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Di cosa parliamo quando parliamo di Anne Frank, di Nathan Englander

Da Silviapare
Di cosa parliamo quando parliamo di Anne Frank, di Nathan EnglanderEccola, è appena uscita la mia ultima traduzione
Di Nathan Englander avevo già tradotto Il ministero dei casi speciali, e ora ho lavorato con grandissimo piacere a questa splendida raccolta di racconti.
QUI trovate lo speciale sul sito dell'Einaudi.QUI l'articolo di Siegmund Ginzberg sulla Repubblica.
E qui sotto trovate un brano del primo racconto, quello che dà il titolo alla raccolta.  – Mi ricordo che quando eravamo ragazze mi proponeva sempre, – dice Shoshana, girandosi verso Deb, – mi proponevi sempre questo tipo di giochi. Scegliere un nascondiglio. E quell’altro, ancora peggiore, ancora piú macabro…
– Zitta, – dice Deb.

– So cosa stai per dire, – intervengo, sinceramente emozionato.

– Il gioco, vero? L’ha fatto anche con te, quel gioco folle?

– No, – dice Deb. – Basta. Lascia perdere.

E Mark, che è completamente immerso nell’analisi delle certificazioni kosher, che sta strappando l’involucro di pacchi di merendine da cento calorie e ingozzandosi di noccioline tostate che prende a manciate da un barattolo, e che da quando siamo entrati nella dispensa ha pronunciato solo una frase, ora s’interrompe e dice: – Voglio giocare a questo gioco.

– Non è un gioco, – risponde Deb.

E sono contento di sentirglielo dire, perché è proprio quello che cerco di farle ammettere da anni. Che non è un gioco. Che è una cosa serissima, una specie di preparazione, e una vera e propria patologia che preferisco non assecondare.

– È il gioco di Anne Frank, – dice Shoshana. – Giusto?

Vedendo che mia moglie è molto turbata, faccio del mio meglio per difenderla. – No, non è un gioco, – dico. – È solo di cosa parliamo quando parliamo di Anne Frank.

– Come si gioca a questo non-gioco? – dice Mark. – Cosa dobbiamo fare?

– È il gioco del Gentile Giusto, – dice Shoshana.

– Altrimenti detto «Chi mi nasconderà?», – aggiungo.

– Nell’eventualità di un secondo Olocausto, – dice Deb in tono esitante, arrendendosi. – È una seria esplorazione, un esperimento di pensiero.

– Un gioco, – dice Shoshana.

– A volte ci chiediamo quali dei nostri amici cristiani ci nasconderebbero, nel caso di un Olocausto americano.

– Non capisco, – dice Mark.

– Come no, – dice Shoshana. – Certo che capisci. Funziona cosí. Se ci fosse un’altra Shoah, se succedesse di nuovo, se fossimo a Gerusalemme nel 1941 e l’avesse vinta il Gran Muftí, cosa farebbe il tuo amico Jebediah?

– Cosa potrebbe fare? – dice Mark.

– Potrebbe nasconderci. Potrebbe rischiare la sua vita, quella dei suoi famigliari e di tutti quelli che lo circondano. Il gioco è questo: farebbe questo per te, lo farebbe davvero?


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