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Confini: Il dove della poesia italiana. Jolanda Insana

Creato il 01 luglio 2014 da Wsf

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Poesie tratte “Jolanda Insana – Tutte le poesie (1977-2006)”

Camoliato madapolàm

1
la vita e la morte allato vano
transeunti per lo stesso porticato
comincia dolcechiaro finisce amaroscuro

2
non toccare la berretta al tignoso
non tutto è fatto per parere
bello
se sputi all’aria
è meglio che tu cammini
con l’ombrello

3
fuggire è vergogna
ma anche salvamento
vita con vita non si mangia
guai al minchione che non ha
potere
potendo il poco basta
carne cotta e cruda
l’assai soverchia
e troppe grazie a santantònio

4
quanto fiato perde
chi andando per la vita
chiama la morte e dice
accuccia-accuccia

5
i piedi reggono esattamente
quanto ioho
lèvati
non mi fare il solletico

6
ma chi comanda qua
mannàggia
non sono padrona
di niente
maco gli occhi per piangere

7
com’è camoliato
il madapolàm della vita
lo sa la falsabrigante
e nulla può naftalina

8
vita bella e affatturata
non avea catene al collo
né debito di coscienza
dopo la sua porcapedata
non sa più spendersi
con chi le pare e piace

9
meschina vita
si difende a mozziconi
chi muore riempie la sua fossa

per quanta vita sali
tanta ne discendi

***

Lo strangolalingua

1
tiene altro per la testa
il lazzarone cuorecontento
che addiventa cicillo e fa ciuciù
con fragaglie e lattughiglie

che aggriccio e brivido cercare la strada
fuori del vocabolo-circondario

2
straccalingua e grattachecca
papariandosi in rintinni e squasiamenti
si strapazza tra lume e lustro
per ingrassare il dizionario
ma quella lo tiene per pezza di piedi

3
non è uno scorticatore sbagasciante
il tartaglia smorfioso
che si fa mastro contraffatto in parlatura mozzicata
suqarciando la lingua-mappina
da grammatici e sacrestani issata in cima

4
sto a quello che mi dici
per carità mi fingo sputafonemi
tenagliando trestizia a tira -e-molla

5
capotico e squinternato
fatto di carne e pieno di sensuabilità
si levò il cappello davanti alla stomacosa

da riccosfondato finì liscio-e-sbriscio
e tirò il fiato

6
travaglioso trappoliere
al suono di triccheballacco
che stracchimpàcchio stizza e tosse
inguacchia fogli afflitti e fa lo strangolalingua
ma la squacquaracchiata rifiata
e lui se ne parte per stracchezza

***

Le svogliate voglie

esposta a stagionali crolli
gridore imperialesco m’intabacca il cervello
e con disperaggine smortiosa percorro
i lunghi viottoli di questo male vero
che fa mattanza di maschere biancospinate
e schernisce i dolci scherzi

col piede fermo sugli infossamenti
m’incitrullo e languo dentro svogliate voglie
e soprattutto non ho nulla da dire
e indietro non torno

e pieno di voglia il viso
qui non venne
e prese commiato

linguettando confusamente me ne sto accanto alla stufa
e tremo al verso aperto sulla contropiega della vita
studiatora di trappole linguarde senza pomposa sportula
spuntate sono le armi e non la spunta l’imbriacaggine
sugli strumosi trimetri del racconto impiccatorio
ma da te non imparo come il bambino che non crede
e non si fida del gioco

più che creatura
mi venne incontro donna di misericordia
frappona e tritaverso
che di furia s’infratta e s’impoesia
contando miracoli flagellatori sopra l’altrui pelle
e non è purtroppo un sogno

braccata dentro le mie stesse mura
farsi vela di nessuna bandiera
e non piegarsi a chi divide le noci vuote dalle piene
e non le sa schiacciare
il mio cuore infardato di gramuffa
che nessun fottiverso raschia e sgraffia
con il suo litterume
soprattutto perché nella scena finale
gorgheggia davanti al patibolo
come nell’opera
sotto gli occhi del boia

c’era una tréccola trangugiaismi
che trescolando e trincando in apparenze reinesche
voleva stritolare senari e doppi alessandrini

le mancava un forte ventricchio
e se ne andò di visibilium in visibilio
gli occhi ingannando e l’arte
con trafocarìe e novelluzze
senza lasciare profumo nemmeno di zibetto

per essere perfettamente spregevole aveva un pregio di troppo

***

Non c’è tempo

troppo cauta cerco il varco nella strettoia del momento
e sembra che tutto avvenga lentamente perchè di scatto
mi levo
e metto mano al fuoco volendo risentire la storia
delle due pietre e della scintilla che apre la pupilla
al seduttore di fantasmi canforati e lo rianima
e lo seduce alla vita

a calda forza precipita la ripida assenza
e poichè mi costringo a riceverla come dono
ho deciso di mettermi a tavola prima del suo ritorno
e scontando al meglio la mia parte
racconto dell’inferno come un angelo per riconquistarmi
la quotidiana porzioni di sete

l’anima corporale si fa azzurra
per andare incontro a un’altra azzurra
assaporando l’aria dove l’ombra è scancellata
e il desiderio ricucito per tentazione solare
così con le molte dissimiglianze visibili fanno modo
alla stretta rassomiglianza e l’eroe che incalzò
e mise alle strette il nemico
incespica sulle pietre del ritorno
incalzato dal fantasma che aveva disossato

esce dal banchetto di tutti i sensi con la mente limpida
e non può maledire o non può più
perchè ha veduto che di passione si muore o si rinasce

Ho le radici proprio qui beate nell’abisso di passione
e sono disgiunte e separate
e il pesco non saprà mai il sapore della pesca
né io posso chiamare beata l’anima che non sa il nome
atterrita da troppo fuoco
ed è acerbamente risaputo che è festa di spegnimento
senza botto
per i luoghi disastrati della terra

non rompe le nevi non sprezza le piogge né il vento
e s’avventa occhi e cuore in fiamma sul corpo
robusto disprezzatore di maneggi
e non arresta il corso
seguace di falsa apparenza sperde quello che ha
e fluisce lasciando traccia di fiato
male avvaertito a procacciare né mai a godere

dianzi non ero così sbiancata e parlavo e ho mancato
quando che la zagaglia mi ha mancato
molti luoghi attraversando e in nessuno restando
e però il massimo dei lussi me lo sono goduto
disponendo tutto il mio tempo nello sforzo massimo
di stare dentro il tempo

di questa lotteria non ho manco un biglietto
e giocata dalla tentazione arriverò in tempo per l’estrazione
godimento di tutti i piaceri senza confusione
abbrancare l’inabbrancabile
e corro e predo fino alla fattoria del profeta

***

Medicina Carnale

decisa a partire senza libro
medicina carnale
della mente e del corpo bellissima mai
mai a nessuno donata
la prenotazione era cancellata e ricciuto
capitano occhiverdi imbarcava acqua insana
mentre Citera mandava lampi

non era il caso
di nuotare nel tormentamento per devoti

non siamo osservanti in nulla stando sulla porta
della moschea nella città murata
e qui c’è l’agrume desto in frutti e zagara
nato in terreno grasso da caldo vento ventilato

in che senso la doppia immagine fotografata
nello specchio sopra la fontanella per i piedi?

l’acqua ha profumo di limone e ne usiamo la bellezza
pure sapendo che le promesse finiscono in pioggia

e ci fermiamo sotto linde finestre
davanti a portoncini ad ante cordate
e non fu necessario riprendere i fili
avendo capito che perisce ogni cosa creata
pure davanti alla trireme cicladica
incisa sulla roccia di Lindos

l’assenza è devotamente donata in bocca al lupo

e scendemmo al porticciolo di san Paolo
chiostrato dalla muraglia marina
e si fece da sé e da sé si diede nuovo nome
la schiena contornata d’azzurro
e vidi che bisognava pensare dentro e in proprio
impugnando la torcia

Bello avere un mantello di cielo
andando con i piedi a terra

mai viste olive concave con l’osso piegato
e la pelle piagata
cremìdi è la parola dell’estate
la cipolla e l’insalata
e ripresi il flauto e la spada e rimasi esitante
di fronte al pane appaiato sulla tovaglia

passando poi per la via dei cavalieri
odòs ippodòn
tornai all’agorà di tutti i giorni

così per la prima volta fotografai mulini a vento


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