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da: Non ora, non qui

Creato il 06 settembre 2009 da Occhidadonna

I capelli sono lunghi, non ancora accorciati dal taglio col quale decidesti che non eri più giovane.

Il possibile è il limite mobile di ciò che uno è disposto ad ammettere.
 
Lo spazio era poco, ogni gesto faceva rumore
 
Aveva avuto tempi migliori, una panetteria e un marito. Conservava nel corpo il ricordo di entrambi, mani cotte dal forno e dolori di bastonate nelle ossa per le sere di un ubriaco.
 
Il male è irreparabile e non c'è modo di risanare un torto qualunque cosa si faccia dopo. Non c'è rimedio al di fuori di non commetterli e non commetterli è opera la più ardua e segreta in mezzo al mondo.
 
Il cuore si rattrappiva a trattenere il sangue in una stretta fino a che poteva. Poi la tua voce smetteva. Non ti guardavo mentre raccontavi. Mi hai passato in questo modo un cielo di dolori, di vecchi, di malati, di miserie, di bestie. Sono finito sotto le macchine, preso a sassate, bruciato, ho avuto freddo senza riparo in molte giornate di tramontana secca che strappava di dosso il caldo a morsi. Ti avrei ascoltato sempre. Mi addestravi al mondo come facevano i sogni.
Tu mi mandavi e io viaggiavo a raccogliere addosso quello che i tuoi occhi avevano visto. Il male non andava perduto se qualcuno lo teneva a mente, se qualcuno lo teneva a pelle. Non mi commuovevo, restavo fermo, chiuso nel sogno fisico dove seguivo le tue parole e le eseguivo.
Dovevo sembrarti indifferente, forse riuscivo ad esserlo ai tuoi occhi. Ma tu non badavi a me in quei racconti, ti bastava che io fossi in ascolto. Quando il sangue faceva un ultimo tuffo nel petto e scappava dal cuore chiuso, avevi finito.
 
Non piangevo, da bambino; non ricordo le mie lacrime. Molto più tardi le commozioni trovarono la via delle parole e la via degli occhi.
 
Fummo ragazzi insieme [...] Età inesorabile, dove si conficcano affetti e non si estraggono più, non finiscono più.
 
Piansi fino al vomito, alla tosse, al fiele
 
Sotto si è senza ombra, io provavo ad essere la sua: in mare si può.
 
Sorpreso dal sonno più brusco, con i polmoni ancora gonfi di aria di scorta, dimenticò in un attimo il respiro, il calore, l'asciutto.
 
Sono goffe le parole dell'assenza.
 
Conoscevamo il sole del tramonto sui muscoli usati, che ci fermava e ci addolciva il buio. Calava a mare, lo vedevamo spegnersi a fuoco viola sull'incerto orizzonte.Per questo fummo Tirrenici, perché il giorno ci finiva davanti, in faccia al mare immenso e noto a noi.
 
Il sole si spegneva dentro al mare. A volte il viola delle nuvole lo spezzava e lo disfaceva prima che toccasse l'orizzonte. Lo guardavamo da riva asciugandoci dopo il nuoto, ed era nostro, come la sabbia che restava sui piedi, come il respiro.
 
Si impara tardi a difendersi dalle parole.
 
Solo l'amore consente il ritorno, ma nemmeno esso basta a giustificarlo. [...] e quando uno prova a spiegare il silenzio, anche quello di un bambino, fa come chi mette in barattoli l'aria di città straniere visitate tanto tempo fa, imprigionando il vuoto.
 
E' bello scendere in una fotografia, bello stare fermi.
 
Una gran forza ci procura al momento giusto la miopia utile per vivere.
 
Avevi ragione, molte delle cose che mi sono accadute furono errori di tempo e di luogo, cose da dire: non ora, non qui.
 
Vengono il tempo e l'occasione, vengono quando due persone si fermano: allora s'incontrano.
 
Verrai verso di me, come venivi verso il lettino a spegnermi la luce.
 
E' strano come le cose importanti mi siano capitate una sola volta.
 
Le cose contenevano congedi irreparabili ed io non li capivo subito, ma dopo, molto dopo.
 
Si cresce tacendo, chiudendo gli occhi ogni tanto, si cresce sentendo d'improvviso molta distanza da tutte le persone.
 
Vedrai la panchina al sole del lungomare dove sedevi e ti proteggerai gli occhi dal vento. Capiremo le vite, i bambine che corrono al gioco di crescere, le mamme che allungano i panni, comprano le scarpe e restano a guardare il tempo che corre addosso ai figli. Poi i figli si fermano e sono le mamme che corrono verso la brusca vecchiaia e non hanno neanche i capelli pettinati per tanto che vanno su e giù per le stanze. Poi parlano poco e mangiano piano a Natale. Almeno, così erano le mamme.
Sorrideremo dei nostri vizi. Quali? Quelli di darci per scontati, come se dovessimo esserci sempre come il suono delle campane, come se dovessimo morire insieme ed essere nati insieme, sempre: vizio venuto perché un piccolo spago di giorni si sgomitolava e ci faceva ritrovare.
Povera abitudine: raro che uno si accorgesse che l'altro era cambiato dalla sera prima. Raro che ci si accorgesse che il suo umore metteva una pausa diversa tra ilgiorno già pronto e il buongiorno scambiato, che un sogno aveva sforzato gli zigomi, che un'ombra mai avuta cadeva dalla lampada sulla guancia. Sorrideremo del vizio che ci faceva vedere uguali e capiremo i fitti nostri mutamenti e stupiremo che siano stati così numerosi. Capiremo, questo ci accadrà per una volta.
 
Oggi so che in ogni frase pronunciata c'è l'anima di una domanda, allora temevo che in ogni domanda fosse contenuta una risposta che non sapevo riconoscere.
 
Respiravamo dagli occhi, prima di tutto da lì entrava l'aria e poi si faceva spazio nella gola chiusa, nei polmoni spaventati che ad aprirsi tossivano.
 
Molto del destino di ciascuno dipende da una domanda, una richiesta che un giorno qualcuno, una persona cara o uno sconosciuto, rivolge. D'improvviso uno riconosce di aspettare da tempo quella interrogazione, forse anche banale ma che in lui risuona come un annuncio, e sa che proverà a rispondere ad essa con tutta la vita.
 
Se Iddio fosse una circonferenza la chiesa ne sarebbe il centro, che è il punto più distante possibile.
 
Il riso non è così spontaneo e indifferente alle circostanze, ma vuole le sue comodità per uscire. […] Anche lo sdegno, come il riso, aveva bisogno delle sue comodità per prodursi. era così anche per il pudore, anche per l'amore.
 
Anche la scrittura, privata del suo segreto, diventa una bugia.
 
Compresi, compresi, non so se posso dire così. Non erano pensieri pensati, ma notizie che andavo accumulando.
 
Mi parve che avesse in faccia due buchi attraverso i quali si poteva vedere il cielo. Io lo vedevo. Forse attraverso i miei poteva vedere la terra.
 
Ci sono delle reclusioni minori in cui uno finisce per passare molto tempo prima di affrancarsene. Perché è proprio un improvviso atto di volontà che ne decide la fine e uno si chiede perché non ha smesso prima.Per parte mia rispondo che la volontà è più imperscrutabile del destino e uno la esercita in momenti così bruschi e buffi da rassegnarsi a quella manifestazione di sé come a dei capricci.
 
Non che fossi lento, ma ero calmo. [...] La calma mi isolava. Scansavo le fitte competizioni alle quali si è chiamati in quell'età a viva forza. La concorrenza che secondo alcuni porta a distinguersi a me dimostrava il contrario, producendo comportamenti uguali.[...] Molte cose finite sotto i miei sensi evocavano un altrove. Ero, lo sono ancora, spesso assente di un'assenza impenetrabile.[...]Anche l'amore andava di fretta. Era un'età, forse lo è anche adesso, in cui bisognava diventare diversi da sé, per poter raggiungere una giustezza d'immagine. [...] Peggioper chi restava a guardare, tenendosi stretto il suo piccolo sé stesso.
 
Molti particolari non formano un ricordo, molti ricordi non costituiscono un passato.
 
Ero solo il passante di un equivoco.
 
Quando le piacqui era stanca di persone avventurose, piene di viaggi. Si stupiva in quel tempo del fatto che le molte esperienze non producessero persone eccellenti. Scopriva in loro delle frivolezze, delle inconsistenze.
 
Ho temuto il bilico sul quale poggiano i forti sentimenti, gli occhi di febbre che vestono la persona amata, poi la spogliano.
 
Era per me una donna resa esperta da molte leggerezze fatte e subite, ma non delusa. Non ero per lei la rigovernatura di un sogno andato a male, piuttosto i gesti lenti di un risveglio. Rappresentavo per lei la realtà che è a volte la scoperta del banale sotto una luce migliore. Se ne sentiva pronta.
 
Essere al mondo, per quello che ho potuto capire, è quando ti è affidata una persona e tu ne sei responsabile e allo stesso tempo tu sei affidato a quella persona ed essa è responsabile per te.
 
Di questo per me si tratta, di essere il resto di alcune persone, delle loro sottrazioni. Porto il vuoto che mi hanno lasciato.
 
Pensavo di dover fare qualcosa, per la sola volta in vita mia conobbi l'urgenza e il tarlo dell'iniziativa. Confuso dall'attrazione sentivo il tempo come un galoppo, ogni mattina fuggiva ed io inghiottivo con la saliva le parole più belle che non riuscivo a dire.
 
Il silenzio conservava al nostro incontro il beneficio dell'avvenimento fortuito. Era la complicità richiesta. Chi la svela non lo fa più accadere.
 
Non perché io creda che a un errore debba seguire un castigo, no, non questo succede, l'errore che si commette a me pare che contenga in sé una penitenza, una diminuzione, però ad ogni sbaglio corrisponde una solitudine.
 
Giovane come io non sono mai riuscito ad essere.


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