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Del mio strano "bell'incontro" udinese

Da Dalailaps @dalailaps
Un uomo e una donna hanno bisogno di qualcosa per dormire e vanno nello stesso reparto: pigiami da uomo. L'uomo dice al commesso: mi serve solo il sotto… e la donna dice: mi serve solo il sopra. I due si guardano e questo è un bell'incontro.
Da L'amore non va in vacanza di Nancy Meyers.
           

strano

La stazione ferroviaria di Udine.

La scorsa settimana una signora che incontro spesso alla fermata dell’autobus si è avvicinata e mi ha detto «Mi scusi se la disturbo, ma vedo che legge sempre e mi chiedevo cosa stesse leggendo oggi…».
Tra una chiacchiera e l’altra le ho spiegato di cosa mi occupo e quali sono le mie passioni e lei mi ha detto di avere 82 anni e di essere una lettrice forte da quando ne aveva 10. Le ho fatto vedere la vecchia edizione di Seta che tenevo tra le mani, lei ha notato anche il mio Kindle e si è detta curiosa di sapere come funzionasse «quel marchingegno», con uno sguardo di sincera curiosità che ho scorto raramente in signore della sua età.
Mi ha incantata con la storia della sua vita di lettrice anche durante tutto il viaggio sull'autobus, dove ci siamo sedute una di fronte all'altra senza mai smettere di parlare: mi ha raccontato di come lei e il suo fidanzato si incontrarono per la prima volta in una biblioteca, di come coltivarono assieme la passione per i libri e per i film, riuscendo ad andare al cinema ogni settimana risparmiando in ogni modo, e di come quell'uomo divenne poi suo marito e padre dei suoi due figli.
Mi ha detto di quanto le mancano le storie di una volta («Lo sa, quelle semplici e lineari...») e del fatto che oggi, quando esce dal cinema assieme al figlio cinquantenne, si ritrova sempre a chiedersi se ha davvero compreso quello che ha visto o se ci fossero anche dei gradi di lettura che non è riuscita a cogliere.

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Un autobus in Piazza Libertà.

Mi ha parlato del Grande Gatsby e di quanto le piacesse il regista di una delle versioni portate al cinema, ma non è riuscita proprio a ricordarsi il cognome. Ho notato che ogni tanto, durante il tragitto, sembrava frugare nella memoria guardando a sinistra, come se fosse alla ricerca di un calzino spaiato in alcuni grandi cassetti e nell'altra mano stesse stringendo l’altro calzino («Mi scusi, ma davvero non mi sovviene. Sa, è l’età…»).
Mi ha raccontato del cinema in bianco e nero e di quanto sembrasse più vero di quello a colori.
Poi mi ha parlato dei suoi figli, di come la obbligassero a guardare Star Trek e film di fantascienza («Non mi è pesato, dopotutto sono cose che una madre fa…») e di come ora che è diventata vedova si senta un po’ sola e i libri la aiutino a sentirsi meglio.
     Guardando verso il finestrino mi ha raccontato la storia di una vita fatta di altrettante storie e di come queste l’abbiamo aiutata («Sa, il caso ha voluto che nei libri e nei film io abbia trovato sempre l’esatta sensazione e gli esatti consigli di cui avevo bisogno in quel particolare momento della mia vita. Capisco bene perché lei parla di queste cose con quello sguardo.»). Io sono diventata rossa (come sempre) e l’ho ringraziata. Abbiamo parlato delle scuole italiane, della comunicazione tra sceneggiatore e regista, di costumi d’epoca, di romanzi e trasposizioni («Ma lei l’ha visto L’età dell’innocenza? Quant'era bello l’attore protagonista! Ma in quei film storici gli uomini sono sempre tutti belli…»). Poi prima di salutarci abbiamo parlato anche degli Oscar e ho scoperto che anche lei resta sveglia a guardarli («Mio figlio dice che ormai è tutto pilotato e che di film belli ce ne sono anche tanti altri…») e abbiamo scambiato due parole su come scegliere un film da guardare.  Poi mi ha sorriso, si è alzata e mi ha detto «La rivedo domani, vero?». Io le ho sorriso e ho mosso la testa per dire di sì. Ma l'indomani è stata lei a mancare al nostro appuntamento.
Ieri mattina ci siamo incontrate di nuovo. Dovevo ancora attraversare le strisce pedonali vicino la fermata dell'autobus quando lei mi ha visto e mi ha sorriso. Camminando verso di lei ho aperto un foglio che avevo stampato il giorno del nostro primo incontro, con scritti i nomi dei registi che hanno diretto Il grande Gatsby. Quando le ho fatto vedere la lista lei ha sorriso di nuovo e mi ha indicato quello che non riusciva a ricordare: dentro la mia mente è stato come se avesse appena ricongiunto i due calzini spaiati.
Abbiamo parlato di nuovo per altri intensissimi venti minuti: di Nicole Kidman e della sua attuale inespressività, del naso di Barbra Streisand, di quanto Meryl Streep sia  «un tipo» e di quanto l'abbiano stufata tutti i programmi di cucina in TV («Sono onnipresenti! Ma sa qual è la cosa che mi dà più fastidio? Lei la conosce la Parodi? Quella lì cucina indossando vestiti di seta, magari pure firmati, e non si sporca mai. Io per scaldare in un pentolino un po' di sugo per la pasta mi macchio tutte le maglie!»).
Prima di scendere mi ha dato una pacca sulla spalla e mi ha detto «Alla prossima puntata!» e io ho sorriso, felice di questi nostri brevi momenti preziosi.
  

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