Magazine Cultura

“David Foster Wallace nella Casa Stregata. Una scrittura tra Postmoderno e Nuovo Realismo” – Carlotta Susca

Creato il 17 dicembre 2012 da Temperamente

“David Foster Wallace nella Casa Stregata. Una scrittura tra Postmoderno e Nuovo Realismo” – Carlotta SuscaCi sono libri scadenti, pubblicati un po’ a casaccio; libri banali, scontati, senza capo né coda. E poi ci sono libri seri, degni di nota, che fanno parte di un dibattito e che sono stati scritti in risposta a determinati testi, o in polemica con altri. Libri molto ben fatti, ben scritti e ben curati, insomma. È questo il caso di David Foster Wallace nella Casa Stregata, saggio di Carlotta Susca edito per la collana Officine della Stilo Editrice di Bari. Se dovessi dare una definizione di questo saggio, parlerei di una “monografia politematica”, intendendo dire, con ciò, che non si tratta semplicemente di una monografia su Wallace (la qual cosa basterebbe già da sola a rendere il libro invitante), ma di uno studio – e di una riflessione – sul compito della letteratura, sulla narrativa contemporanea, sulla scrittura al tempo della televisione e di Internet, sul rapporto tra realtà e finzione, sulla consapevolezza e, naturalmente, sul Postmoderno e la sua pregnanza. E il tutto “narrato” in modo molto simpatico, originale e spiritoso, attraverso uno stile altamente godibile (che, personalmente, mi ha ricordato in più punti quello di Perché scrivere di Zadie Smith).

Partendo dal recente dibattito sul Postmoderno (quello, per capirci, che ha visto esibirsi Maurizio Ferraris ed Edward Docx), l’autrice ne rileva le contraddizioni e la confusione di fondo; soprattutto relativamente all’ambito letterario, con gli inevitabili riferimenti a David Foster Wallace. Ora, avendo letto a mia volta sia i libri di Wallace e sia il Manifesto del Nuovo Realismo di Ferraris, posso sottoscrivere la validità delle obiezioni di Carlotta Susca. Secondo Ferraris, in parole povere, questa sarebbe l’epoca dell’inemendabilità della realtà, sicché il Postmoderno, avendo perso i contatti con la realtà (e quindi con la nostra stessa epoca), sarebbe morto, e precisamente nel 1990 (?). L’osservazione che mi sento di avanzare in merito è che le perplessità di Susca sono giuste, sebbene il dibattito, a mio avviso, dovrebbe includere anche un altro filosofo italiano, in quanto il Manifestodel Nuovo Realismo di Ferraris è stato presumibilmente scritto con l’intento di confliggere con Gianni Vattimo e col suo Della realtà, pubblicato a inizio 2012 (per la cronaca: ho letto anche questo e l’ho trovato altrettanto confuso). Che il Postmoderno faccia a pugni con la realtà e col Realismo – spiega Carlotta Susca – è in verità un falso mito, soprattutto se pensiamo a Wallace. L’autore di Infinite Jest, infatti, ha più e più volte ribadito che la propria “collocazione” si trova a metà strada fra Postmoderno e Realismo. Wallace, in sostanza, va collocato fra quei narratori che si avvalgono delle tecniche formali del Postmoderno per metterle al servizio della pregnanza contenutistica, veicolando quindi gli stessi valori (sincerità, autenticità) del Realismo tradizionale. In tal modo i cliché postmoderni (ironia, citazionismo, parodia, ecc) non assumono i connotati di meri artifici stilistici e non sono fini a se stessi (come nell’Avant-Pop), ma sono al servizio della ricerca del senso. Il ricorso a tali artifici (o “fuochi artificiali” postmoderni) è inoltre dovuto a una necessità e non a un vezzo, giacché la letteratura, oggi, non può non fare i conti con le narrazioni per immagini a cui il pubblico è quotidianamente esposto e sottoposto: «L’importanza di una forma letteraria attraente dipende direttamente dall’imprescindibilità del confronto con le immagini televisive (e con le informazioni reperite sulla Rete, sempre più)».

Attraverso le accurate analisi di opere quali La scopa del sistema, Verso Occidente l’Impero dirige il suo corso, Infinite Jest e Il re pallido, Carlotta Susca dimostra di saper affrontare, con eguale competenza e perizia, questioni filosofico-linguistiche e psico-sociali oltre che critico-letterarie. I rimandi, sempre pertinenti e mai eccessivi, spaziano infatti dai paradossi linguistici al double bind (la qual cosa mi ha fatto molto felice: in Wallace ho sempre visto un percorso che parte da Frege e giunge al double bind, il cosiddetto “doppio vincolo” o “doppio legame” presente anche in Bateson e Derrida). Altri interessanti riferimenti vanno poi dalle Lezioni americane di Calvino al Tractatus di Wittgenstein, dal Faust di Goethe a Fame di realtà di David Shields, dall’antinomia di Russell al Triangolo di Freitag, passando per il nastro di Möbius. E ancora: con questo viaggio nell’universo wallaciano si va da Queneau a De Saussure, da Shakespeare a Perec, da Gadda a Schopenhauer, da Borges a DeLillo, fino all’immancabile parallelismo con Perso nella casa stregata di John Barth. Molto acuta, inoltre, l’analogia tra l’infinito intrattenimento wallaciano e il divertissement pascaliano, entrambi intesi come riempitivi esistenziali, fuga da sé e oblio del pensiero. Personalmente, se Infinite Jest va inteso come un libro ultracompiuto che lascia intenzionalmente un piccolo spiraglio all’incompiutezza, avrei aggiunto anche qualche rimando a L’infinito intrattenimento. Scritti sull’«insensato gioco di scrivere» di Blanchot, nonché al Teorema di incompletezza di Gödel e ai suoi “enunciati indecidibili”. Dovendo tirare le somme, direi che David Foster Wallace nella Casa Stregata è un lavoro pregevole, che coinvolge svariate scienze umane e che, a mio giudizio, si configura come un libro sull’esigenza di una ecologia della comunicazione e del linguaggio che funga da ecologia della mente e del pensiero. E scusate se è poco.

Andrea Corona

Carlotta Susca, David Foster Wallace nella Casa Stregata. Una scrittura tra Postmoderno e Nuovo Realismo, Stilo, Officina, Bari 2012, 224 pp., 18 euro


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :