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“Credimi quando ti dico che tu sei bellissimo” & “L’amore è una forza che scioglie la pelle…” (2/2). Racconti di Dianella Bardelli

Creato il 16 ottobre 2011 da Fabry2010

Pubblicato da francesco sasso su ottobre 16, 2011

“Credimi quando ti dico che tu sei bellissimo” & “L’amore è una forza che scioglie la pelle…” (2/2). Racconti di Dianella Bardelli

di Dianella Bardelli
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Credimi quando ti dico che tu sei bellissimo

Bill per Lenore era Krishna o se volete Shiva; era la divinità tutta al maschile davanti alla divinità tutta femminile, Radha o se volete Shakti.
Ma se vogliamo paragonare Bill ad un archetipo più umano, più vicino anche fisicamente a come lui realmente era, dovremmo parlare del mito dell’uomo selvaggio. Lui non era un hippy nel senso comune del termine, non era tutto fiori e balli, no, lui era il prototipo del selvatico, ma nel senso buono, non buono…, nel senso interessante; di lui, quelli che ne parlano ancora, dicono che fosse proprio macho, totalmente soggiogato alla propria libidine, ai propri desideri, non c’era nulla di riflessivo in lui, nulla di ciò che noi comunemente definiamo razionale.
Lui della razionalità non aveva bisogno, anzi la disprezzava, la definiva una qualità degli uomini deboli e paurosi. Bill invece seguiva solo il suo istinto. Era come una belva che viva libera, fuori dalla gabbia in cui il potere ha rinchiuso la maggioranza degli uomini, intesi come maschi, gabbie sia mentali che fisiche. Avete presente la favola dei fratelli Grimm intitolata L’Uomo di Ferro? Si sentiva un po’ così Bill, invincibile e molto, molto maschio. Con un’assoluta fiducia in se stesso, come l’Uomo selvatico dai lunghi capelli della fiaba, privo di quello che tutti normalmente hanno, la paura. Bill non aveva paura, nel senso che non la conosceva, non la sentiva, non sapeva cosa fosse. Era muscoli, era andare, era fare, era risolvere, ma senza mai riflettere. La riflessione era una cosa da deboli, da uomini senza muscoli, senza gambe e braccia forti, era una cosa da uomini prudenti, eleganti, lui non era mai, dico mai, diplomatico, diceva, faceva quello che pensava e sentiva e lo faceva adesso. Non aveva bisogno che il guru Ken Kesey gli parlasse della cosa e dell’adesso,e della visione, lui era la cosa, lui era la visione, lui le visioni le realizzava ancor prima di vederle pienamente e chiaramente, gli si chiarivano mentre le realizzava, mentre faceva “la sua sacra cosa”, perché lui era così totalmente animale e così totalmente divino da non avere bisogno del pensiero per non commettere errori. Qualunque emozione provasse la sentiva intensamente, in un solo immenso lampo di sensazione, e vi reagiva subito, senza domandarsi se quella immediata risposta fosse giusta o sbagliata, perché lui viveva nella convinzione molto diffusa allora a San Francisco dove tutto stava succedendo, che non esiste né il bene né il male, né il giusto o lo sbagliato; esiste solo l’adesso e noi esseri umani siamo qui per realizzarlo. Il nostro scopo, la nostra missione è questa. In Bill l’atteggiarsi a uomo di ferro era sia un atteggiamento che un fatto autentico; infatti a modo suo lui era una persona semplice, ovvero conosceva poche cose, non ne voleva conoscere altre, però quelle che conosceva “le faceva bene”. Già i Diggers erano stati per lui un luogo protetto, un gruppo a cui offrire i suoi servigi, con gli Angeli questo avvenne ancor di più e meglio.
Bill l’uomo della fiaba hippy o della fiaba Hell’s Angels o meglio ancora della cosa hippy o della cosa Hell’s Angels, come si diceva allora (si diceva faccio la mia cosa, lui fa la sua cosa) lo era davvero. Era l’uomo della cosa Lenore-Bill e Lenore era la donna della cosa Bill-Lenore.
Fare la propria cosa significava essere totalmente se stessi in quello che si faceva, essere totalmente adesso; Bill era totalmente e sempre nello spazio-tempo di adesso, ed era nell’adesso che lui era in grado di esprimere se stesso. Era rissoso, ad esempio, ed attacca briga, non lasciava mai perdere e si arrabbiava abbastanza, nei bar che frequentava, ai concerti a cui andava. Questo anche prima di entrare nel club degli Angeli. Gli Angeli rappresentarono per lui il posto giusto in cui le sue qualità poteva esprimersi al meglio.
Ma quella degli Angeli non fu la sua prima scelta di vita, in quegli anni di rotture e rivoluzioni personali. Prima c’era stato l’incontro con i Digger, lo stesso gruppo in cui bazzicava anche Lenore, ma prima di quella sera di Gennaio del 1966 alla cooperativa degli scrittori non si erano mai né sfiorati né “annusati”. Si erano visti, ma nulla più, nessun interesse reciproco prima di quella magnifica sera d’inverno del ’66.
Nell’amore per Lenore Bill si calmava, si arrendeva, capitolava. Lenore era la sua dea e lui si inchinava sempre davanti alla sua bellezza, al suo splendore. E al suo immenso potere su di lui. Il potere femminile, il potere della dea apparentemente impassibile anche nell’atto di fare l’amore, così come si vede nei dipinti indiani di epoca antica in cui vengono rappresentati Radha e Kishna nell’atto di penetrare e di essere penetrata.
Durante quell’atto i loro occhi allungati e languidi si fissano in estatica contemplazione; le braccia della dea sono aperte ai lati del busto in un atteggiamento di resa e di abbandono, le gambe sono alzate e appoggiate lungo il corpo i cui piedi si incrociano dietro il suo capo. Krisha è seduto e il suo membro la penetra senza sforzo, dolcemente, e sempre l’uno fissa gli occhi in quelli dell’altro, come se fossero loro, gli occhi, l’organo sessuale più importante e attivo in quel momento magico e divino. Subito dopo un amplesso simile con Bill Lenore scriverà: io sono qui e ti guardo fuori dalla visione dei miei occhi/e dentro la visione dei tuoi occhi e ti vedo e tu sei/un animale/e io ti vedo e tu sei divino e ti vedo e tu sei/un divino animale/e tu sei bellissimo.

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L’amore è una forza che scioglie la pelle così che i nostri corpi si congiungono in un’unica cellula

Il paragone con Krhisna e Radha le due divinità induiste maschile e femminile, calza alla perfezione per la coppia Lenore – Bill. Li circondava infatti un’aura simile a quella di due divinità, viaggiavano in un altro tempo e in un altro luogo, erano altrove rispetto a chiunque vivesse negli anni ’60′ ad Highsbury. I loro amici, lo sentivano, lo sapevano, rispettavano e ammiravano questa loro peculiarità. Succede, a volte, ma è talmente raro, che si incontrino persone mitiche come Lenore e Bill. Il loro mito ne ricordava, ne evocava un altro, quello appunto di Krhisna e Radha, così come vengono rappresentati in tanti dipinti forse non troppo ossequiosi della tradizione indù, che si sono presi delle libertà rispetto ad essa. In cui cioè l’amore tra Krhisna e Radha è reso in maniera a volte molto esplicita.
Ho come l’impressione che Lenore abbia studiato a fondo il mito di Krhisna e Radha, che lo abbia fatto proprio, che non vuol certo dire, nel suo caso, che lo abbia usato come modello, per lo meno nel senso volgare del termine. Lei non giocava a fare Krhisna e Radha, lei lo era, insieme a Bill lo era, solo con lui lo poteva essere però, con nessun altro. Non so come spiegarlo, ma sento che loro lo erano “almeno un pò” gli Avatar, le emanazioni di Krhisna e Radha, non dico una loro incarnazione, no, certo che no, ma se li consideriamo degli archetipi invece che dei realmente esistiti, allora sì che possiamo dire che Lenore e Bill siamo stati delle loro rappresentazioni. E se fosse che tutti lo siamo di un qualche archetipo? Ma questo è un altro discorso.
Le poesie di Lenore che qualcuno chiama erotiche nacquero prima di tutto dalla sua esperienza diretta. Lei aveva, come disse in un’intervista del 1968, una spiccata natura sensuale; era una sua caratteristica, di cui lei era pienamente consapevole e che considerava una sua peculiarità graziosa, un qualcosa che andava enfatizzato attraverso l’uso spirituale e ritualizzato dell’atto sessuale. Anche Bill, aveva, da un punto di vista opposto e maschile, questa caratteristica, una propensione al sesso che non divenne mai, per entrambi qualcosa di eccessivo, di patologico, o qualcosa di cui vergognarsi, o al contrario di cui andare fieri. Era una loro caratteristica, ed essendo così compatibili da questo punto di vista, ne fecero un’arte.
Lenore accanto a questa forte propensione al sesso, viveva anche un’intensa vita spirituale. Fatta di meditazione, di letture, di preghiere. Come molti nel mondo degli artisti underground degli anni ’60, come Allen Ginsberg ad esempio, il sentiero spirituale di Lenore era eterodosso. Non andò cioè a far parte di un gruppo buddista o induista, come ce n’erano a San Francisco. Molti si erano invece convertiti ad una scuola specifica, con i suoi riti, parole e maestri. Avevano abbracciato un sentiero che li rassicurava, che faceva ritrovare loro un’identità, dopo che avevano rinunciato alla religione della loro infanzia, insieme a tutte le altre convenzioni familiari e sociale dell’America. Le necessità spirituali di Lenore erano più complesse e variegate; lei cercava un assoluto che fosse fatto di tanti tasselli diversi, che fosse fatto a sua misura, a misura della sua specifica mente, mente di un poeta. La mente di un poeta che si avvicina ad un sentiero spirituale come il buddismo o l’induismo, che si vuole cioè allontanare dai riti dell’infanzia e della famiglia, è una mente molto più aperta e recettiva di una persona che non pratica alcuna arte; avviene un intreccio che diventa sempre più armonico tra la poesia e la vita spirituale. L’una rende più intensa l’altra in un continuo rimando di stimoli e stati d’animo positivi. Per Lenore fu così; la sua poesia, sia quella erotica e psicologica che quella legata a temi sociali, è fortemente impregnata di spiritualità; quello che lei, da vera sciamana e profetessa “trovò” nel suo cammino fu che l’essere umano non deve allontanarsi dalla sua animalità e nello stesso tempo non deve allontanarsi dalla sua natura spirituale. Lenore sperimentava continuamente in se stessa la presenza dell’animale e del divino sia nella sua vita quotidiana che nella sua poesia.
Nel 1967 la Stolen Paper Editions pubblicò un libro di Lenore intitolato Invocazione per Maitreya. Maitreya nella tradizione del buddismo tibetano è il “prossimo fondatore”, il buddha del futuro, che verrà quando il buddismo come lo conosciamo oggi sarà scomparso.

Invocazione per Maitrya di Lenore Kandel

To invoke the divinity in man with the mutual gift of love
with love as animated and bright as breath
the alchemical transfiguration of two separete entitles
into one efflorescent deity made manifest in radiant
human flesh
our bodies whirling through the cosmos, the Kiss of heartbeats
the subtle cognizance of hand for hand, and tongue for tongue
the warm moist fabric of the body opening into star-shot rose
flowers
the dewy coke effulgent as it bursts the star
sweet cunt mouth of world serpent Ouroberos girding the
universe
and it takes in its oewn eternal cock, and cock and cunt united
join the circle moving through realms of flesh made fantasy
anf fantasy made flesh
love as a force that melts the skin so that our body join
one cell at a time
until there is nothing left but the radiant universe
the metoeors of light flaming through wordless skies
until there is nothing left but the smell of love
but the taste of love, but the fact of love
until love lies dreaming in the crotch og god…

Per invocare la divinità nell’uomo con il reciproco dono dell’amore
con l’amore come qualcosa di animato e luminoso come il respiro
l’alchemica trasfigurazione di due entità separate
dentro una divinità in fiore resa manifesta in una raggiante
carne umana
i nostri corpi che ruotano attraverso il cosmo, il Bacio dei cuori beat
la sottile conoscenza di mano per mano di lingua per lingua
la calda umida fabbrica del corpo aperta dentro fiori di stelle e rose cangianti
il cazzo rugiadoso fulgente come se facesse esplodere la stella
dolci labbra di figa del serpente del mondo Ouroberos
che cinge l’universo
e prende nel suo eterno cazzo, e il cazzo e la figa uniti
si congiungono in un movimento circolare attraverso i reami di carne diventata illusione
e l’ illusione diventata carne
l’amore come una forza che scioglie la pelle così che i nostri corpi si congiungono
in un’unica cellula
fino a che non rimane altro che il profumo dell’amore
altro che il gusto dell’amore, altro che il fatto dell’amore
fino a che l’amore giace sognando i genitali di dio….

Come si vede da questo testo, Lenore aveva una sua idea molto personale di cosa fosse carnale e materiale e di cosa fosse spirituale e mistico. La sua scrittura, il suo allenamento alla scrittura andava di pari passo con i suoi studi di buddhismo, di induismo, di Tantra. E di meditazione.

Scrittura, vita quotidiana e sessuale, studio e meditazione si fondono il Lenore in un equilibrio stabile e personalissimo.
In questo Lenore seguiva gli insegnamenti di alcuni maestri di Tantra che sostenevano che essere spontanei equivale ad essere divini, ed è il contrario dell’impulsività; la spontaneità ha che vedere con la lentezza, attraverso la quale si raggiunge l’armonia dei nostri movimenti. E’ per questo che Lenore era capace di gioire delle cose minime rispetto alle quali era capace di essere integralmente presente. Lei cercava l’assoluto nella realtà, non la temeva, non era ossessionata dalla ricerca della perfezione, della realtà accettava tutto, il puro e l’impuro, il bello e il brutto. E del suo corpo accettava tutto, ogni sua parte, ogni sua sensazione, emozione, pensiero. In un flusso costante.
Il corpo per Lenore era un campo di petali e fiori, fiori che non appassiscono mai, ma si rigenerano continuamente, nel perpetuo movimento che è la vita. Il centro della vita del corpo secondo Lenore era l’organo del sesso maschile e femminile. Nella spontaneità e nella lentezza del rapporto sessuale Lenore sentiva che il tempo aveva un andamento diverso, si dilatava, si approfondiva e anche i due corpi cambiavano, respiravano diversamente, profumavano diversamente, gli occhi acquistavano un colore diverso. In questa connessione profonda il cuore si apre, e può esserci l’estasi. Il divino entrava e usciva da lei in maniera fluida e continua. Con Bill tutto questo accadeva, l’apertura del cuore, l’entrata in loro del divino. Sul tappeto di petali del loro amore. Un tappeto di petali che mai appassiscono.
La natura idealizzata che noi vediamo nelle raffigurazioni di Krhisna e Radha, in Lenore e Bill era tutta interiorizzata e accennata visivamente nel modo in cui Lenore aveva cercato di ricrearla nella sua piccola casa di Folstom street. La tappezzeria di cui amava circondarsi, gli arazzi, i tappeti, le riproduzioni tibetane o indiane appese un po’ ovunque sulle pareti, erano il giardino delle loro delizie, del loro amore spirituale e animale al tempo stesso. Bill e Lenore facevano l’amore sotto lo stesso quell’albero scuro di Krhisna e Radha in una notte di luna piena, oppure adagiati in prato verde chiaro circondati da alberi, dai piccoli fiori rosa e da quelli più grandi nati spontaneamente da ogni loro bacio.

(fine)
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FONTE IMMAGINE:http://3.bp.blogspot.com/_NXrXlT1uYLo/TJLGYZNR9iI/AAAAAAAAAqc/Cf2-FI8ZuVM/s400/bill-n-lenore4.jpg


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