ecologiche che altrove andavano invece dissolvendosi.

Essere un’area in gran parte marginale si sta rivelando ora, purtroppo, la nuova sfortuna dell’Appennino. L’Appennino, osso d’Italia, si è svuotato nei decenni passati di gran parte dei suoi antichi abitanti, scivolati in massa verso le coste industrializzate ed urbanizzate. Così oggi, i famelici appetiti dei nuovi e vecchi predatori del bene comune, artefici della sistematica privatizzazione delle risorse ambientali comuni, per proprio esclusivo arricchimento a discapito della pauperizzazione del territorio, si sono improvvisamente accorti che quel territorio, proprio per la sua integrità, è oggi preziosissimo. Fino a ieri le terre dell’Appennino sembravano  marginali e prive d’interesse, ma nel momento in cui le aree  più ricche si stanno rivelando fragili e oberate da costi ambientali insostenibili, quelle per contrasto sono diventate grandemente appetibili per l’onnivora speculazione. Aree ancora in gran parte vergini da stuprare economicamente e depredare come un tempo i paesi ricchi facevano (o fanno) con le colonie. Lo spirito del colonizzatore è sempre vivo e rinnovato nei capitalisti d’assalto. E spesso, amaramente, con la collaborazione di molti amministratori locali.

Così oggi l’Appennino è diventato la nuova terra di conquista. Saturate le coste e le pianure, via alla distruzione della montagna più verde d’Italia con invasivi gasdotti ed autostrade. Quest’ultime  vera lebbra del territorio. Per il gasdotto che la SNAM costruirà dalla Puglia fino a Bologna per drenare il gas Algerino, i progettisti hanno con faccia di bronzo dichiarato che l’originario percorso costiero  si è rivelato tecnicamente impossibile da realizzare;  quindi inevitabilmente le condotte areranno tutta la dorsale appenninica. La realtà a mio avviso è più semplice. I metanodotti inducono servitù lungo il loro percorso e questo da fastidio a chi ha già avviato cospicui progetti di edificazione selvaggia nelle residue terre costiere che si dovevano attraversare. Li la rendita immobiliare speculativa è  elevatissima. Nell’Appennino, invece, poco abitato si possono sottrarre le terre ai loro proprietari per quattro soldi. Anzi spesso questi son ben contenti di disfarsene, pensando di aver fatto comunque un buon affare.

Duole il cuore nel vedere che il più grande e democratico esperimento di valorizzazione vera del territorio naturale, nato dal basso con la creazione di importanti e numerose aree protette, parchi e riserve, che hanno dato a queste terre le uniche vere possibilità di uno sviluppo economico e sociale capace di affrancarle da secoli di arretratezza sociale e culturale, verrà spazzato via dalla deplorevole avidità di politici ed amministratori, molti dei quali, peraltro, che già hanno dato ampia dimostrazione, nelle precedenti loro attività economiche, di essere inefficienti ed incapaci, solamente attratti dall’arricchimento personale a qualsiasi costo e per niente interessati alle sorti economiche e al tessuto umano e sociale delle zone che i loro progetti stravolgeranno.

La nuova autostrada Mestre – Civitavecchia che trancerà gran parte delle valli dell’Appennino centrale, tralasciando per un momento i danni ambientali che produrrà, servirà solo ad aggravare i già pesanti deficit della nostra economia completamente dipendente dal costosissimo trasporto su gomma. Viene da sorridere amaramente se si pensa alla  paradossale vicenda del contratto Fiat, con la quale si è  cercato  di nascondere i veri mali che minano alla radice l’industria italiana. Se, infatti, la poca industria  di medie grandi dimensioni di questo paese, non regge alla pressione del mercato mondiale, non è per le rivendicazioni sindacali dei pochi operai che ormai tale industria impiega, ma massimamente per le inefficienze del sistema, l’incapacità dei manager, l’avidità capitalistica di chi ha preferito lucrare per decenni speculando finanziariamente invece di investire risorse in una vera e radicale modernizzazione del paese, che ne valorizzasse le vere potenzialità. Tra le più importanti delle quali c’è l’ambiente, il paesaggio, la cultura. Ma anche sistemi di trasporto e mobilità a basso impatto ambientale, energeticamente efficienti come non lo sono sicuramente le obsolete reti autostradali italiane.

Le ricche terre agricole italiane che secoli di lavoro contadino avevano trasformato nel giardino d’Europa ormai sono un ricordo. Oltre il 20% di ogni regione è stato massacrato dalla speculazione edilizia di quest’ultimo decennio. Adesso tocca all’Appennino, ultima grande riserva di biodiversità e valore ambientale della nostra penisola. Ultimo grande paesaggio della nostra fragile identità italiana.


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