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Contratto d’affitto a canone concordato sotto i riflettori

Da Pukos
Contratto d’affitto a canone concordato sotto i riflettori

Nell’ultimo periodo, forse per cercare di fare ripartire il settore immobiliare ed in particolare quello dell’edilizia abitativa, la “formula” del contratto di locazione a canone concordato sembra sia al centro degli interessi del Legislatore in materia fiscale.

La prima disposizione normativa volta ad incentivare l’adozione della citata tipologia contrattuale è quella di cui al D.L. n. 102/2013, con il quale il Legislatore ha previsto, per l’anno 2013 e per i contratti concordati in regime di cedolare secca, di cui all’articolo 3, comma 2 del D.Lgs. n. 23/2011, un’aliquota pari al 15%, in luogo di quella ordinaria stabilita nella misura del 21%.

L’incentivazione è proseguita anche nell’anno 2014 con l’introduzione dell’articolo 9 del D.L. n. 47/2014, con il quale il Legislatore nazionale ha ulteriormente ridotto l’aliquota impositiva per il quadriennio 2014-2017, fissando la stessa nella misura del 10%.

Il prossimo intervento normativo, che dovrebbe interessare i canoni di locazione a canone concordato, il Legislatore potrebbe riservarlo con il c.d. “Decreto Sblocca Italia”, di cui si parla in questi giorni. In particolare, secondo le prime indiscrezioni, potrebbe essere prevista una misura agevolativa a favore di quei soggetti che acquistano immobili abitativi e poi concedono gli stessi in locazione con il sistema del “canone concordato”. Da un punto di vista operativo, la norma agevolativa di cui si parla dovrebbe prevedere a favore di chi acquista una o due unità abitative la deducibilità della spesa sostenuta per l’acquisto nella misura del 20% del costo dell’immobile, da ripartire in otto rate annuali. La condizione propedeutica sembra sia in ogni caso rappresentata da una successiva locazione a canone concordato, a dimostrazione, ancora una volta dell’interesse legislativo per tale tipologia contrattuale.

Il continuo interesse legislativo nei confronti dei contratti di locazione a canone concordato né “impone” di ricordare quindi i tratti salienti. Tale forma contrattuale è regolamentata dall’articolo 2, comma 3 della L. n. 431/1998, secondo cui, in alternativa al più conosciuto contratto di locazione libero, di cui al precedente comma 1 dello stesso articolo 3, “le parti possono stipulare contratti di locazione, definendo il valore del canone, la durata del contratto (…) ed altre condizioni contrattuali sulla base di quanto stabilito in appositi accordi definiti in sede locale fra le organizzazioni della proprietà edilizia e le organizzazioni dei conduttori maggiormente rappresentative”.

Da un punto di vista pratico, gli aspetti generali del contratto in commento vengono stabiliti dapprima a livello nazionale e poi attraverso un accordo di recepimento a livello locale. Tali accordi fissano i criteri oggettivi utili principalmente per la determinazione del canone di locazione. In particolare, a tal fine il territorio comunale viene suddiviso in zone urbane omogenee, cioè delle aree aventi caratteristiche simili per valori di mercato, dotazioni infrastrutturali (trasporti pubblici, verde pubblico, servizi scolastici e sanitari), tipologie edilizie (categorie e classi). Per ogni area, gli accordi territoriali prevedono un valore minimo e un valore massimo del canone, considerando la categoria catastale, lo stato manutentivo dell’immobile, eventuale/i pertinenze/i, presenza di spazi comuni, dotazioni di servizi tecnici, presenza di mobilio.

A livello nazionale, l’accordo di riferimento è rappresentato dal Decreto interministeriale 30 dicembre 2002, pubblicato nel S.O. n. 59 della Gazzetta Ufficiale 11 aprile 2003, n. 85 ed entrato in vigore il 26 aprile 2003. Mentre per quanto concerne gli accordi locali, che in modo dettagliato e preciso stabiliscono i parametri oggettivi di cui sopra, è necessario “monitorarne” l’esistenza caso per caso, consultando le segreterie dei Comuni o i rispettivi portali di informazione al cittadino. Ciascun Comune ha quindi una propria autonomia e, seppur nei limiti fissati dalla Convenzione nazionale, la tipologia di contratti a canone concordato può presentarsi alquanto variegata .

Naturalmente può accadere che le organizzazioni della proprietà edilizia e quella dei conduttori non siano state convocate o se convocate non abbiano raggiunto l’accordo, in tale caso le soluzioni sono dettate dal Decreto 14 luglio 2004, pubblicato in G.U. il 12 dicembre 2004 n. 266, il quale stabilisce che:

  • nel caso in cui le organizzazioni non siano state convocate, vanno applicate le fasce di oscillazione dei canoni risultanti dagli accordi previgenti già sottoscritti, opportunamente aggiornati dalle variazioni ISTAT;
  • nei Comuni dove non sono mai stati raggiunti accordi di questo tipo, si applica l’accordo in vigore nel Comune demograficamente omogeneo di minore distanza territoriale, anche situato in altra regione.

Anche per tale tipologia contrattuale, al pari dei contratti liberi, il Legislatore ha stabilito una durata minima, che in questo caso, secondo quanto stabilito dal comma 5 dell’articolo 2, L. n. 431/98, è pari a 3 anni, alla cui scadenza, nel caso di inerzia della parti, è prorogata di altri 2 anni alle medesime condizioni (3+2).

Le altre peculiarità del contratto di locazione a canone concordato sono prettamente di carattere fiscale. In particolare, secondo quanto stabilito dal comma 1 dell’articolo 8 L. n. 431/98, nel caso di tassazione ordinaria, il reddito imponibile derivante al proprietario è ridotto del 30% per gli immobili ubicati nei Comuni ad alta densità abitativa, di cui alla L. n. 61/89 (Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Venezia, i comuni confinanti con gli stessi e i Comuni capoluoghi di Provincia). Inoltre, sempre secondo quanto stabilito dalla citata disposizione normativa, la base imponibile ai fini del calcolo dell’imposta di registro è pari al 70%, ricordando che il versamento per la prima annualità non può essere inferiore ad € 67.

Fonte: ecnews


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