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“Confessioni di un Italiano” di Ippolito Nievo

Creato il 04 maggio 2010 da Viadellebelledonne

 

  

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Scritto tra il dicembre 1857 e il 16 agosto 1858, il romanzo fu pubblicato postumo da Erminia Fuà Fusinato, nel 1867, con il titolo Le Confessioni di un Ottuagenario (per timore di censura). È l’autobiografia immaginaria dell’ottuagenario Carlino Altoviti, nato «veneziano» il 18 ottobre 1775, le cui vicende personali si annodano con gli eventi politici di circa ottant’anni, dal tramonto della Repubblica di Venezia alle cospirazioni e alle battaglie del Risorgimento, fino al 1858, quando il “vecchio” Carlino spera di morire «per grazia di Dio Italiano». Con straordinaria originalità, i moduli del “romanzo storico” si rovesciano sul piano della contemporaneità e si confondono con le strutture del “romanzo di formazione” europeo: ne sono esempio di grande suggestione i capitoli che, tra nostalgia e ironico distacco, rievocano l’infanzia e l’adolescenza di Carlino nel castello friulano di Fratta. La lunga storia del protagonista si intreccia con quella della cugina Pisana, figura femminile modernissima per complessità e spregiudicatezza, così come modernamente tormentato e ambiguo è il loro legame sentimentale. Il romanzo è dominato da un ritmo impetuoso, sospinto dall’ansia di inseguire esperienze molteplici, private e psicologiche, civili e politiche. Altrettanto rapida e disomogenea la scrittura, lontana dal fiorentinismo “regolare” di Manzoni, appoggiata su registri dialettali lombardi e veneti, ovvero sugli esiti più espressivi del toscano.

I. Nievo, Confessioni di un Italiano, a cura di P. Ruffilli, Milano, Garzanti, 1984 [testo Romagnoli, Milano-Napoli, 1952]. 

Ippolito Nievo nacque a Padova il 30 novembre 1831.
Trascorse l’infanzia ad Udine, dove la sua famiglia si trasferì nel 1837, e, nei periodi di vacanza, nel vicino Castello di Colloredo di Montalbano, un luogo che rimarrà a lungo nell’immaginario del Nievo scrittore.
Dal ’44 fu a Verona per compiere gli studi ginnasiali e qui avvenne la sua scoperta dei grandi autori romantici, quali Byron, Foscolo, Manzoni, e dei grandi successi letterari , come Balzac, Sand e Rousseau.
Dal 1849, anno in cui si trasferì prima a Crema e poi a Pisa per completare gli studi, venne a contatto con l’ideologia mazziniana, grazie alla quale seppe fondere le diverse suggestioni romantiche e democratiche che in quegli anni lo avevano influenzato. Nel 1851 si iscrisse ai corsi di giurisprudenza dell’Università di Pavia, corsi che completò nel ’55 a Padova.
Nel contempo erano già apparse le sue prime opere letterarie (il saggio Studi sulla poesia popolare massimamente in Italia è del 1854, così come la rappresentazione del suo dramma Gli ultimi anni di G. Galilei) ed il Nievo, appena laureato, decise di dedicarsi totalmente alla letteratura ed al giornalismo, andando contro la volontà del padre che lo voleva notaio. Fu così che iniziarono le collaborazioni con giornali di provincia (La Lucciola di Mantova; L’Annotatore friulano di Udine), sui quali pubblicò delle novelle ispirate alla vita di campagna, della quale iniziò a difendere le usanze, le tradizioni ed i costumi nei confronti delle accuse borghesi di rozzezza e di ignoranza.
Il leit motiv del mondo contadino subì diversi cambiamenti all’interno della maturazione teorica e poetica del Nievo: dalla trasfigurazione idilliaca del Friuli agreste nel Conte pecoraio (1857), alla pungente descrizione delle reali condizioni delle plebi contadine ne Le confessioni d’un italiano, il suo maggior romanzo, scritto tra il 1857 e il ’58. Riguardo alla questione contadina lo scrittore si pose sempre al di fuori delle logiche paternalistiche (di derivazione manzoniana) tipicamente borghesi e mise invece l’accento sulle cause storico-politiche (l’oppressione straniera, l’assolutismo oligarchico, la dominazione ideologica della Chiesa) e sulle questioni economico-sociali.
Del 1858 sono la pubblicazione della raccolta di poesie Le lucciole ed il trasferimento a Milano. Nel 1859, a Torino, si arruolò tra i cacciatori a cavallo di Garibaldi, coi quali combatté a Varese e a San Fermo ed in seguito fu tra le fila di Bixio a Padonello. Dopo la pace di Villafranca scrisse l’opuscolo Venezia e la libertà d’Italia e si stabilì nella casa di Fossato, non più in terra austriaca. L’anno seguente fece parte dei Mille che sbarcarono a Marsala, dove si guadagnò il titolo di preposto all’Intendenza da parte Garibaldi, e dove diede alle stampe gli Amori garibaldini. Nel 1861, dopo aver ottenuto una licenza (che passò a Milano con la madre), si recò in Sicilia.
Morì durante la traversata di ritorno, in seguito al naufragio del postale sul quale viaggiava.

(Nonsolobiografie)

 

Un uomo vissuto troppo poco, si potrebbe dire. Scomparso ad appena trent’anni, Ippolito Nievo è stata un meteora nel quadro complesso della storia risorgimentale italiana. Pur tuttavia il suo passaggio luminoso è bastato a fare di lui un simbolo, un mito, l’archetipo romantico del poeta soldato, idealista e senza macchia, una sorta di cavaliere leggendario- e allo stesso tempo un uomo di grande fascino, brillante e impetuoso- fermato in un attimo d’eterna giovinezza. Ma dietro all’archetipo disegnato dall’immaginario collettivo – enfatizzato dalla biografia di Dino Mantovani Il poeta soldato – Nievo nasconde una natura complessa che si esprime soprattutto attraverso la modernità sorprendente degli scritti. In questa direzione si sta muovendo la critica più recente- anche secondo gli atti del Convegno nazionale “Ippolito Nievo e il Mantovano”, Rodigo 1999 – che vuole restituire a Nievo la sua interezza di scrittore morale, così immenso nel contesto sociale e storico del suo tempo da legare le vicende personali a quelle della nazione

Il poeta soldato tuttavia non fu solo questo, era un osservatore acuto e obbiettivo della realtà che lo circondava, a cui si mescolavano passione e arguzia, fantasia e autoanalisi.
Ripercorrere la vita di Ippolito Nievo significa avvicinarsi a luoghi e date che ne punteggiano l’esistenza, indizi che permettono la ricostruzione del suo percorso umano fino all’essenza più segreta di uomo solo “che odiava la folla e amava la gente”, come dice il pronipote Stanislao Nievo in un capitolo de Il prato in fondo al mare. L’ipersensibilità e lo spirito pungente del giovane ombroso dal carattere mutevole, la generosa passione patriota e i nervi saldi del soldato, la rabbia fredda del garibaldino osteggiato dall’inerzia mentale dei propri connazionali e dalla tiepida diplomazia dei governanti e ancora la matematica disciplina dell’Intendente di Finanza della Sicilia e la tenerezza esitante dell’innamorato, questo confuso cumulo di ruoli e di atteggiamenti in continua evoluzione costituisce la personalità inquieta dell’autore de Le confessioni d’un italiano.
Ippolito nasce nel 1831 a Padova dove il padre, discendente da un ramo di un antico casato vicentino, è uditore presso il Tribunale della città

La mamma Adele Marin, figlia del patrizio veneziano Carlo, vuole ricordare in Ippolito la sua mamma, contessa Ippolita di Colloredo che ha portato in dote una parte del castello di Colloredo di Montalbano.
Pur se padovano di nascita, Nievo divide il suo amore tra diversi luoghi che finirà per considerare ugualmente casa, in momenti diversi della vita, ma il posto più caro, quello radicato profondamente nel suo core è il Friuli. E’ lì che ama passeggiare, andando in visita ai vari parenti materni o solo per il gusto di “…fare quattro passi dentro mamma Natura”, come diceva lui anche nell’ultimo periodo della sua vita in Sicilia.
È un gusto e un’attenzione che ritroviamo, più di un secolo dopo, nel pronipote Stanislao, scrittore anche lui. Mentre il legame con Venezia deriva dall’amato nonno materno Carlo che, in qualità di patrizio votante – solo da pochi mesi- nel Maggior Consiglio della Repubblica, aveva assistito alla caduta di San Marco per il tradimento di Napoleone.

(Fondazione Ippolito e Stanislao Nievo)



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