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De “La gaia mensa”. Fammi essere carota a dadini…

Da Silviamaestrelli

De “La gaia mensa”. Fammi essere carota a dadini…

Da LA GAIA MENSA. Di vino sincero pani condimenti e fuochi ardenti - IV CONCORSO LETTERARIO PETRIOLO


Perché è la perdita la misura dell’amore? Esordisce con queste parole scolpite un libro splendido, commovente sino alle lacrime, di Jeanette Winterson, autrice di “Non ci sono solo le arance”, autentico cult della letteratura contemporanea inglese.
Un augurio di buona scrittura a tutti nostri autori del concorso letterario di Villa Petriolo “La gaia mensa. Di vino sincero pani condimenti e fuochi adenti”: quando il ricordo è una fiamma che brucia, e il vino e il pane, che ci hanno nutriti, sono allo stesso tempo la vacanza e il quotidiano, l’eccitazione e il familiare, il condimento e la sostanza...
“Ho cercato di scacciarti dalla mente ma sembra proprio che io non riesca a scacciarti dalla carne. (…) Quando mi siedo a mangiare, mangio te”.
“Quando portò il cucchiaio da minestra alle labbra, come desiderai essere quell’innocente pezzo di acciaio inossidabile. Avrei volentieri barattato tutto il sangue del mio corpo con mezzo litro di brodo vegetale. Fammi essere carota a dadini, vermicelli, così che tu mi prenda in bocca. Invidiavo i crostini. La guardavo spezzare e imburrare ogni pezzo, immergerlo lentamente nella scodella, lasciarlo galleggiare finché, pesante e grasso, si inabissava in quella profonda massa rosa, per poi venir resuscitato al glorioso piacere dei suoi denti. Le patate, il sedano, i pomodori, tutti erano passati per le sue mani. Quando mangiavo la zuppa, mi sforzavo di sentire il sapore della sua pelle. Ci doveva esser rimasto qualcosa di lei. L’avrei trovata nell’olio e nelle cipolle, l’avrei scoperta attraverso l’aglio. Sapevo che sputava nella padella per verificare se l’olio era pronto. E’ un vecchio sistema, ogni cuoco lo fa, o lo faceva. E così, quando le domandavo cosa c’era nella minestra, sapevo che avrebbe omesso l’ingrediente essenziale. Sentirò il tuo sapore anche solo attraverso quello hai cucinato”.
Da “Scritto sul corpo”, Jeanette Winterson, Mondadori, 1992
De “La gaia mensa”. Fammi essere carota a dadini…

Il brodo. Chi di noi non ha mai sorbito una minestrina calda, preparata da amorevoli mani, quando il corpo, o l’anima, accusa un malessere…Il brodo rinvigorisce, ci dicevano. In Toscana, seguendo alla lettera il manuale dell’Artusi, è uso quasi generale di dare odore al brodo con un mazzettino di erbe aromatiche. Lo si compone non con le foglie che disfarebbero, ma coi gambi del sedano, della carota, del prezzemolo e del basilico, il tutto in piccolissime proporzioni.
L’Artusi ci dice anche come prepararlo: le pentole di terra essendo poco conduttrici del calore sono da preferirsi a quelle in ferro o rame, perché meglio si possono regolare col fuoco, fatta eccezione forse per le pentole in ghisa smaltata, di fabbrica inglese, con la valvola in mezzo al coperchio….
Con i pezzetti di pane avanzato – chiamati i “seccherelli” in Toscana – la minestra diventa ancora più confortante: a mo’ di pangrattato, si versano nel brodo quando bolle; poi si rompono due uova nella zuppiera, si unisce del parmigiano grattato e sul tutto si versa la minestra a bollore, un po’ alla volta. Passano tutti i malanni. O quasi.

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