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Crypt of the NecroDancer – Tieni il tempo

Da Videogiochi @ZGiochi
di Martina "Ryot4" Fargnoli

Una delle caratteristiche dei roguelike che più infastidiscono è l’eccessiva randomizzazione degli elementi. Quando tutto si trasforma in un livello senza vie di uscite e la morte non avviene per nostro demerito, resta solo l’amara sconfitta di essersi trovati davanti ad un’ingiusta esperienza. Ryan Clark (fondatore di Brace Yourself Games) lo sa bene, ed è proprio con in mente l’idea di creare una corretta esperienza per tutti che ha iniziato a stendere il design per Crypt of the NecroDancer. Fonte d’ispirazione è stato Spelunky, uno tra i più apprezzati esponenti del genere degli ultimi 5 anni. Nell’opera di Derek Yu gli spazi sono navigabili senza uno schema fisso grazie alla possibilità di distruggere l’ambiente circostante  aprirsi varchi e vie alternative, ma soprattutto ogni elemento ha una sua dinamica e un suo senso di occupare quello spazio. Ogni morte non è fine a sé stessa, ma è causata da un errore di valutazione o dalla poca esperienza che viene mano a mano arricchita partita dopo partita. La storia dietro lo sviluppo del gioco iniziato da Clark narra inoltre che il fattore musicale è stato aggiunto solo in seguito, testando Crypt of the NecroDancer sulle note di Thriller del compianto Michael Jackson, da cui ha preso anche spunto il gioco di parole NecroDancer.

Never miss a beat

In Crypt of the NecroDancer la prevedibilità è stata estesa sia al personaggio mosso dal giocatore che ai nemici, entrambi infatti si muovono a intervalli fissi seguendo il beat di un metronomo virtuale. Quando la pulsazione raggiunge un cuore posto nella parte inferiore dello schermo, è il momento di muoversi o di attaccare. Ogni nostra uccisione eseguita a tempo incrementerà il moltiplicatore dell’oro permettendoci di guadagnare denaro a sufficienza da spendere dal mercante per qualche aiutino. I nemici sono di varia natura e vitalità, e già nelle prime battute è facile incontrarne di molti tipi; ognuno segue un pattern ben preciso di movimento e ogni passo (di danza) diventa un attento passo a due per anticipare l’avversario e colpirlo prima che possa farlo lui. I movimenti su scacchiera possono comprendere qualsiasi punto cardinale ma anche movimenti sfruttando la diagonale. Troviamo scimmie che ad ogni battuta ci inseguono con l’intento di “abbracciarci” per paralizzarci e impedirci il movimento, scheletri che si spostano ogni due battiti e perdono la testa quando restano con un solo punto vita, fino ai più classici slime e le mimic chest. Non mancano miniboss di livello, i quali devono a tutti i costi essere uccisi per proseguire la discesa nel dungeon. Che sia un temibile drago rosso capace di sputare una striscia di fuoco o un minotauro che ci rincorre anche qui il trucco sta nel comprenderne i comportamenti fissi. Ad esempio il minotauro può essere colpito senza troppi problemi sotto stordimento per aver sbattuto la testa contro un muro. Giunti alla fine di ogni zona c’è il fatidico scontro con il boss, tutti ovviamente sono a tema musicale come King Conga, una storpiatura di King Kong. Un re scimmione che fa ballar la conga a schiere di zombie, o l’ispirato Coral Riff, polipo marino dalle fattezze di strumenti i cui tentacoli da annientare sono a loro volta tastiere, trombe, batterie e violini.

Ad ogni eroe la sua mossa

Come abbiamo già esplicitato, a partire dai nemici, la varietà e la ricchezza del titolo sono tra gli elementi fondanti insieme all’ibridazione tra un dungeon crawler classico e un rhythm game. Oltre alle usuali trappole, teletrasporti, bonus e malus che danno un tocco di originalità ad ogni run, la rigiocabilità è estesa mediante lo sblocco e l’uso di nuovi personaggi con abilità e un set di regole ed equipaggiamenti predefiniti. Eli, lo zio di Cadence (la protagonista principale), ha dalla sua una quantità infinita di bombe da usare come arma, infatti qualsiasi tentativo di equipaggiarne una differente porta automaticamente al game over; il monaco invece non può raccogliere oro da terra, pena la sua morte e molti altri personaggi che renderanno il gioco più o meno facile o avvincente. Figura tra le meno riuscite è a nostro modo di vedere quella del bardo. L’unico personaggio non affetto dalla magia del NecroDancer che può quindi muoversi senza doversi attenere al ritmo. Ogni passo è quindi un turno a cui di conseguenza si muoveranno anche i nemici; se avete giocato a Dungeons of Dredmor troverete sicuramente delle somiglianze. A differenza del titolo di Gaslamp Games che si adatta sia ai neofiti che ai giocatori più esperti, giocare nei panni del bardo ci è sembrata una scorciatoia pensata proprio per chi non ha la minima voglia di applicarsi.

Spogliando completamente il gioco della componente ritmica che lo rende così interessante, si perde per strada tutto il potere della musica che lo eleva dalla massa informe di roguelike fotocopia. Che la centralità della musica fosse importante del resto era chiaro fin da subito, a questo proposito il merito va alla riuscitissima colonna sonora di Danny Baranowsky che spazia dall’elettronica al rock. Non poteva esserci scelta migliore dell’autore americano, capace con i suoi ritmi di trasportare ed adattarsi alle situazioni come abbiamo già potuto apprezzare in The Binding of Isaac o Super Meat Boy. L’altro aspetto positivo è che si può giocare caricando la propria musica come ci ha abituati Audiosurf, o se amate scatenarvi basta un tappetino da DDR per dire addio alle frecce direzionali della tastiera.


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