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Debbie, il coniglietto bipolare RiBes e Paolo. Intervista a Paolo Di Orazio II

Creato il 30 aprile 2015 da Wsf

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Benvenuto su Words Social Forum Paolo

Paolo è il commissario Vanacura, Paolo è il coniglietto Ribes, Paolo è l’album “Paranoid” dei Black Sabbath.”

Stefano “Il brujo” Fantelli. “Debbie [LA STRANA] e le avventure del coniglietto RiBes” pg. 7 (Cut Up edizioni)

Uno, nessuno, centomila insomma, ma chi è nella vita di tutti giorni Paolo Di Orazio?

Grazie a voi, intanto, per avermi invitato.

Fondamentalmente sono un free lance editoriale prestato alla musica, ma anche un batterista prestato all’editoria, quindi un duplice precario al di sotto di ogni sospetto. Lavoro in casa, esclusivamente al pc, spalando progetti e lavori su commissioni, senza sosta ormai dall’anno 2000. Mi sveglio al mattino, non prestissimo, quasi sempre dopo un immancabile brutto sogno a tema persecutorio vario. Mangio qualcosa, chiudo il mio divano letto, mi lavo e mi metto al computer. E questo tran tran è di una tale noia da avermi indotto uno stato di narcolessia pressoché cronico (sorrido). Nel mio campo, se non si è inseriti in un marchio editoriale e in un flusso di lavoro, o protetti da un mentore che ti aiuti nel procacciare sostentamento, si vive in una giungla – perlomeno io – di pacchi di progetti e smazzo in(de)finito. Poiché io sono fondamentalmente il lavoro a cui vengo chiamato.

Professionalmente nato in una redazione, so fare di tutto. Coi miei limiti, ovvio, ma da solo posso generare un mensile a fumetti coi migliori disegnatori e scrittori noti e sconosciuti da zero alla tipografia, passando per la grafica totale, gli storyboard, il ritocco Photoshop: l’esperienza è la mia unica dote. Non sono benestante, quindi non posso spostarmi completamente all’attività di scrittura, ma è anche vero che se scrivessi e basta, credo impazzirei o mi annoierei a morte. Con tutto che amo scrivere. Sovente, il lavoro da seduto viene interrotto dalle rare escursioni musicali alla batteria coi miei amici-colleghi musicisti. In 33 anni ho suonato 2.000 concerti e calcato i palchi di tutta Italia, le trasmissioni radio e Tv più importanti, così, quando mi si chiede se io preferisca scrivere o suonare, be’… non so cosa rispondere, ovvero sì: amo scrivere ma non posso più fare a meno della musica. Il mio dualismo è risolto in pace. Lavoro a parte, sono un uomo con la testa sulla Luna, o Marte, dipende. Adoro comunicare, lavorare, da solo e in team, amo i film, sia moderni che quelli in bianco e nero, non solo horror, e le biografie rock o sul cinema. Mi piacciono le giornate di sole, le vecchie fotografie, abbandonarmi alla nostalgia. Mi piace stare a casa, da solo, rimirare le mie collezioni di vecchi libri e fumetti. Non amo le situazioni incasinate, di ogni genere, da cui fuggo senza soluzioni alternative. Adoro la natura e gli animali, aborro ogni forma di violenza, non sono un voyeur del dolore e maledico ogni giorno il plagio mediatico di massa operato dalla televisione. Sono lontano 150 anni da ogni forma di necessario divismo-marketing, prediligo il dialogo e l’ascolto, ma anche il silenzio e starmene in controluce alla finestra e dire «andate andate, vi raggiungo dopo» (Nanni Moretti, Ecce Bombo).

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Debbie [La strana] e le avventure del coniglietto RiBes è il primo romanzo di una trilogia. Come è nata e si è sviluppata l’idea per quest’opera?

L’idea del romanzo nasce in maniera bizzarra, ovvero per diretta esperienza zoofila. Non avevo mai tenuto in braccio un coniglio, giuro! La sua tenerezza e la sua calma nello starmi al petto mi ha letteralmente sconvolto ed evocato sensazioni e pulsioni della mia parte materna. Immediatamente, ho avuto il flash di un personaggio, una ragazza che funziona come una bomba e un coniglio come la sua orologeria: quando lei è a contatto con l’animale trova la sua umanità, quando se ne separa si trasforma in un essere colmo di abisso e violenza disperata. Questo poteva essere il mio romanzo di maturità, più commerciale possibile, una sorta di Alice nel paese delle meraviglie in formato porno-splatter con cui corteggiare un editore mainstream. Il romanzo finale ha preso una forma leggermente diversa, perché l’ha voluto fortemente il curatore Stefano Fantelli, quando ha aperto la collana Incubazioni, così ho spalancato le gabbie del mio laboratorio e l’idea di partenza è diventata qualcosa di profondamente mio. Grazie alla fiducia dell’editore Cut Up, ora, dopo i primi commenti dei lettori, forse posso dire di aver realizzato il mio White Album dei Beatles. Voglio dare un’odissea completa a Debbi, in un quadro di predestinazione decadente. Non resta che tirare giù i successivi capitoli per dare un volto completo a quello che è il mio personaggio più riuscito, a oggi, assieme al commissario Vanacura e padre Sebastiano, il divoratore di anime.

Una cosa che mi ha molto colpito all’interno dei tuoi libri sono i personaggi. Mai manichei, ma anzi sfaccettati, fragili, multiformi; come riesci con così grande maestria a costruire personaggi femminili credibili e realistici?

Probabilmente perché inserisco in maniera biomeccanica tutti i colori e i materiali di cui dispongo per mettere a punto un attore funzionante: trattati di psicologia e psichiatria, criminologia, medicina, fumetti, libri e film, musica, e anche cannibalizzando porzioni di identità nel mio immenso parco di amici e conoscenti. Per il resto, ragiono come un regista di cinema: metto assieme i caratteri interni (il personaggio) e poi quelli esterni (l’attore), considerando così il racconto come il riassunto romanzato di uno spettacolo cineteatrale dove si muovono uomini e donne, bambini e vecchi, dal momento che mi viene naturale far scorrere le mie storie secondo quadri visivi, o schermi mentali che devono catturare il mio flusso logico e – si spera – l’attenzione del lettore.

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Quanto il tuo vissuto ritorna in ciò che scrivi?

Dipende dalla storia che devo raccontare. Nel romanzo Chiruphènia c’è un mio antico trauma ospedaliero, in Vloody Mary e Debbi c’è una mia costola in ognuno dei personaggi. In Mary ho trasposto le mie impressioni generiche nel vivere il palco, la musica e il pubblico, in Primi Delitti c’è tutto un reparto strettamente biografico nel racconto del ragazzino che aveva il terrore dell’acqua. Anche se nessuno se ne accorge, se non grazie a occasioni come questa, le tracce del mio vissuto illuminano oppure oscurano i racconti senza una vera e propria regolarità, ma solo per il piacere di dare un calco importante alle psicologie.

Roma è la città in cui ambienti le tue storie, una città magica, un po’ santa, un po’ puttana, cosa ami e cosa odi della città in cui vivi e lavori?

Di Roma aborro e trovo rivoltante, distruttiva e disintegrante la gestione della città. Aborro la politica, tutta, non parlo di colori e posizioni, parlo di rappresentanti in carica e illustri predecessori. I nostri politici o sono indagati, o ignoranti, volgari, e comunque li reputo fantocci mediatici di una volontà irraggiungibile e invisibile agli occhi dell’italiano medio: il loro compito è sparare slogan di vuoto pneumatico e, all’occorrenza, frodare. Oppure gentaglia di cui non senti mai parlare fino all’intervento di Finanza o Carabinieri nella loro carriera. Roma come metropoli è un caos completo, dove l’unica soluzione è tassare senza intervenire con logica. Roma è la metafora del caos politico di una nazione senza Stato. Il degrado politico, dalla dialettica alla logica esecutiva, e la cronaca privata dei nostri rappresentanti (che non rappresentano me) fanno parte di un preoccupante secondo crollo dell’Impero Romano d’Occidente, ma non possiamo farci nulla: è come se piovesse, dobbiamo aspettare che finisca. Le altre forze oscure che si muovono da lontano, poi, altro non sono che la replica di grandi eventi già scritti nei libri di storia. Mi fermo qui, perché non capisco come ancora non esploda una guerra civile.

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Quanto è difficile essere un creativo nell’Italia di oggi?

Per me, tantissimo. Se io soltanto fossi più elastico per incastrarmi in un habitat mainstream, il resto verrebbe da sé. Ma è anche dovuto a un generale andazzo esclusivista nei vari settori: o fai parte di un clan, o sei canonizzato o sei randagio. Preferisco restare randagio e distinguermi come razza aliena e non soccombere nella nube tossica tra i dodici fracchia di qualcun X. Non so cosa accadrà, ma con Cut Up, Stefano Fantelli e Alessandro Manzetti stiamo costituendo la prima vera mafia horror d’Italia e a breve accadranno eventi unici nella storia editoriale della penisola. Nel frattempo, sto per debuttare in libro per la seconda volta con Primi delitti, ma negli Stati Uniti per la Raven’s Head Press. Il titolo fu scelto da un mio vecchio fan che predisse questo evento, scrivendomi alla rivista «Splatter». Così, tra poco avremo Early Crimes.

Cosa pensi dell’attuale horror contemporaneo? Perché la violenza (filmica) è diventata sempre meno viscerale e sempre più “estetica”? Trovi che il genere si stia sempre più fascistizzando, oppure la sua carica anarchica è solo sopita sotto allo scopo commerciale?

L’horror contemporaneo si è ammalato di errata dicotomia. Oramai ce ne freghiamo di quel che disse Hitchcock sulla distinzione dei generi, e quindi un goccio di sangue o uno stupro, un serial killer fanno horror e tutto diventa appiattimento desolante. La tua domanda finale spiega tutto. Il trend abbatte e rasterizza tutto a una sola estetica. Personalmente, trovo il cinema della violenza insopportabile (parlo dei torturs). Peggio ancora, in un momento di trend massificato. I miei film preferiti sono horror (quindi con elementi sovrannaturali e/o scientificamente irreali), i fanta-horror, le commedie, i noir.

Che cos’é per te la scrittura?

E’ come dipingere un film, senza colori e senza troupe. E’ il modo più rapido e complesso di raccontare storie che si sviluppano da sé in forma centrifuga e che hanno bisogno quindi di molto spazio per rivelarsi.

Cosa dà e cosa toglie creare?

Creare dà un percorso, una strada interiore senza fine. Penso tolga il male dentro e il male fuori, per un po’. Infatti, nulla è invincibile.

“Non sapremo mai se i bambini sono i mostri o i mostri sono i bambini” con questa frase si chiudeva un famoso film di Fulci. Chi sono i mostri per Paolo Di Orazio?

I mostri sono le nostre paure, i nodi irrisolti che ci mettono in pericolo. I mostri sono i nemici, i traditori, gli ipocriti, gli stupidi, gli egoisti, i falsi. E quelli che copiano le idee dai (miei) libri.

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“Disegno variant presente nelle prime 60 copie di: Debbie [LA STRANA] e le avventure del coniglietto Bipolare RiBes”

In Debbi [LA STRANA] le pagine sono intervallate da una serie di tue illustrazioni, come nascono tecnicamente e quali artisti ti hanno maggiormente influenzato sotto il profilo artistico?

Nei primi anni Novanta mi recai a una mostra su Salvador Dalì. Naturalmente era una mezza fregatura, non c’era quasi nulla, se non il pomposo manifesto per tutta Roma. Però scoprii dei suoi disegni realizzati su cartoncino nero. Fantastici, anche se non ricordo cosa raffigurassero (credo forme danzanti realizzate a spirali vorticosissime). Scoprii anche io l’incanto di estrarre luci e volumi dal nero con pastelli, matite e acrilico bianco ed ecco finita tra le pagine di Debbi una versione di quello che so fare sul nero, che è la mia base preferita. Per la serie dedicata al libro (pubblicato da Cut Up nel 2014) ho realizzato bozzetti in base ai temi dei capitoli, e poi tracciato con matita bianca i contorni delle figure sul cartoncino nero. Ho rifinito con pennarello acrilico e riempito in alcuni soggetti gli spazi a pennello.

Altri pittori che considero riferimenti: Caravaggio, Chagall, Goya, Rousseau, Giger. Fotografia: Joel Peter Witkin. Fumetto: Jack Kirby, Steve Ditko, Liberatore, Magnus, Miguel Angel Martin, Thomas Ott.

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“Disegni variant presenti nelle prime 60 copie di: Debbie [LA STRANA] e le avventure del coniglietto Bipolare RiBes”

Come nacque il progetto «Splatter», che ricordi hai di quel periodo e com’é stato riproporlo 23 anni dopo in una società bipolare come la nostra?

Il progetto «Splatter» nacque per volontà di Francesco Coniglio e Guido Silvestri, nel creare un parco di mensili per la Acme, e mi fu affidato il coordinamento redazionale. Finii col diventare una specie di icona della serie, grazie alla voce che prestavo all’editoriale e alla rubrica della posta. La cosa più bella che ricordo era una vita di redazione strepitosa, fatta di serenità, collaborazione, genialità a piede libero e successo di pubblico, l’affetto dei lettori immediato, il dialogo diretto con tutti loro. Tutto quello che avevo sempre sognato quando leggevo le mie riviste preferite, da «Topolino» a «Linus», «Horror», «Metal Hurlant». Riproporlo oggi è significato ritrovare ancora più profondo l’affetto dei lettori, e degli autori professionisti che da ragazzi leggevano le nostre storie. Certamente, oggi il mercato è asfittico e soprattutto moltissimi negozianti non aiutano i progetti indipendenti perché sperano, essendo in Italia, che le riviste si vendano da sole (specie quelle su cui hanno un ricavo congruo). Quindi, se non sei famoso e non fai trend, ti schifano perché altrimenti sarebbero costretti a mostrare la novità ai clienti, parlandone (come faceva il mio edicolante, quando mi rifilava quintali di fumetti): troppa fatica, perdio, li capisco.

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“Splatter n.1 – 1989″

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“Splatter n. 1 – 2013″

Quali sono state state le tue sensazioni dopo che il tuo fumetto ha subito un’interrogazione parlamentare per “tutelare i minori dalla violenza morale che viene perpetrata nei loro confronti, sia coi fumetti che coi racconti”? Che ricordo hai di quel periodo e come si è concluso?

Quando avvenne l’interrogazione parlamentare, a cui seguì una geniale rassegna di titoli shock sui principali quotidiani d’Italia, non credevo alle mie orecchie. E’ stato come laurearsi tre volte con la lode a occhi bendati, non tanto per «Splatter», quanto per Primi delitti, di cui ero autore in solitaria. A livello legale, la questione fu risolta in Tribunale dall’editore e il direttore responsabile di allora. Per il resto, la denuncia di tutti i partiti politici (mi viene da ridere) non fece altro che incrementare il mio successo. Il ricordo, pertanto, è superlativo.

Sempre negli stessi anni un altro editore ha subito un trattamento non dissimile dal tuo. Perché, opere come quelle di “Miguel Angel Martin”, che vengono universalmente riconosciute come arte a fumetti, sono invece bollate come materiale pericoloso nel “bel paese”?

Fantastica domanda. A casa custodisco gelosamente una bella copia di Psychopathya Sexualis della mitica Topolin edizioni. Io adoro Miguel Angel Martin, cioè le sue storie e il suo tratto. E’ una persona davvero gentile e affabile, lontano pure lui secoli luce da qualunque istrionismo da celebrità. E’ sempre più evidente un grottesco controllo del costume, del comune senso del pudore, quando poi alte cariche politiche si sporcano le mani e impunemente godono di immunità e privilegi. Ma d’altronde siamo il Paese della schizofrenia eugenetica, degli scandali eccellenti, della triste schiuma pedofila che viene a galla nel mondo ecclesiastico. Condannare un fumetto, che è il misero formicaio in una foresta, è un tentativo misero, e anche un po’ tenero, di arginare il male dove non c’è, nella speranza che nessuno si accorga dell’incendio che divora gli alberi. L’Italia ha bisogno di questo. Di azioni che rassicurino l’elettorato della sponda in terza età, quella che ancora pensa che siano stati gli americani a liberare l’Italia dai tedeschi cattivi mentre i Partigiani cattivi uccidevano i tedeschi. E solo in un paese maccartista come questo, straordinariamente simile all’America degli anni ’50 grazie a Mister Dillo a Obama, appunto, si può pensare che un Comics Code sia utile per arginare gli effetti dannosi della violenza disegnata, del reazionarismo antiborghese e bla bla bla.

Cosa ti manca degli anni ‘ 80 – ’90? La gente, la musica, l’abbigliamento?

Degli Ottanta, mi mancano i fumetti e la musica elettronica, la New Wave, nonché il rinascimento del’horror vero, quello di Cronenberg e Barker.

Dei Novanta, il Grunge. Insomma, quelle due tre cosette che hanno cambiato il volto a tutto il mondo. Posso confessare che anche io ho indossato giacche con le spalline. Camicie a quadrettoni no, però.

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Quali sono le componenti che un horror deve avere per essere considerato tale?

Una storia in cui il protagonista si trovi ad affrontare un antagonista irrazionale. Fantasmi, creature zoomorfe, vampiri, morti viventi, metamorfosi, malefici, streghe, dèmoni. Con ribaltamento dei ruoli tra protagonista-antagonista e un finale, o colpo di scena preferibilmente anti hollywoodiano. In due titoli: Videodrome, Rec

Dopo la rinascita di “Splatter” e l’uscita del tuo ultimo libro, pensi che “qualcuno tornerà a strillare”?

Penso proprio di no. Se ci riferiamo a un nuovo scandalo parlamentare o di costume… no. A patto che non mi inventi un espediente YouTube che “minacci” i nuovi utenti con un messaggio “osceno”. Anzi, mi è venuta un’idea.

Rivedremo presto Debbie e il coniglietto RiBes?

Lo desidero. Forse non prestissimo, ma ci riuscirò.

Grazie Paolo

A voi, infinitamente.

All images and materials are copyright protected and are the property of Paolo Di Orazio

Make a joke and I will sigh

and you will laugh and I will cry

Happiness I can not feel

and love to me is so unreal

And so as you hear these words

telling you now of my state

I tell you to enjoy life, I wish I could but

it’s too late

Paranoid – Black Sabbath

Christian Humouda


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