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DI SCIENZA E DI FEDE. O della non esistenza di Dio

Creato il 18 novembre 2014 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
640px-Lisboa_1500-1510di Riccardo Alberto Quattrini. Lisbona 1° novembre 1755 ore nove del mattino, sulla splendida e ricca capitale del Portogallo il terrore si abbatté sugli abitanti. Una serie di scosse telluriche seguite da inondazioni e incendi devastarono la splendida Lisbona: diecimila i morti e tre quarti delle case distrutte. Voltaire concluse che questa era la prova della non esistenza di Dio. Ed ecco a distanza di oltre due secoli un oncologo di fama mondiale si pone l’identica domanda di fronte a un dramma enorme: “Dov’era Dio ad Auschwitz?”. A pronunciarla è il professor Umberto Veronesi durante la presentazione dell’ultimo suo libro Il mestiere di uomo**.

La storia del materialismo senza Dio è tanto vecchia quanto la sua confutazione, una delle tesi più note del materialismo classico, che ha attraversato la cultura moderna (Karl Marx, per esempio, ne è un grande estimatore), è quella del greco Democrito. La sua teoria delle klinamen, spiegava l’origine del mondo dal contatto di particelle di materia, che si incontrano a causa di una determinata inclinazione, formando il Tutto, così a caso, senza un disegno divino: «Democrito che il mondo a caso pone», scrisse Dante nella Divina Commedia.

“La scienza però non ha mai scoperto nulla che sia in contrasto con l’esistenza di Dio. L’ateismo, quindi, non è un atto di rigore logico teorico, ma un atto di fede nel nulla.” Dice il professor Antonino Zichichi rispondendo alle parole del professor Umberto Veronesi che inoltre scrive: “dopo Auschwitz, il cancro è la prova che Dio non esiste. Come puoi credere nella Provvidenza o nell’amore divino quando vedi un bambino invaso da cellule maligne che lo consumano giorno dopo giorno davanti ai tuoi occhi?”. Già, le stesse domande che ci poniamo quando assistiamo a una tragedia che vede coinvolti i bambini. Almeno loro li poteva risparmiare, siamo tentati di pensare, riferendoci a Dio.

Una delle tendenze della nostra epoca è di usare la sofferenza dei bambini per screditare la bontà di Dio, e una volta screditata la sua bontà, aver chiuso il conto con lui.” Scriveva Flannery O’Connor.

Nel secolo scorso, la follia politica ha causato milioni di vittime innocenti. Auschwitz e cancro sono due esempi di tragiche realtà. Una dovuta alla follia politica del nazismo, l’altra alla natura. Perché Dio non interviene per evitare il ripetersi di tante tragiche realtà? Nel secolo in cui viviamo, la potenza distruttiva nelle mani dell’uomo potrebbe cancellare qualunque segno di vita su questo piccolo e indifeso satellite del Sole. Chi osservasse da una lontana galassia questa nostra navicella spaziale e ciò che in essa accade, dovrebbe concludere che la Terra deve produrre facilmente più esplosivi che cibo. Per ciascun abitante ci sono infatti migliaia di chili di potenza esplosiva e mancano quelle poche centinaia di chili di cibo per evitare che milioni di persone – ancora oggi – muoiano per fame.

Nell’Antico testamento c’è scritto: “E Dio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza (Genesi 1:26-27)”. Ciò non significa che Dio, creando Adamo, abbia carne e sangue come lui. La Scrittura dice che “Dio è Spirito” (Giovanni 4:24) e, pertanto, che esiste senza un corpo. Tuttavia, il corpo di Adamo rispecchiava davvero la vita di Dio, tanto che fu creato in perfetta salute e non era soggetto alla morte. Ma questo fatto anche se lontano da un antropomorfismo, ha sempre generato, anche nell’iconografia, l’idea di Dio con l’aspetto umano. Un Dio insomma che ci osserva e ci protegge, e quando non lo fa è un Suo disegno a noi sconosciuto. Questo è l’atteggiamento di un credente, un fideista che, pur costatando la discordanza tra la fede e la ragione, è incline a seguire la prima anche per non porsi troppe domande. Blaise Pascal diceva che: “Tutta la nostra dignità consiste dunque nel pensiero. È con questo che dobbiamo nobilitarci e non già con lo spazio e con il tempo che non potremmo riempire. Studiamoci dunque di pensar bene: questo è il principio della morale.” Se pensando, dunque, accettassimo l’idea che il problema non è la spiegazione dell’origine del mondo e di chi lo ha creato, ma il suo significato. L’interpretazione può fornirla la scienza, che ha comunque sempre la pretesa di dire l’ultima parola. Ma gli uomini, che possiedono il lume della ragione, si chiedono qual è il significato del mondo, perché c’è il Tutto e non il Nulla, perché ci sono la vita e la morte. Si chiedono il perché del male all’uomo giusto: dall’antica e originaria domanda di Giobbe a Dio, alle grandi riflessioni filosofiche sulla giustizia di Dio e la presenza nel mondo del male, meglio conosciuta come teodicea (theos, dio e dike, giustizia) la questione non ha esaurito il mistero, quell’ignoto che guida l’uomo su questa terra alla ricerca del significato di verità che mai potrà raggiungere, proprio come l’orizzonte che si muove insieme a lui. La scienza medica non ci dirà mai perché proprio a noi è capitato un cancro e quale significato ha la sofferenza per il male. Forse anche noi, come Giobbe, domanderemo a Dio il perché del male a un giusto. Il desiderio di comprendere il disegno di Dio è fortissimo in ognuno di noi. Ora, se oltre a guardare il dito guardassimo la luna e di conseguenza le stelle, potremmo facilmente  considerare che è altamente probabile che non solo esistano altri pianeti simili alla Terra ma addirittura altri universi, e se qualcuno si chiede: se Dio avesse voluto creare l’universo allo scopo di creare l’uomo, che senso avrebbe avuto aggiungere tutto il resto? Appunto: che senso, qual è il significato dell’universo, dell’uomo? La ricerca scientifica tenta (ha sempre tentato) di chiudere in una gabbia quel fastidioso, scientificamente inopportuno significato e di buttare via la chiave. Ma finché esisterà l’uomo, quella gabbia non potrà mai essere chiusa, perché finché esisterà, l’uomo, che ha lume di ragione, non rinuncerà a domandarsi il significato della vita e della morte, del male e della bellezza.

**Einaudi 148 pagine € 9,99.

 Featured image, the oldest known image of Lisbon (1500–1510) from the Crónica de Dom Afonso Henriques by Duarte Galvão

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